LA CLASSE LAVORATRICE PROTAGONISTA DEL CAMBIAMENTO
Talkingpeace intervista Ainhoa Etxaide, segretaria generale del sindacato basco LAB.. Il sindacato LAB nasce verso la metà degli anni settanta, in un clima di forte fermento sociale e politico in Euskal Herria. La riforma politica successiva alla morte del dittatore Francisco Franco è, per un vasto movimento politico sociale, come un’operazione di “cosmesi politica”, che lascia inalterati i poteri di fatto che hanno sostenuto il franchismo. Mobilitazioni sociali e operaie assumono carattere di massa nel Paese basco spesso legate alla rivendicazione nazionale. In questo clima nasce, nel 1974 il sindacato LAB che si propone di essere uno spazio di lotta e organizzazione per i lavoratori e le lavoratrici basche unendo la liberazione nazionale e sociale. LAB storicamente fa parte del movimento della sinistra indipendentista. Nel 1977, per decisione dell’Assemblea Nazionale, LAB si trasforma da movimento assebleario a sindacato. LAB è l’unico sindacato basco presente nelle sette province (quattro nello stato spagnolo e tre in quello francese). In Hegolade (CAV e CFN) LAB è il quarto sindacato con il 15% dei delegati. Anche in Iparralde (province basche nello stato francese) LAB è il quarto sindacato con 8,8% dei delegati. Per fare fronte alla crisi economica (per i dati sulla situazione economica attuale in Euskal Herria vedi intervista a ELA), LAB assieme al sindacato ELA ed altri sindacati baschi, hanno messo in atto una serie di azioni tra le quali la proposta riassunta in un decalogo di misure economiche cha ha raccolto l’adesione di 132.000 persone nelle province basche.
La crisi finanziaria si è fatta sentire in modo particolare nello Stato spagnolo. Da un’immagine di economia forte di solo quattro anni fa, siamo passati a un situazione attuale con un deficit pubblico che è schizzato in alto, una tassa di disoccupazione che è la più alta tra i paesi europei. Anche se l’origine dei mali dell’economica spagnola risale agli anni del governo del Partido Popular, i “governi Zapatero” hanno proseguito nelle politiche economiche dei “governi Aznar”. A cosa si deve questa particolarità della crisi nello stato spagnolo.
Il modello di crescita dello Stato spagnolo si è basato quasi esclusivamente sulla economia del mattone. Costruire e speculare, speculare con quello già costruito e con i benefici ottenuti. Una crescita diretta per e al servizio delle grandi agenzie immobiliari ed entità finanziarie. Con una crisi che ha riguardato direttamente il settore finanziario, la realtà è crollata per il suo proprio peso ed ha evidenziato chiaramente che lo Stato spagnolo ha un modello economico con grandi deficienze strutturali. Deficienze che non gli permettono affrontare le conseguenze della crisi e, ancor meno, aprire un processo di rigenerazione economica impossibile se non si affronta la situazione con una chiara prospettiva politica per trasformare questo modello. Zapatero non è solo incapace di fare una azione chiara per il cambiamento, ma anche ipotecato ogni possibilità di azione con il suo piano per salvaguardare la banca prima di ogni cosa. Non c’è possibilità di soluzione con l’attuale modello, ne possibilità di soluzione seguendo gli stessi principi che hanno generato la crisi. Zapatero insiste nel provarci e la situazione sta solo peggiorando e continuerà a peggiorare. Un altro problema, non meno importante, è quale alternativa ha Zapatero. E la risposta è chiara: le ricette del Partido Popular. Questa a nostro parere è la più grande tragedia dei lavoratori e lavoratrici nello Stato spagnolo, che prospettiva di alternativa c’è? Senza alternativa chi conduce il dibattito e dirigerà le misure sul lavoro e sociali che si adotteranno sono senza dubbio banca e impresari.
Sia nella Comunidad Autonoma Vasca (CAV) sia nella Comunidad Foral Navarra (CFN), le politiche sociali ed economiche dei rispettivi governi autonomi sono state oggetto delle vostre critiche. Nella CAV, la politica fiscale che ha abbassato le imposte alle imprese, per esempio, l’avete considerata come una politica fiscale che non ha favorito ne i lavoratori, ne le classi popolari. Eppure, il precedente governo tripartito, guidato dal Partido Nacionalista Vasco (PNV), rivendicava questa politica come una dimostrazione di autonomia rispetto al Governo centrale. Pensate che sia esistita veramente questa autonomia tra governo centrale ed autonomo?
Le questioni strutturali del modello economico e sociale si decidono a Madrid, per tutto lo Stato, e nelle istituzioni delle comunità autonome ciò che si fa è gestire, con più o meno autonomia, queste decisioni. Questa è la realtà il resto è un mero discorso politico. E’ vero che le diputaciones (province) della CAV hanno maggiori possibilità per stabilire la politica fiscale, e di fatto, si afferma che esiste autonomia fiscale nel nostro ambito. Però non è meno certo che questa autonomia inizia e finisce nei limiti stabiliti dallo Stato e dalle sue norme sulla armonizzazione fiscale. Si può decidere la politica fiscale nell’ambito basco sempre e quando non contrasti il modello stabilito per tutto lo Stato, modello che ovviamente decide Madrid a margine della volontà della classe lavoratrice basca. Detto questo, il principale problema in materia fiscale è che si è utilizzato la capacità che esiste per decidere, a vantaggio unicamente ed esclusivamente del capitale ed in questa politica hanno coinciso tutti. Tanto i partiti con responsabilità istituzionali qualunque sia il loro colore, come quelli che hanno possibilità di accedere ad essa. La politica fiscale non è più uno strumento per ridistribuire la ricchezza ma è divenuto uno dei principali strumenti che hanno gli impresari per accumularla. Non solo siamo in coda in Europa per quanto riguarda la pressione fiscale, abbiamo anche una politica che punisce chiaramente le rendite da lavoro mentre si trascura di gravare le rendite da capitale.
Poco dopo l’arrivo al Governo della CAV (marzo 2009) della coalizione PSE-PP, avete indetto (maggio 2009) uno sciopero generale contro la crisi economica, la unica dello stato spagnolo. Il governo autonomo vi ha accusato che in realtà questo era uno sciopero di carattere politico
Come sindacato valutiamo le politiche che si applicano ed in funzione dell’impatto che hanno sulla classe lavoratrice attuiamo di conseguenza, qualunque sia il governo di turno. Fu uno sciopero contro le politiche economiche e sociali che si sono attuate negli ultimi anni, queste politiche sono quelle che hanno creato al situazione attuale. Promuovemmo lo sciopero contro la crisi, per denunciare che la stiamo pagando noi che non l’abbiamo creata, a favore della creazione di un processo di cambiamenti strutturali del modello economico e sociale che è quanto necessita la classe lavoratrice. Non abbiamo indetto lo sciopero contro il nuovo governo, però affermammo che l’alternanza politica non è sinonimo di cambiamento e per questo l’abbiamo indetto indipendentemente da chi sarebbe arrivato al governo. E ciò che è certo è che passano i mesi e possiamo solo constatare che il tempo ci ha dato ragione. Affermammo che cambiano i governi ma non le politiche. Adesso ascoltiamo il padronato che si vanta pubblicamente di essere soddisfatto perché il Governo fa quanto essi chiedono, come il precedente governo. Nemmeno una richiesta agli impresari affinché assumano le loro responsabilità di fronte a questa crisi, non un sola misura che anteponga le necessita dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto agli interessi del capitale. Neanche un passo per trasformare le politiche del precedente governo verso un altro modello sociale. Fu uno sciopero necessario e giustificato. Non fu una reazione alla alternanza politica ma fu sicuramente politica perché uno sciopero generale è politico ed ideologico naturalmente. Dire il contrario è come accettare che l’economia è a margine della politica, che è una questione tecnica e non ideologica
Assieme a ELA ed altri sindacati, rivendicate una ambito di relazioni lavorative specifico per Euskal Herria. Una rivendicazione che ne le associazioni imprenditoriali, ne Governi autonomi, ne i sindacati di ambito spagnolo, CCOO e UGT, l’hanno considerata positivamente. Perché per voi è fondamentale la creazione di questo ambito per il lavoratori e lavoratrici basche?
E’ una questione puramente democratica avere il diritto di decidere sul nostro presente e futuro economico e sociale. L’attuale modello del lavoro e del sociale si è deciso a Madrid a margine della opinione dei lavoratori e lavoratrici basche, è stato imposto contro la nostra volontà ed è stato rifiutato dalla maggioranza sociale che è scesa in strada realizzando scioperi contro le diverse riforme. Euskal Herria esiste, ha una propria realtà, una mappa sindacale specifica perché così lo hanno deciso i lavoratori e lavoratrici. Ciò che noi rivendichiamo è che si riconosca, gli venga data validità e si rispetti. Però, noi consideriamo anche che l’unico modo per avanzare come classe è disputare il potere al capitale e la forma più efficace per ridurre alla classe lavoratrice la capacità per farlo, è allontanare gli ambiti decisione e di potere reale dal suo ambito di incidenza. Per tanto è una rivendicazione per poter fare una difesa efficace ed effettiva dei nostri diritti del lavoro e sociali. Rivendicare un ambito proprio di relazioni lavorative è pretendere essere soggetto di decisione su questioni fondamentali per la classe lavoratrice. Senza capacità, ne possibilità di partecipare nelle decisioni strutturali in materia economica, del lavoro e sociale, perché queste cose si discutono e decidono fuori dal nostro ambito, la classe lavoratrice non può avanzare definitivamente verso le sue rivendicazioni. Imporre l’ambito statale è la maggior garanzia per frenare il sindacalismo basco, per togliere la capacità alla classe lavoratrice di essere soggetto del cambiamento. Necessitiamo e chiediamo un altro modello però logicamente è fondamentale che possiamo decidere su questo.
I sindacati UGT e CCOO in vari modi fanno intendere che con questo ambito basco si creerebbe una separazione con i lavoratori del resto dello Stato con una implicita mancanza di solidarietà
Il riconoscimento di un ambito proprio, metterebbe in discussione lo status che organizzazioni statali hanno nel nostro ambito non grazie alla volontà popolare bensì grazie all’attuale ambito politico. Metterebbe in discussione che si possa decidere a Madrid a margine delle istituzioni, agenti politici, sociali, sindacali. Significherebbe, però anche, che le istituzioni basche fossero responsabili reali di ciò che si fa o che non si fa nel nostro ambito perché qui si eleggono i rappresentanti istituzionali. Adesso, quando rivendichiamo questa o un’altra politica ci viene detto che non avendo capacità per adottarla non sono responsabili del problema che vorremmo risolvere con questa politica. Detto questo, ciò che ci unisce con il lavoratori del resto dello Stato è appartenere alla stessa classe, non il sentirci più o meno spagnoli o essere soggetti a un medesimo ambito politico e giuridico. Inoltre, pur non dipendendo la solidarietà dagli ambiti, è certo che gli ambiti politici ti possono permettere svilupparla più o meno e nel nostro caso, l’attuale ambito è più un limite che un garanzia di solidarietà. Lavoriamo e collaboriamo con sindacati di Catalunya, Andalusia, Madrid, Asturie, Canarie…ed è significativo che non solo comprendano la rivendicazione ma che la appoggino anche: e l’appoggiano partendo da una chiara prospettiva di classe perché si comprendere che quanto maggiore è la possibilità di incidere realmente nelle decisioni, maggiore è la capacità della classe lavoratrice di promuovere politiche basate sulla solidarietà e giustizia sociale. Un esempio è dato dal fatto che abbiamo sottoscritto accordi di collaborazione con sindacati da altri popoli per aiutare i lavoratori e lavoratrici che immigrano in Euskal Herria e la realtà è che non possiamo dare una risposta efficace alle loro richieste perché ‘attuale ambito non ci permette avere gli strumenti adeguati per darle. Per concludere, la solidarietà di classe esiste o non esiste in funzione della capacità che abbiamo di promuoverla, di svilupparla, di potenziarla tra i lavoratori e lavoratrici. Cosa la mette a rischio è assumere valori insiti nella ideologia dominante capitalista ed in questo senso CCOO e UGT dovrebbero preoccuparsi di più di quanto trasmettono e potenziano sottoscrivendo ogni tipo di misure antisociali con padronato e governi.
La proposta di riforma delle pensioni lanciata dal Governo Zapatero alcune settimane fa, nel quadro di una riforma del lavoro, è stata criticata duramente dal vostro sindacato. La riforma, hanno sostenuto Governo e padronato, è necessaria visto l’invecchiamento della popolazione e la non sostenibilità del sistema pubblico delle pensioni. In risposta a questo specifico tema rivendicate una sistema pubblico pensionistico basco. E’praticabile questa opzione?
Euskal Herria ha risorse e potenziale economico sufficiente per essere un paese praticabile economicamente e socialmente, per garantire un proprio modello. Di fatto ci sono Stati piccoli, con minore capacità economica della nostra, e nessuno mette in discussione la loro capacità di esistere ed offrire ai suoi cittadini quanto necessitano. Ciò che non sarebbe possibile è farsi carico del sistema delle pensioni senza avere capacità di articolare il modello in modo integrale perché sappiamo che un del sistema delle pensioni dipende dal modello del mercato del lavoro, dell’importanza che si da al settore pubblico, delle politiche di ridistribuzione della ricchezza, etc. La rivendicazione del sistema delle pensioni fa parte dell’esigenza di creare un ambito basco di relazioni lavorative e sociali e non può essere disgiunto da questo. Inoltre, non condividiamo assolutamente il discorso ufficiale sulla non praticabilità delle pensioni pubbliche: il sistema pubblico delle pensioni è praticabile sempre e quando c’è un impegno politico chiaro a favore di politiche reali di ridistribuzione del lavoro e della ricchezza: un modello basato sul lavoro di qualità ha il potenziale sufficiente per garantire i diritti di chi lavora e per le entrate della previdenza sociale garantendo i diritti di quelli che sono fuori dal mercato del lavoro. Logicamente questa è una formula che si scontra con gli interessi degli impresari per quanto riguarda l’occupazione e soprattutto è contraria alle esigenze delle entità finanziarie che esigono tagli al sistema pubblico per un maggior e migliore sviluppo del loro sistema di pensioni private. E’ significativo che Zapatero punti su questa misura in questa crisi, quando le banche spagnole hanno problemi reali che non sono ancora venuti alla luce. Iniziò la sua gestione della crisi regalando denaro pubblico alle banche e adesso deve ancora regalare maggiori margini di guadagno per l loro affari.
Voi vi definite come un sindacato socio lavorativo. La vostra azione è andata al di là dell’ ambito sindacale per intervenire direttamente sul piano politico. Dal opposizione al modello della riforma politica, passando per i rifiuto del modello autonomista, fino ad arrivare all’ accordo di Lizzara Garazi ed adesso con l’adesione alla proposta politica della sinistra indipendentista annunciata nella dichiarazione di Alsasua. Che contributo pensiate debba dare i sindacato nella politica?
In primo luogo, pensiamo che il sindacalismo deve partecipare attivamente nel processo verso un nuovo ambito politico esigendo e garantendo che questo ambito sia quello che la classe lavoratrice necessita. Crediamo che il l’ambito giuridico-politico deve offrire gli strumenti necessari alla classe lavoratrice per avanzare verso le sue rivendicazioni. Deve garantire questa possibilità per fare si che avanzare verso un modello sociale giusto e solidale, dipenda unicamente dalla capacità di organizzazione e lotta dei e delle lavoratrici. L’attuale ambito politico non garantisce questa possibilità ed inoltre ha dei limiti strutturali che non permette essere garantita nemmeno se questa fosse la volontà dei responsabili istituzionali. Per tanto crediamo che è indispensabile creare un nuovo ambito non solo rispetto ai nostri diritti nazionali, per rispetto alla volontà della società, ma anche per una questione di alternativa per la classe lavoratrice. Dal nostro punto di vista, il nostro contributo non si può limitare a dare copertura sociale alle proposte o iniziative politiche. Il nostro contributo è fare sindacalismo che permetta alla classe lavoratrice essere soggetto reale e decisivo nel processo per un nuovo ambito politico. Noi non crediamo sia possibile avanzare in un processo politico senza il coinvolgimento e l’adesione dei lavoratori e delle lavoratrici, per questo siamo convinti che la classe lavoratrice sia determinante nella costruzione di un processo politico contro lo status politico vigente. Però, perché la classe lavoratrice scommetta su un processo di cambiamento, è indispensabile che questo serva a dare risposte efficaci alle sue richieste. Per tanto il nostro contributo ha un doppio significato: dare una dimensione sociale al processo politico ed offrire ai lavoratori e lavoratrici le vie necessarie per poter intervenire nello stesso.
A partire dal 1993 con il sindacato LAB avete dato vita a una “maggioranza sindacale basca” che è rimasta fino all’Accordo di Lizarra Garazi. A causa della rottura di questo accordo anche la vostra alleanza è entrata in crisi. In questi ultimi anni avete ripreso il dibattito e recentemente alla luce del dibattito su un nuovo ambito democratico e la costituzione di un polo per la sovranità, ed anche nell’ambio sindacale, le vostre posizioni sono tornate a coincidere in diversi aspetti. Da parte della sinistra indipendentista si fa esplicita menzione al ruolo sindacale nella creazione di questa aggregazione politica per la sovranità e d sinistra. Che valutazione date del dibattito interno alla sinistra indipendentista e condividete la funzione determinate del movimento sindacale basco in funzione di questa nuova prospettiva politica?
L’unita d’azione tra ELA e LAB ha una potenzialità determinante in Euskal Herria per generare nuovi scenari ed promuovere iniziative politiche e sociali: questo è stato dimostrato negli anni precedenti sia a livello politico, per favorire un accordo come quello di Lizarra Garazi, come a livello sociale, quando riuscimmo a far sedere il padronato ad un tavolo intersindacale per negoziare temi sostanziali in materia di occupazione. D’altro canto, senza la classe lavoratrice non si può articolare un processo promosso e sviluppato partendo dalla capacità di organizzarsi e mobilitarsi della società. Per tanto, al processo marcherebbe un pezzo fondamentale se non partecipassero i sindacati disposti a promuoverlo tra i lavoratori e le lavoratrici. E’ logico che si sottolinei il ruolo che potremmo svolgere i due sindacati in un polo per la sovranità, che ha come obiettivo articolare ed attivare la maggioranza sociale e politica che richiede un processo politico ed è disposto ad impegnarsi in questo. Noi condividiamo pienamente la necessita di articolare questa maggioranza e la necessita di fare una proposta unitaria da parte di tutte le realtà per la sovranità che ci permetta avanzare definiva mene. Crediamo che ELA e LAB devono porsi in questa ottica, sempre e quando serva per fare un processo di cui ha bisogno la classe lavoratrice e che il nostro miglior contributo sarà sviluppare la nostra azione sindacale a favore del cambio politico e sociale. Comunque, crediamo che il dibattito su come si fa una proposta unitaria e come ci relazionano e organizzano gli agenti politici e sindacali è qualcosa che è ancora in divenire. Il contributo che daremo come sindacati lo dobbiamo definire e discutere i sindacati, partendo dalla nostra iniziativa e con l’autonomia necessaria per potere non solo contribuire al processo, ma anche per dare un contributo reale alla classe lavoratrice intervenendo nel processo con una prospettiva ed iniziative proprie.
Il dibatto nella sinistra indipendentista sulla strategia politica si è concluso. Tra i punti principali c’è lavorare per un processo democratico attraverso vie strettamente politiche e la creazione di un polo progressista per la sovranità. Pensate che questa decisione sia irreversibile nonostante da parte del Governo spagnolo l’unica risposta, fino ad ora, è stata la repressione?
La scommessa per un processo democratico è chiaramente irreversibile perché crediamo che non ci sia alternativa possibile. Il cambio politico lo deve decidere la società basca, liberamente e democraticamente, e agli agenti politici e sociali di Euskal Herria corrisponde accordarsi come verrà proposta alla società questa capacità di decisione. Il processo democratico è precisamente questo, un processo per arrivare ad accordi necessari ed implementare gli stessi affinché sia la società che decida il proprio futuro. La sinistra indipendentista scommette su questo processo ed inoltre ha assunto degli impegni precisi in funzione di questo. Quindi a questo non c’è alternativa, è una scelta irreversibile. La seconda questione è come fare un processo democratico di queste caratteristiche, con l’obiettivo che sia definito per principio. In questo senso è proprio la posizione dello Stato spagnolo che ci spinge a costruirlo, partendo dalla capacità di organizzazione e di lotta dell’ambito per la sovranità e non partendo dalla volontà dello Stato che chiaramente punta per non aprire e non lasciare aprire un processo di questa natura. Per tanto, avanzare verso questo obiettivo dipende da noi, non dalla volontà, ne dalla azione del Governo di Madrid. Altra questione è che facciamo affinché questa scelta per conseguire un cambio politico in Euskal Herria sia una realtà, e che questo cambio si faccia in modo democratico. Per tanto, anche se la scelta non dipende da Madrid, affinché il processo sia veramente democratico, e perché sia definitivo, è necessario che lo Stato accetti e rispetti che è alla società basca decidere liberamente e democraticamente il proprio futuro e che sia disposto a lasciare agli agenti politici e sociali di Eusakl Herria, non ostacolando il cammino, ne condizionando i suoi risultati mediante la forza, la repressione, l’utilizzazione dei prigionieri…In tal senso la scommessa della Sinistra Indipendentista è anche convinta; diciamo che allo stato dobbiamo fare fronte da Euskal Herria e con la nostra capacità di confrontarci democraticamente. La questione è se lo Stato è disposto a rispettare che la sinistra indipendentista abbia diritto a fare lotta politica, istituzionale e di massa.
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