COLOMBIA: FALSI POSITIVI (con audio) – Guido Piccoli

COLOMBIA: FALSI POSITIVI (con audio) – Guido Piccoli

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Lo scandalo dei “falsi positivi” è qualcosa di unico al mondo, anche rispetto alle crudeltà delle cosiddette guerre di bassa intensità. Un fenomeno che dimostra quanto sia ignobile la macchina di morte del regime di Bogotà.
Per “falsi positivi” s’intendono le montature organizzate dai militari per prendersi dei meriti rispetto al potere politico e, al loro interno, con i superiori. Fino ad alcuni anni fa, ci si limitava a realizzare dei falsi attentati, da attribuire quasi sempre alle Farc. Poi si è passati ad uccidere degli sconosciuti, presi a caso nella campagne, costretti ad indossare tute mimetiche prima di essere uccisi e fatti passare per ribelle. Una pratica inavvertita fino a quando ad essere ammazzati erano umili contadini e emersa solo in alcune occasioni: ad esempio quando, nel novembre 2005, nel dipartimento nord-occidentale di Cordoba, un plotone della XI° brigata uccise e presentò paradossalmente come guerrigliero il fratello latifondista di Eleonora Pineda, senatrice fino-Auc e amica di Uribe (e attualmente in carcere per paramilitarismo). Infine ad organizzare un vero e proprio commercio d’innocenti, sequestrati soprattutto nelle periferie delle città e portati in altre regioni del paese
I casi denunciati sono più di un migliaio, molti di più quelli taciuti dai familiari per timore di rappresaglie o per sfiducia verso la magistratura.
Nel settembre 2008 è scoppiato il caso di una ventina di ragazzi del quartiere Bosa, nella periferia meridionale di Bogotà, denunciati come desaparecidos dalle famiglie, ritrovati (alcuni già il giorno dopo) cadaveri nell’obitorio di Ocaña, una cittadina  nord-orientale del paese distante 500 chilometri dalla capitale e presentati dalla locale brigata, alcuni come paramilitari e altri come guerriglieri “caduti in combattimento”. Nel gennaio 2009, proprio ad Ocaña, un sergente aveva denunciato che nel suo battaglione i soldati che provavano di avere ucciso un nemico venissero premiati con cinque giorni di licenza: l’unico effetto della sua denuncia fu l’espulsione dall’esercito. Dopo lo scandalo di Bosa, si sono conosciuti casi simili nelle città di Montería, Medellín, Risaralda e in altri piccoli municipi lungo tutto il paese. Con questa nuova modalità (chiamata  dalla segretaria del comune di Clara López “sparizione forzata con l’obiettivo dell’esecuzione”) i malcapitati non sono più ammazzati sul posto, ma vengono trasportati e finiti nelle regioni più conflittuali.
Con questi massacri si ottengono due risultati: quello di ripulire le strade da piccoli delinquenti, tossicomani, mendicanti e anche da giovani disoccupati e quello di mostrare successi contro i “nemici della democrazia”.
L’imbarazzo e il fastidio della compagine di Uribe sono notevoli. “Dicono che da qualche parte ci sono settori delle nostre Forze Armate che misurano i loro successi con i cadaveri. Resisto a credere che sia vero” ha detto il ministro della Difesa Juan Manuel Santos, dando mostra di un’ipocrisia sconcertante. Alcuni analisti vicini al governo sostengono che queste accuse farebbero parte di una “guerra giuridica” per colpire il morale della truppa.
I cosiddetti “falsi positivi” sono dovuti alle continue e pressanti richieste fatte, dal giorno del suo insediamento, da Uribe ai vertici delle Forze Armate di mostrare risultati, ma è anche facilitato dalla sostanziale impunità di cui godono da sempre gli uomini in divisa in Colombia.
Per dimostrare che la giustizia non faccia sconti a nessuno, è stata data con grande risalto la notizia di 3500 processi contro militari e poliziotti, in gran parte ufficiali, e della destituzione, dall’inizio del 2008, di più di mille uomini. Pochissimi di questi però sono condannati e  finiscono in galera per i loro delitti. Vengono alla mente le parole del giornalista Antonio Caballero, scritte sul giornale “El Espectador” esattamente vent’anni fa: “La cosa più grave è che la stampa – per governativa e militarista che sia- applauda questa parodia di giustizia come se si trattasse di una cosa seria. Non può essere che a un giornalista in pieno possesso delle sue facoltà morali e mentali possa sembrare adeguata… Non può essere. Deve trattarsi di un errore tipografico. Fa un po’ ridere. Fa un po’ paura. Fa un po’ schifo”.
La coperta della “guerra sporca” risulta quindi essere sempre più corta per Uribe. “La cosa più preoccupante è che se nel passato molti militari erano accusati di avere legami con i paramilitari, da quando questi ultimi si sono smobilitati crescono le denunce per omicidio commessi direttamente dagli uomini in divisa” ha scritto ad esempio “El Tiempo”.
Quello che Ingrid Betancourt chiamò a liberazione avvenuta il “glorioso esercito della mia patria”, definendolo “la mano di Dio”, si dimostra in realtà un esercito di assassini, di cui la popolazione, specialmente povera e rurale, ha giustamente terrore.


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Paese basco: voci di pace, arresti nel mucchio

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In una notte di novembre, nei paesi e città del Paese basco, 650 poliziotti e guardia civiles spagnoli, guidati dal giudice istruttore Grande Marlaska, con il seguito di televisioni e giornali, irrompono in 90 abitazioni e centri sociali. 34 ragazze e ragazzi vengono arrestati. Ragazze e ragazzi. I giornali il giorno dopo titolano che Segi l’organizzazione giovanile della sinistra indipendentista, considerata “terrorista” dal Tribunale Supremo spagnolo nel 2007, è stata decapitata. Poi l’omertà, quella per cui la sorte di questi giovani non conta più nulla. La casistica sulle numerose denuncie di maltrattamenti nei commissariati di polizia spagnoli, confermate da organismi internazionali, per i media spagnoli sono invenzioni. Il fatto che una organizzazione giovanile, la più grande le Paese basco, sia stata considerata terrorista pur non utilizzando la violenza come metodo politico, per Governo magistratura e gran parte dei media spagnoli, non è un attacco alla libertà di opinione, ma una misura di “sicurezza nazionale”. Non ETA ma il suo “entorno” vale dire la realtà sociale della sinistra indipendentista basca è il vero pericolo.
I familiari ed amici  viaggiano verso la capitale, dove sono stati trasferiti i giovani.  Con la paura in corpo. Nessuna notizia dei loro familiari. La legge antiterrorismo permette l’isolamento assoluto nelle  mani dei funzionari di polizia per cinque giorni. Madri e padri rimangono da mattina a sera davanti al tribunale speciale dell’ Audiencia Nacional, nel cuore di Madrid, aspettando che i loro figli, dopo essere passati tra le mani di poliziotti e guardia civiles, confermino  dinnanzi al giudice le deposizioni che sono stati costretti a firmare. Quando? Nulla è dato a sapere: Grande Marlaska proibisce dare informazioni sui giovani arrestati. Dopo quattro giorni arrivano i primi 11 che vengono spediti in carcere. Poi altri 12. Per due di loro è libertà su cauzione. Ed infine gli altri 11.
32 inviati nelle carceri spagnole. Nell’euforia “per l’arresto di 34 pericolosi  ragazzi e ragazze indipendentisti baschi”, un veicolo camuffato della guardia civil, con a bordo uno degli arrestati, sfreccia per le vie della capitale spagnola dopo aver eseguito il meticoloso interrogatorio, travolgendo un donna di 84 anni che perderà la vita. Passano due giorni prima che vice sindaco della capitale porga le sue scuse ai figli della donna uccisa.

COLOMBIA: DOPO L’ILLUSIONE LA GUERRA CONTINUA – GUIDO PICCOLI

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Il reale batte il virtuale. Da una parte, i nuovi partiti dell’oligarchia, i loro cacicchi e i loro sgherri dislocati

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