GRECIA E LA CRISI GLOBALE

by Talking Peace | 6th May 2010 4:23 pm

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Grecia. Anatomia di una crisi

Intervista di Margeherita Dean con Petros Papakonstantinou, giornalista di “Kathimerinì”

Peacereporter: http://it.peacereporter.net/articolo/21573/Grecia.+Anatomia+di+una+crisi[1]

Se dovessimo raccontare la storia dell’economia greca, in poche parole, come la racconteremmo? Come faremmo a far capire che la Grecia non è uno stereotipo turistico e neanche archeologico?

Negli stereotipi, come nei miti, un po’ di verità c’è sempre ma, ovviamente, sarebbe sbagliato generalizzare e semplificare. Io porrei, come capolinea, la fine della seconda guerra mondiale e della guerra civile che seguì (fino al 1949). Fu nei due decenni successivi, che l’economia greca conobbe una crescita esponenziale, soprattutto grazie allo sviluppo dell’industria pesante. Cantieri navali, acciaierie, lavorazione del cotone, per esempio; a ciò si accompagnò un ingente flusso di immigrazione interna, quello verso Atene e l’Attica. In simili condizioni, può apparire paradossale come non si siano create sacche di disagio urbano come quello delle bidons-villes. Nonostante l’assenza di un qualsiasi stato sociale, fu l’istruzione, che era di buon livello, popolare, nel senso di agibile a tutti, a cosituire l’elemento che permise di mantenere una qualche dignità. Ai rimanenti bisogni, sopperiva l’assenza dello stato stesso, per cui si poteva costruire, per esempio, dove e come si voleva. Poi venne il ’74 e l’invasione di Cipro. Il fantasma turco andava esorcizzato e l’allora Cee pareva la soluzione politica migliore (la Grecia entra a far parte della Cee il primo gennaio del 1981), secondo l’assioma per cui difficilmente la Turchia avrebbe attaccato un paese membro. Sarebbe sbagliato stupirsi, come sarebbe sbagliato sottovalutare il problema: i rapporti tesi con la Turchia hanno spinto la Grecia a fare molte scelte affrettate, credo. La Grecia era impreparata allora, come lo fu dopo, quando entrò nell’Eurozona, nel 1998. Ricordati che solo nel 1996, c’era stata la crisi di Imia, quando l’ipotesi di una guerra con la Turchia si avvicinò molto di nuovo. L’allora governo doveva riscattare il proprio onore e l’Euro fu un ottimo strumento a tal fine.Se si pensa che l’economia greca dell’ultimo decennio si basa solo sull’attività bancaria e finanziaria, sulla marina commerciale, sul turismo e, in parte, sull’edilizia, tutti rami in crisi, si comprende come la Grecia, già impreparata nel 1981, lo era anche nel 1998. Come poteva e come ha potuto una piccola economia, resistere sotto lo stesso tetto, economico e monetario, con la Germania?

Possibile che gli allora governi non vedessero una verità così semplice e al tempo così pericolosa?

Credo che i fattori siano stati due: una valutazione sbagliata, un poco onirica, circa il futuro dell’Ue ed una previsione, altrettanto insensata, circa le reali capacità dell’economia nazionale.Si parlava di Federazione, infatti, pareva che il progetto per una Costituzione europea avrebbe gettato le basi per una distribuzione federale della ricchezza. Per la Grecia sarebbe stato un vero regalo del destino, quello per cui uno Stato povero avrebbe avuto diritto a parte del surplus tedesco. Fu con la guerra in Iraq, che tutti si resero conto che l’Europa unita era una chimera morta sotto il peso degli interessi nazionali degli Stati membri.Se a questo si aggiunge una valutazione ottimista, circa l’ascesa economica della Grecia, arrestatasi solo nel 2008, è facile capire come ci si possa essere ‘’dimenticati” di non essere stati altro che un granello nel deserto del capitalismo globalizzato.

Veniamo al settembre del 2009, quando l’allora Primo Ministro, Kostas Karamanlìs, indisse le elezioni anticipate. Sapeva di perdere? Vedeva arrivare il ciclone e decise di abbandonare la nave?

Non sono sicuro che fosse certo della sconfitta ma certo non ne immaginava la portata. D’altra parte, dopo la vittoria seguita di poche settimane agli incendi devastanti del 2007, era portato a credere troppo nelle proprie forze. Quanto ai problemi dell’economia, pur sapendo che le cose andavano male, non poteva prevedere lo sfacelo che sarebbe venuto, nessuno poteva prevederlo.

Il nuovo governo, ha sbagliato, ha parlato troppo?

Sì, ha parlato troppo o meglio, doveva tacere. Ghiorgos Papandreou ha fatto l’errore che fanno tutti i politici vincitori: volendo giustificare le promesse pre-elettorali che non avrebbe mantenuto, ha subito reso pubblico il vero deficit greco. In pochi minuti le percentuali si raddoppiarono, per bocca di un governo troppo spesso immemore del fatto che, ad ascoltare, non c’era solo il corpo elettorale ma anche i mercati internazionali. Se uno ha una ferita aperta, non va a nuotare in un mare pieno di pescecani sensibili al sangue fresco. Se ne sta in disparte, si cura alla meno peggio e, intanto, riflette sul da farsi.

Cosa fare, allora? Il governo greco presenta come una vittoria la nascita di un meccanismo di salvataggio misto, Fondo monetario e UE: un’altra via non era pensabile?

Innanzi tutto credo che, del meccanismo di salvataggio, saremo costretti a far uso in brevissimo tempo, fors’anche a giorni; pure oggi gli interessi dei prestiti noi concessi sono tali da far impallidire un usuraio. Sarà poi il turno del Portogallo, spinto in quella direzione dagli artefici stessi del meccanismo, tanto per isolare la cosiddetta ‘’infezione”. In questo quadro, presente il Fondo monetario ed impossibile la svalutazione della moneta, credo che la de inflazione sia la sola strada rimasta alla Grecia. Tagli del 20% ai prezzi, ai salari, a tutto. Si prospetta una recessione molto lunga, accompagnata da un serpente che si mangia la coda: se il meccanismo del capitalismo, nella sua forma odierna, è quello per cui la produzione trova lavoro a costo sempre più basso, il commercio si alimenta ed è tenuto in vita attraverso il credito ma è chiaro che, in tal modo, il debito continuerà a crescere.
Un’altra via era possibile, sì, un’alleanza fra Portogallo, Spagna, Italia, Francia e Grecia: si trattava di denunciare quella ‘’camicia di forza”, il Patto di Stabilità, quella verità perenne, l’undicesimo comandamento, uguale per tutti, eterno ed indifferente ai mutamenti. L’alleanza avrebbe dichiarato la temporanea non applicazione dei sacri dettami, fino al persistere della crisi finanziaria ed economica.

Altrimenti?

I paesi interessati avrebbero minacciato di chiedere la ri-negoziazione del debito. Avrebbero dichiarato il loro rifiuto a pagare interessi così alti. La Francia era pronta a dare il suo appoggio ad una strategia del genere ma credo che al governo greco non sia neanche passato di mente. Ghiorgos Papandreou ha fatto un altro grave errore: ha voluto ricattare la Germania con lo spauracchio della presenza, nel cortile mediterraneo dell’Euro, del Fondo monetario internazionale ed ha talmente insistito che la Germania non ha fatto altro che indicare la via più veloce per varcare l’Atlantico.

 

Sindacalismo e crisi

Gara: http://www.gara.net/paperezkoa/20100506/197764/es/Sindicalismo-crisis[2]

E’ logico che, in mezzo ad un crisi economica che sta generando una cosi alta sofferenza tra la classe lavoratrice e i settori sociali più deboli, nessuno metta fuoco la responsabilità che, in generale, un determinato modello sindacale, e concretamente alcune centrali sindacali hanno nella situazione che ha portato alla crisi. E’logico soprattutto per due ragioni. In primo luogo, perché sarebbe demenziale centrare l’attenzione su questo punto quando i veri colpevoli della risi, impresari, banchieri e politici, non stanno assumendo questa responsabilità. In secondo luogo, perché in questi momenti le classi popolari dei diversi paesi necessitano qualcuno che le difenda dinnanzi alla riduzione dei diritti che sta arrivando.  E, nominalmente, sono i sindacati ad esercitare questo importantissimo lavoro.

Ciò non impedisce accettare, più per non commettere gli stessi errori in un futuro che a flagellarsi per quelli del passato, che il sindacalismo è arrivato alla crisi economica in una profonda crisi ideologica e di funzione sociale. Questa crisi particolare deriva dall’accettazione di alcuni dogmi e modi di fare che sono stati propri della crisi generale: la prevalenza del mercato sugli interessi generali, cosi come un sistema cliente lista che ha generato una precarietà insostenibile socialmente, aggravata ancor più quando la falsa sensazione di crescita e benessere è esplosa definitivamente.

Partendo da questa premessa, i sindacati europei dovrebbero fare una riflessione strategica capace di invertire la loro anteriore deriva. Non c’è altro do di uscire dalla crisi, ne da quella particolare, ne da quella generale. Cercare di difendere posizioni che solo garantiscono la sua viabilità istituzionale non è una opzione ne positiva ne realista. I sindacati devono realizzare proposte che difendano gli interessi dei lavoratori, anche di chi aspira ad esserlo o hanno finito di esserlo a causa della crisi. La posizione dei sindacati greci, che ieri sono stati protagonisti di uno sciopero contro le misure imposte dal FMI e UE, va in questa direzione. Su questo terreno si che esistono grandi differenze tra la Grecia e lo Stato spagnolo.

Grecia, inizia la tragedia europea

Francesco Berardi “Bifo”.  

Il Manifesto http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/05/articolo/2710/[3]

Il fanatismo monetarista della Bce (vero organo di comando sulla vita politica europea) ha scelto alcuni bersagli preferiti. Quello delle pensioni è forse il più evidente. Allungare il tempo di lavoro-vita è una delle ossessioni del Neoliberismo, e si fonda su un accumulo di menzogne pure e semplici. Si dice che l’aumento del tempo di vita media mette in pericolo la possibilità di mantenere un equilibrio economico, dimenticando che la produttività media sociale è aumentata di cinque volte negli ultimi quaranta anni, per cui non cambia niente il fatto che il numero dei produttori possa diminuire leggermente. Si dice che i vecchi debbono lavorare più a lungo per solidarietà nei confronti dei giovani, e non c’è menzogna più ripugnante di questa: il prolungamento del tempo di lavoro degli anziani ha infatti come conseguenza un aumento della disoccupazione giovanile, e una condizione di ricatto sul mercato del lavoro che ha reso possibile un aumento smisurato della precarietà lavorativa.

La politica della Bce è all’origine della miseria europea. Se L’Unione è questo, che muoia.

Ma la morte dell’Unione, che ogni giorno si fa più probabile, sarebbe l’inizio di un inferno inimmaginabile. Lo scatenamento di tutti i demoni che negli ultimi decenni si sono tenuti sotto controllo sarebbe dietro l’angolo. Non solo segnerebbe il riemergere dei nazionalismi, ma anche il precipitare della guerra civile interetnica, nei paesi mediterranei spinti nel baratro di un immiserimento pericoloso.

Solo un movimento del lavoro precario e del lavoro cognitivo, un movimento che ponga al centro della discussione politica il salario unico di cittadinanza può salvare l’Unione europea, modificandone radicalmente la forma e la sostanza. Ma un simile movimento sembra oggi quanto di più improbabile, quanto di più lontano dai comportamenti psicopatici e conformisti di una generazione di disperati il cui futuro sembra segnato senza vie d’uscita. Un futuro di precarietà, di schiavismo, di immiserimento materiale e psichico. Una generazione cui rimarrà solo Facebook – sfiatatoio dell’impotenza e del narcisismo – per avere la sensazione di poter parlare liberamente.

Grecia: l’ultima tappa della crisi

Jorge Altamira

ARGENPRESS http://www.argenpress.info/[4]

(..) Europa è rimasta divisa in due parti di paesi con prospettive che li oppongono tra di loro sempre di più. I paesi che giocano con il default avranno, da adesso sempre di più, un costo di finanziamento crescente che gli allontanerà dagli stati più solidi nelle fasi ulteriori di sviluppo capitalista. La UE entra in una tappa centrifuga. L’altra questione non è meno impressionante: s’impone un programma de inflazionistico come avvenne nella crisi del 1930, rovinando le illusioni di questa sorta di kirchnerismo mondiale che assicurava che il capitalismo entrava in una tappa di interventismo statale e di keynesianismo. Anche se qualsiasi giudizio al riguardo potrebbe essere prematuro, la caduta della quotazione della oncia d’oro negli ultimi giorni solamente potrebbe spiegarsi in funzione di una prospettiva deflazionistica

Per alcuni dei più qualificati osservatori staremo assistendo ad un piano di smantellamento parziale della unione Europea sotto la spinta della Germania che avrebbe vinto la Francia in questa causa. Sotto la pressione degli interessi esportatori della industria tedesca, il Governo tedesco promuove, in primo luogo, attraverso la via del riscatto dei paesi del sud Europa, una svalutazione dell’ euro, che la collocherebbe in una migliore posizione competitiva rispetto a Stati uniti e Cina. In secondo luogo, starebbe organizzando una uscita ordinata delle nazioni sud europee, che però potrebbe includere l’Irlanda ed il Belgio. Dopo la disintegrazione della Unione Sovietica , uno smantellamento della UE si convertirebbe in una testimonianza della debacle capitalista. La lotta per il mercato mondiale acquista sempre più peso nella crisi, come dimostra la disputa cino-americana per il valore dello yuan cinese. Nonostante le misure per duplicare le esportazioni nordamericane da parte di Obama, queste non riescono ad aumentare ed il deficit commerciale degli USA (e per tanto il suo debito estero) non smette di crescere. In realtà per numerosi osservatori, la Grecia non è altro che una metafora degli Stati Uniti il cui deficit fiscale, indebitamento pubblico e debito nazionale è, in termini relativi ed assoluti, il più alto del mondo. Secondo un dossier non pubblicato del FMI, gli Stati Uniti dovrebbe applicare, per non andare verso un default, un taglio alle spese equivalente al 9% del PIL, ossia 1,3 miliardi dollari. In mancanza di questo taglio, gli Stati Uniti non potrebbe normalizzare la sua situazione finanziaria, ossia aumentare i tassi d’interesse (che stanno a zero) senza portare al fallimento il settore pubblico. Qui risiede la spiegazione della caduta di Wall Street per tre giorni consecutivi in coincidenza, sotto la pressione del default della Grecia. Per delineare un quadro ancora peggiore, gli analisti sono d’accordo che i guadagni annunciati dalle banche nordamericane nel primo trimestre del 2010 testimoniano una situazione simile a quella che portò alla bancarotta a partire dal 2007, poiché sono il risultato di operazioni speculative influenzate in una proporzione enorme dai debiti. L’aumento del debito nordamericano ed il deficit fiscale, da un lato, e quello che si è avuto nella emissione monetaria, dall’altro, hanno esaurito in gran parte le risorse e gli strumenti per fare fronte ai sintomi di tendenza deflazionistica che si manifesta con la bancarotta europea. Una breve osservazione: già è inziata la speculazione a ribasso contro il debito inglese.

 

 

Endnotes:
  1. http://it.peacereporter.net/articolo/21573/Grecia.+Anatomia+di+una+crisi: http://it.peacereporter.net/articolo/21573/Grecia.+Anatomia+di+una+crisi
  2. http://www.gara.net/paperezkoa/20100506/197764/es/Sindicalismo-crisis: http://www.gara.net/paperezkoa/20100506/197764/es/Sindicalismo-crisis
  3. http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/05/articolo/2710/: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/05/articolo/2710/
  4. http://www.argenpress.info/: http://www.argenpress.info/

Source URL: https://globalrights.info/2010/05/grecia-e-la-crisi-globale/