LA POLITICA DELLE FOSSE COMUNI

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“Dicevano che tutti erano guerriglieri, che tutti avrebbero ucciso, le donne, i bambini, cancellare l’intera comunità; devono scomparire tutti diceva il capitano o ufficiale”

Sono passati cinquecento anni da quando Bartolomé de las Casas nella sua Brevisma relacion de la destrucion de las indias, rivelava al mondo europeo le nefandezze della “conquista”spagnola di quella che diverrà l’America Latina. Il gesuita raccontò i massacri, gli stupri, le violenze inenarrabili dei conquistadores contro le popolazioni native. L’oro e la conquista dei territori era l’obiettivo principale dietro il quale si giustificava la mattanza. La grandezza dell’ impero Castigliano dovette molto a questo genocidio. Eppure questo fatto storico che ha segnato lo sviluppo di quello che verrà denominato Occidente, con il suo modello di sviluppo economico e culturale non è rimasto come una leyenda negra. Ha tracciato un modus operandi che arriva fino  ai nostri giorni. Conquista di territori, imposizione di un modello di sviluppo, difesa dal “nemico” interno, hanno riprodotto meccanismi di controllo sociale dove l’eliminazione fisica del nemico, divenuto tale dopo una “costruzione mediatica”, si effettua attraverso modalità che imitano alla perfezione, quelle utilizzate dalle bande dei conquistadores. Le vittime di questa “pulizia sociale e politica” sono uomini donne e bambini appartenenti alle classi povere. Contadini, nativi, comunità intere spazzate via dall’idea che il “progresso” non deve aver ostacoli. Una strategia che si è ammantata di nomi tecnici come “guerra di bassa intensità” o ideologici “lotta al comunismo”, che nascondono crimini contro l’umanità. Una caratteristica di queste azioni di “guerra preventiva” è l’impunità garantita ai nostri giorni da una presunta idea della giustizia che per garantire diritti deve passare attraverso i meccanismo dello stato di diritto.  In realtà si tratta dell’applicazione del codice penale del nemico, del concetto inquisitorio della contaminazione per cui la condizione sociale determina l’appartenenza  alla categoria del “nemico da eliminare”. Le fosse comuni i desparecidos, ma anche le mattanze pubbliche sono parte intrinseca del modello di sviluppo capitalista, non un errore di percorso. Sono la testimonianza che l’accumulazione di capitale delle elites economiche vengono presentate come sostanza della democrazia. La contestazione a questa visione del mondo viene cancellata attraverso l’uso illimitato dell’idea weberiana del monopolio della violenza. La storia ufficiale e quella costruita giorno dopo giorno dai grandi mass media di tanto in tanto riconosce questi “errori di percorso” ma lo fa in modo puntuale negando una organicità con il sistema economico e politico dominante. Perché ci sono elementi comuni che testimoniano come queste modalità aberranti di lotta politica siano funzionali ed in molti casi determinati per l’imposizione del modello economico capitalista. La necessita di ampliare i mercati, di creare il più possibile ricchezza determinano situazioni sociali di povertà miseria e disperazione che motivano proteste lotte motivate soprattutto da una ineludibile necessita di sopravvivenza.

Il silenzio dei media sul museo degli orrori

Nel marzo del 2010 nella località La Macarena nel Dipartimento di Meta in Colombia è stata scoperta la più grande fossa comune dell’emisfero occidentale. Più di duemila persone interrate dopo essere state uccise non senza avere subito torture di ogni tipo. L’esercito colombiano ed i gruppi paramilitari sono accusati d essere responsabili di questa mattanza. In Colombia il conflitto che dura ormai da 50 anni ha mietuto più d 200 mila vittime. In gran parte opera dell’esercito e dei gruppi paramilitari. L’obiettivo dichiarato di questa guerra era combattere la guerriglia delle FARC e dell’ELN, e quello non dichiarato è stato ed è la conquista di territori dove latifondisti ma anche multinazionali possano operare liberamente. Le denuncie sull’ uccisione e sparizione di centinaia di sindacalisti e leader contadini si associano al fenomeno dei profughi interni che fanno della Colombia, con 3 milioni e 300 mila persone, il secondo paese al mondo dopo il Sudan. Questa guerra contro milioni di persone si è avvalsa del terrore delle stragi con modalità che rientrano a pieno titolo nella patologia psichiatrica. Squartamenti, amputazioni, bruciare vive le persone, stupri, impalamenti, forni crematori non sono immagini di un film dell’orrore ma una realtà che hanno vissuto decine di migliaia di uomini donne e bambini. Ma la Colombia non è un’ eccezione. Queste strategia del terrore ha attraversato tutta il continente latinoamericano in coincidenza con la strategia statunitense di lotta al “pericolo comunista” che ha condizionato lo sviluppo del continente latinoamericano. E’ un dato questo ormai incontestabile. Altri paesi hanno conosciuto e gesta infami di questa politica del massacro orgiastico dove la mano della potenza nordamericana era sempre presente. In Guatemala gli organismi umanitari stimano  che la “guerra civile” iniziata negli anni sessanta fino al 1996 abbia mietuto 250.000 vittime di cui 45 mila desaparecidos. In realtà è stata una guerra dello Stato guatemalteco autorizzata dal Washington per impedire esperimenti politici che facessero uscire il paese centroamericano dall’orbita statunitense come fu l’esperienza del Governo Arbenz nel 1954 colpevole di voler attuare una riforma agraria, che è stato uno dei motivi fondanti del genocidio latinoamericano.  Le vittime sono state soprattutto le popolazioni native delle diverse etnie presenti nel paese discendenti di quei popoli maya che conobbero le gesta dei conquistadores. La strategia era quella di togliere “l’acqua al pesce della guerriglia” quando in realtà si provocava anche qui il terrore tra popolazione provocando un esodo di massa. I militari che hanno governato questo martoriato paese lo hanno fatto con il sostegno militare ed economico degli Stati Uniti, e degli organismi internazionali come la Banca Mondiale. Gli episodi sono innumerevoli. Il 13 marzo del 1982, pattuglie dell’ Esercito guatemalteco e dei paramilitari Patrulla de Autodefensa Civil arrivarono nel municipio di Rio Negro nel nord del paese. Qui vennero massacrati 107 bambini e 72 donne. Le accuse (sic)?. Opporsi al trasferimento forzato per lasciare spazio alla costruzione della più grande diga del paese (Chixoy) finanziata dalla Banca Mondiale. Per questa resistenza tra il 1981 ed il 1983 vennero uccisi tra i 4 e 5 mila uomini, donne e bambini. Il massacro di Rio Negro avvenne lo stesso giorno in cui prese il potere con un colpo di stato il generale Efrain Rios Mont responsabile nei due anni successivi di massacri e la distruzione di 400 villaggi. Rios Mont che oggi aprile 2010 occupa un seggio di senatore nel parlamento guatemalteco. Il fantasma del cambiamento sociale definito da Washington ma anche dalle cancellerie europee come il “pericolo comunista” si allargò a macchia d’olio in Centro America. El Salvador fu un’altra vittima. Anche qui stesso copione. Giunte militari, oligarchie latifondiste (16 famiglie) , squadroni della morte e repressione orgiastica con impalamenti, stupri sistematici, accanimenti sui corpi dei bambini. Creare terra bruciata alla guerriglia, recitavano gli slogan del governo. Squartare un bambino sbraitava un ufficiale di un battaglione salvadoregno perché “se non lo facciamo adesso si convertirà in un guerrigliero”. Impunità totale, assenso del governo statunitense e quindi mano libera per ogni nefandezza. Tra i massacri in El Salvador che provocarono più di 50 mila vittime in 10 anni, c’è quella che viene definita la più grande mattanza dagli anni ‘80 nell’emisfero occidentale. L’11 e 12 dicembre 1981, militari del Battaglione Atlacatl, che proprio in quei giorni avevano terminato un addestramento militare sotto la guida di istruttori statunitensi, entrano nei cantoni di El Mozote, La Joya e Los Toriles. Obiettivo dichiarato? Scovare guerriglieri. Risultato? Nessun guerrigliero ed invece il massacro di circa 1200 tra uomini donne e bambini. Anche qui dopo un rituale macabro fatto d’interrogatori con torture fino alla morte, stupri, e uccisione di bambini. Poi l’oblio il silenzio le sementite del Governo salvadoregno, guidato dal democristiano Napoleon Duarte e degli Stati Uniti. Fino ad oggi nessun responsabile politico ne militare salvadoregno ne del governo statunitense è mai stato giudicato. Sia nel caso guatemalteco sia in quello salvadoregno le motivazioni di questa impunità vengono ricondotte dalle autorità giudiziarie e politiche di quei paesi, alle leggi di “pacificazione” degli inizi degli anni 90 che posero fine ai conflitti armati ma che lasciarono impuniti crimini e genocidi. Ma sarebbe sbagliato pensare che il pretesto della “guerrglia” sia alla base di questa politica genocida. La necessità di imporre con la forza più brutale un modello economico ingiusto, “business is business” e che favorisca una concentrazione di potere economico e politico è la vera motivazione. Un esempio fu la risposta alle manifestazioni di protesta il 27 e 28 febbraio 1992 contro le misure di austerità imposte dal Fondo Monetario al Venezuela e messe in atto dall’allora presidente il socialdemocratico Carlos Andres Perez. Quell’episodio conosciuto come il “caracazo” vide scendere i pizza migliaia di persone sopratutto dai barrios poveri cresciuti sulle pendici dei monti che attorniano Caracas. La repressione ordinata dal Presidente Carlos Andres Perez provocò tra le 300, stime ufficiali, e le 1000 vittime molte di queste interrate in una fossa comune nel cimitero di Caracas. Solo con l’avvento al potere del movimento bolivariano guidato da Hugo Chavez è stato aperto un procedimento giudiziario contro l’ex presidente socialdemocratico rifugiatosi negli Stati Uniti. Stessa situazione in Bolivia dove nel 2003 la decisione del Governo guidato da Diaz de Losada di privatizzare  il settore energetico provocò un reazione popolare soprattutto a La Paz e nel quartiere di El Alto con una repressione che provocò 80 morti. Anche in questo caso solo l’avvento al potere del Movimento al Socialismo guidato dal sindacalista aymara Evo Morales, ha permesso di aprire procedimento giudiziari contro Diaz de Losada, riparato negli Stati Uniti, ed altri membri del governo cosi come contro i responsabili delle dittature che hanno caratterizzato la vita politica del paese latinoamericano. Nonostante questi cambi profondi a livello politico e sociale in molti paesi dell’America Latina le oligarchie che per secoli hanno imposto il loro potere non si sono arrese utilizzando gli stessi metodi che le hanno caratterizzate. Cosi nella Venezuela guidata dal movimento bolivariano i sicari dei latifondisti hanno ucciso in questi anni, 127 dirigenti contadini mentre in Bolivia le oligarchie schiaviste della cosiddetta mezza luna, i dipartimenti di Santa Cruz e Pando hanno dato luogo a razzie e massacri con connotazioni razziste, contro i movimenti contadini come nel 2008 nella regione del Pando dove vennero uccisi decine di contadini durante una manifestazione pacifica.

Le multinazionali.

Questa politica del massacro è stata resa possibile dalla collocazione dell’America Latina nel contesto della globalizzazione economica. Le multinazionali statunitensi ma anche di altri paesi hanno giocato ruolo determinante. Già negli anni 20 del secolo scorso le proteste per le miserabili condizioni di vita dei braccianti nelle piantagioni di banane della multinazionale statunitense Unite Fruit nella regione della Magdalena in Colombia,  si risolsero con il massacro di migliaia di contadini da parte dell’ esercito colombiano. Unite Fruit che sarà artefice assieme alla Cia del colpo di stato contro il presidente guatemalteco Arbenz che nel 1954 aveva approvato una legge di riforma agraria espropriando terreni della multinazionale statunitense. La stessa multinazionale, che prenderà il nome di Ciquita, verrà condannata da un tribunale statunitense per aver finanziato i gruppi militari colombiani delle Autodefensa de Colombia responsabili di massacri contro le comunità contadine colombiane. Anche la Coca Cola è oggetto di accuse per l’uccisione di decine di sindacalisti in Colombia come testimoniano numerose denuncie di organismi umanitari internazionali. Dietro l’ultimo golpe militare latino americano, quello del 2009 in Honduras che ha deposto il presidente Zelaya, è presente l’ombra delle multinazionali alimentari e farmaceutiche statunitensi.  Cosi le multinazionali spagnole Endesa  e Union Fenosa sono sul banco degli imputati per i progetti idroelettrici contestati dalle popolazioni Mapuche in Chile o dell’assassinio di sindacalisti in Guatemala. Un lista lunga di violazioni di diritti umani di sovranità nazionali che se messe sotto accusa vedono una reazione isterica dei mass media europei attraverso campagne denigratorie contro i Governi, i casi di Venezuela, Bolivia, Ecuador ma anche Argentina, che si azzardano ad attuare politiche che eliminino queste storiche ingiustizie.

La madre di tutte le impunità

Se la logica dominate fino pochi anni fa era l’impunità lo si deve anche al riferimento politico che la Spagna ha giocato nel contesto latinoamericano. Non solo per i legami tragici che l’hanno legato storicamente al continente ma anche per aver coniato un modello d’impunità dei crimini politici ed economici rappresentato dal regime franchista. Nel suo libro sulla Falange spagnola, scritto nel 1945 Stanley Payne scrisse che un esponente del dipartimento di stato americano ottenne un documento da un segretario del ministero della giustizia franchista dal quale si desumeva la cifra di 192.684 fucilazioni nel periodo compreso tra l’aprile 1939 e il giugno 1944 vale a dire un periodo successivo alla fine della guerra civile. L’impunità dei crimini franchisti venne sancita dalla transizione politica  nel 1975 quando il dittatore Francisco Franco mori di morte naturale. Fu un’opera di assoluzione del regime di Franco che permise a gran parte della classe politica spagnola, del suo apparto di polizia dell’ esercito e dei poteri economici di passare impuni nella nuova era monarchico parlamentare. Un modello di transizione pacifica sostenevano gli intellettuali europei sia di destra che di sinistra e che i regimi latinoamericani adottarono alla lettera.  Il dibattito che in questi ultimi mesi sta scuotendo la Spagna sulla memoria storica, messa a tacere da tutte le forze politiche istituzionali in questi trent’anni di postfranchismo segue l’apertura di procedimenti giudiziari contro dittatori e uomini degli apparti di sicurezza che sono stati aperti in diversi paesi latinoamericani. Se la riparazione ed il riconoscimento delle vittime rappresenta un primo passo verso la giustizia non di meno è da considerare che la politica della fossa comune, della strage della eliminazione sistematica di intere comunità, di centinaia di migliaia di uomini donne e bambini, di una generazione politica, la sua cultura di fondo continua ad esercitare il suo potere. Solo un cambiamento delle gerarchie di potere, della logica del dominio del mercato, di una legalità che sieda sul banco degli imputati ai poteri economici oggi apprestati a pieno titolo dalle multinazionali  potrà fare giustizia di queste “mattanze e stragi di gente innocente”.


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