by Talking Peace | 2010-06-27 9:53 pm
E politicamente la relazione deve essere più stretta?
E’molto importante costruire ponti, però non possiamo perdere tempo. Come militanti abertzales e di sinistra di Iparralde, vogliamo lavorare con la sinistra indipendentista del sud, però chiediamo rispetto. Anche la lotta che abbiamo portato avanti qui è stata difficile, con molti sacrifici, e come abertzales abbiamo vissuto molte aggressioni in Iparralde. Per questo chiediamo agli abertzales di Hegolade che considerino il lavoro che abbiamo fatto. Vediamo il futuro lavorando mano nella mano assieme, però con rispetto.
Aveva 22 anni quando Lei venne arrestato. Che cosa provò ad essere solo nella cella la prima volta?
Pensai che dovevo prepararmi a passare i prossimi dieci anni in quel luogo. Mi convinsi: “Lascerò dieci anni tra queste pareti”. E’chiaro che non ero bravo e sbagliai, perché poi ne passai 17…
Eppure, due anni più tardi (nel 1986), i suoi compagni dell’ organizzazione la liberarono dal carcere di Pau assieme a Maddi Hegi. Era tornare in libertà però anche alla vita clandestina…
Quando entri in clandestinità sai che un altro modo di lottare…Sempre nascondendoti: Non sei in prigione però non è nemmeno una vita normale. Prima di scappare dal carcere pensai che di nuovo sarei tornato a vivere in questo modo. E’chiaro che la decisione è difficile, però sapevo anche che c’erano molte ragioni per fuggire dal carcere. Per me era duro fisicamente e mentalmente stare la dentro. Ed anche ero cosciente che non davo nienete alla lotta stando richiuso là. Come militante dovevo trovare una uscita per tornare alla lotta.
Però più impressionante fu quanto fece Maddi Hegi. A lei rimanevano solo de mesi di prigione. Sarebbe uscita da lì a poco per vivere una vita normale, però decise di scappare anche lei; come abertzale che il suo posto era sempre nella lotta. E, ovviamente senza dimenticare il famoso commando Didi di IK, autore di quella azione. Per un anno, tutti i fine settimana, quindici uomini e donne abertzale di Iparralde prepararono quella fuga da un punto di vista militare e mentale per entrare in un carcere…Anche questo fu un lavoro enorme.
(Maddi Hegi morirà il 6 luglio 1987 travolta da un treno assieme al poliziotto che l’aveva poco prima arrestata)
Con il nuovo arresto ed incarceramento, passò un anno in totale isolamento..Potrebbe spiegare cos’è l’isolamento?
L’isolamento è…è essere come un leone rinchiuso in una gabbia. Continua a girare su se stesso. E’simile. La mia cella era lunga sei passi. I fai questi sei passi centinaia di volte al giorno…perché arriva un momento non sei più capace di leggere, di vedere la televisione, o di pensare…Lentamente perdi tutto, ormai non sei più capace di fare niente…Solo eri capace di andare dentro la cella: sei passi, sei, sei, sei, …come un’animale.
L’isolamento è tortura…
Si. E non è che lo diciamo noi, militanti, è che lo hanno detto anche alcuni giudici: è tortura bianca. In Belgio, per esempio, lo hanno scritto esplicitamente: l’isolamento è una forma d tortura. L’isolamento ha come fine rompere le persone.
Il prigioniero politico Mikel Antza, nel suo recente romanzo “Ospitalekoak”, scrive: “Dal momento che perdiamo la libertà non siamo più quelli di prima. Vediamo che per quelli che hanno la responsabilità della nostra custodia, noi abbiamo smesso di essere persone”. Che le sembra?
(Silenzio…) Nello Stato francese si utilizza il termine “le shock carceral” che esprime lo shock che la persona riceve all’entrare in prigione; in quel momento ti rendi conto che hai perso la tua dignità, il sistema penitenziario attua immediatamente affinché tu smetti di essere una persona. Un esempio: essere obbligato a denudarti ed a mostrare se nascondi qualcosa nell’ano dinnanzi a molte e guardie…In quel momento ti rendi conto che non sei niente, niente, niente…E sempre in prigione ci sono moltissime situazioni così per dimostrarti che non sei un uomo, che sei solo un prigioniero. E per loro un prigioniero è ad un livello inferiore che un essere umano. Quando entri in carcere ricevi questo shock e in seguito ti rendi conto che sei entrato in un altro mondo, un mondo che ha altre leggi. E che ci sono due categorie di esseri: gli umani che lavorano là, con o senza uniforme, e gli altri, gi subumani, i prigionieri…
Nei suoi 17 anni di prigione ha sentito cedimenti in qualche momento?
Passi 17 anni in prigione però – lo dico adesso . penso che non avrei resistito molto di più. Sono uscito bene fisicamente e mentalmente però credo che arrivai al limite di quanto potevo reggere. Credo che se fossi stato uno o due anni di più, come molti altri, sarei crollato. Questo era quanto sentii. In questi 17 anni ho vissuto cose molto dure..Ricordo la morte di mio padre, mentre ero isolato nella mia cella; mi sposai e mi divorziai; due lunghi scioperi della fame…In questi momenti ti rendi conto che, abertzale o meno, eri solamente un uomo e sei solo nella cella. Sai che fuori c’è la tua famiglia, ed hai amore, ed eri del popolo, ed hai al solidarietà di una parte di questo popolo, però in questi momenti sei solo nella tua cella. E questa situazione alcuni non la possono sopportare. E’vero che ho pianto; ricordo solo quattro volte in qui 17 anni e so perché e per chi. Non lo dimenticherò mai. E nemmeno che in questi 17 anni ho visto piangere mia madre in tutte le visite, anche l’ultima settimana prima di uscire in libertà…Questo non lo dimenticherò mai. Non dico che non lo perdonerò; so di chi è la responsabilità. E penso che tutti gli abertzale che sono passati per il carcere mai dimenticheremo quanto abbiamo sofferto. Poi, il perdono è un’altra cosa; per me importante è continuare la lotta e vincere. Punto.
E’possibile sentirsi liberi dentro il carcere?
Si. Io stesso vissi una cosa incredibile. Dovevo uscire il 10 maggio del 2001. Quel giorno raccolsi le mie cose, stavo per uscire…Passai per un ufficio dove dovevo firmare l’atto di scarcerazione e là, improvvisamente, un agente mi dice: “Per uscire devi pagare 50.000 franchi”, – era molto l’equivalente ad una automobile- per pagare le spese processuali. Come? Ho passato 17 anni in carcere e devo pagare? Dissi di no!. Si creò un problema: c’erano giornalisti all’uscita che stavano aspettando la mia scarcerazione, c’erano la mia famiglia, gli amici, gli avvocati, la Croce Rossa..”Non pagherò”. La legge dice che se non paghi devi scontare due mesi in più di carcere. Ed io decisi di tornare in cella. Gli altri prigionieri mi ricevettero con applausi.
Non puoi immaginare cosa sentii: dopo 17 anni ero capace di dire “io non uscirò così, uscirò senza pagare; ho già pagato abbastanza” Entrai di nuovo in cella e i sentii libero perché ero capace di prendere una decisione, anche se fosse difficile – perché continuavo ad essere prigioniero , però essere libero è poter decidere senza imposizioni. Io lo feci: tornai nella cella per passare due mesi in più dopo 17 anni. Questo è sentirsi liberi.
Ha sentito odio qualche volta?
Solo una volta, quando ero totalmente isolato, ho sentito odio per la prima volta nella mia vita. Io in carcere ero come nella mia vita normale, eccetto quando mi trovai in isolamento totale. All’inizio passai un anno però dopo passai altri due anni in isolamento. Un giorno ebbi un incubo: nel sogno vidi il giudice che mi aveva giudicato morto, pieno di sangue…Che cosa aveva fatto quel giudice? Era quello che aveva firmato l’ordine per il mio isolamento. Immaginati come deve essere l’odio per avere quell’incubo. Non era colpa mia, era colpa del sistema del giudice: non accettavano che io ero un uomo e che doveva essere rispettata la mia dignità. Questo è l’odio. Comunque, è chiaro che persi subito l’odio. Durante l’anno mi passarono al regime normale e là cambiò la mia testa e mi potei normalizzare.
Nelle carceri molti prigionieri sentono odio per mantenersi decisi, pensano che questo li salverà, però non si rendono conto che l’odio è come un cancro, ti ammazza dentro… La mia fortuna è avere sentito odio poche volte.
Come visse la scomparsa di un compagno di militanza così vicino come Popo Larre?
(Il 7 agosto 1983 in prossimità del camping nella Lou Puntao de Léon (Landas), Popo Larre viene sorpreso assieme ad altri militanti dalla polizia. Nel conflitto a fuoco muore un poliziotto francese. Popo Larre riesce a fuggire ma da qual momento di lui non si saprà più nulla. Nel 2008 il tribunali francesi hanno archiviato il caso. Familiari e compagni di Popo Larre sostengono che le autorità francesi hanno responsabilità precise nella scomparsa del militante di IK che nel giorno della sua scoparsa aveva 21 anni. )
Entrai nel collettivo Jon Anza come abertzale ma anche come vecchio militante di IK perché Jon Anza è anche Popo Larre, come altri abertzales desparecidos. Sono diversi, non sappiamo dove sono i loro corpi ne cosa è successo a loro. E per me, Jon Anza e Popo Larre sono lo stesso. E come abertzale chiedo al governo francese e spagnolo “che cosa avete fatto con Jon Anza”. Con Popo Larre questa domanda rimase senza risposta. Quando io ero prigioniero non potevo fare nulla e questo comportò per l mio cuore un senso di colpa. Popo era il mio fratello di lotta, lo conobbi molto bene, e ciò che non ho potuto fare con Popo lo voglio fare adesso con Jon Anza.
(..) Su Jon Anza ho anche un punto di vista personale: venti anni in carcere, la malattia, braccato, nelle mani del nemico…Una vita così è un esempio d’impegno. Questo non vuol dire che parlo a favore di ETA, no… Dico che è un esempio come uomo (…) C’è una frase molto conosciuta: “Tutti dobbiamo dare un poco affinché pochi non debbano dare tutto” Io credo che ha più importanza dirlo in questo momento che ieri. Molta gente dice che ci sarà un cambio, però il cambio ci sarà se tutti diamo un poco.
E’ ottimista sul momento politico che vive Euskal Herria?
Si, si…Credo che mai sono stato tanto ottimista come adesso. Alcuni giorni fa parlai in una radio di Parigi che di solito ascoltano i prigionieri politici baschi. So bene che è delicato dire certe cose perché possono creare aspettative false nei prigionieri. Non si deve giocare con i sogni dei prigionieri. Però continuo ad essere abertzale e sono cosciente che si stanno muovendo molte cose, cose importanti. E credo che a breve prenderanno una buona direzione.
(…)
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