by Talking Peace | 2010-06-03 1:12 pm
Professore nell’Istituto di Criminologia dell’ università del Paese basco. Nel sua professione di medico forense ha collaborato con il Governo autonomo basco, Audiencia Nacional, e con il governo spagnolo. Ha svolto perizie su alcuni tragici episodi che hanno visto coinvolte le forze di sicurezza spagnole nella lotta contro l’indipendentismo basco
“Se risultasse che i diritti universalmente riconosciuti alle vittime fossero “solo” “verità, giustizia riparazione” per le vittime di ETA sarebbero stati perfettamente soddisfatti. Si indagarono i fatti, si processò i responsabili, e si è data riparazione. E eppure c’è un punto che manca ed è il riconoscimento sociale(..) Cosa avviene invece per le vittime antifranchiste? Non c’è st,ata ne verità, ne giustizia, ne riparazione però si riconoscimento sociale e per questo non si sono dichiarate come “vittime” non si considerano vittime perché le loro scelte ebbero un riconoscimento sociale.”
La Transizione incompiuta in Euskal Herria
La transizione politica che in Spagna ha avuto bisogno di alcuni mesi o due anni qui in Euskal Herria ha avuto bisogno di molto più tempo. Tanto che ancor oggi non s può dire risolta. Però ci viene detto che in Spagna, si. Ti dicono guarda la foto in cui Santiago Carrillo, segretario del Partito Comunista spagnolo è presentato in un atto pubblico, da Fraga Iribarne, ministro franchista, fonda datore di Alianza Popular ed in seguito presidente onorario del PP. Questa fotografia dimostra che tutto è risolto, il patto è fatto e riuscito. E la gente ci ha creduto. Poi guardi il Paese basco e vedi che non era così. Non era cosi perché nel Paese basco ma anche in altre parti dello stato spagnolo i metodi repressivi continuavano ad essere gli stessi durante la transizione. Perché ti dicono che la Spagna è uno stato con una costituzione democratica, con leggi garantiste equiparabili con gli altri stati Europei, ed io gli rispondo ditelo a Garzon. La transizione le Paese basco non è completamente risolta perché se analizzi la storia di questi ultimi settantenni si nota che è una storia ininterrotta. Per esempio le cose che io nel mio lavoro di medico forense ho ascoltato e letto dalla Guardia Civil che poi si dimostravano completamente false, sono le stesse volgarità che tu puoi leggere in documento degli anni cinquanta o dell’anno 1936. Le stesse cose. Scrivono delle cose trattandoti da imbecille. Frasi del tipo: “l’arrestato ha cercato di fuggire. Quindi siamo stati costretti a fermarlo mediante l’uso della forza”…. per questo l’arrestato è in fin di vita dopo aver subito maltrattamenti e torture. Se mi chiedi se io ho avuto pressioni nel mio lavoro di medico forense, beh a me hanno bruciato l’automobile. Ad un mio collega di San Sebastian gli hanno messo una bomba, era il 1986. Episodi che non sono mai stati indagati. Perché? Noi sappiamo benissimo chi distrusse l’auto e collocò la bomba. Perché ci conosciamo tutti. Perché dopo sette anni qualcuno ti dice qualcosa e tu fai delle deduzioni e capisci chi e come vennero fatte le cose. Questi episodi non erano diretti a farti desistere o meno dal tuo lavoro. La questione era se avevi o meno l’avvallo del giudice. Cioè il tuo lavoro era possibile se il giudice ti dava l’appoggio. Insomma non diedi molto peso a quelle minacce anche se capitavano in epoca, attività dei GAL, dove le pressioni c’erano. Poi alcuni anni dopo (1995) mi trovai coinvolto nel caso di Lasa e Zabala anche perché all’epoca della loro scomparsa (ottobre 1983) io ero medico forense.
Lasa e Zabala desaparecidos della democrazia
Il caso di José Antonio Lasa Aróstegui e José Ignacio Zabala Artano, fu un caso di persone arrestate da forze di sicurezza e scomparse ma non l’unico. (Ci sono altri casi come quello de El Nani[1], o il caso Almeria [2]dei tre giovani, scambiati per militanti di ETA, torturati e giustiziati[3], o quello di Jean Paul Raguet, ex membro dei servizi d’informazione francesi e confidente della polizia spagnola, che nel luglio 1984 decide di rivelare quanto sà sulla guerra sporca, per scomparire immediatamente dopo. Due mesi dopo il suo cadavere viene ritrovato a Tenerife con evidenti segni di tortura.)
Nello sviluppo giudiziario del caso di Lasa e Zabala per me fu determinante il ruolo del fiscal Ignacio Gordillo dell’ Audiencia Nacional. Fu lui, le famiglie dei due rifugiati e poliziotti democratici e seri, uno dei quali, il commissario Jesus Garcia, mori d’infarto il giorno dell’ inizio del processo. Era un funzionario della polizia giudiziaria del palazzo di Giustizia di Alicante che aveva giurisdizione sul municipio di Busot dove vennero rivenuti sepolti i cadaveri dei due rifugiati baschi nel 1985 due anni dopo la loro scomparsa. Già a quel tempo ci si pose la domanda se la metodologia di esecuzione sommaria dell’epoca franchista, uno sparo alla testa e poi la vittima interrata e cosparsa di calce viva, fosse riscontrabile anche nei casi di “scomparsi” dopo la morte di Franco. C’era notizia del ritrovamento di fosse con resti di persone giustiziate e cosparse di calce viva. Anche ad Alicante. Ma potevano essere di qualsiasi epoca. Fu cosi che ha questa domanda venne data risposta poiché si ebbe notizia di fosse in cui erano stati trovati corpi di persone giustiziate e cosparse di calce viva. Ed anche ad Alicante. Questi ritrovamenti potevano essere di qualsiasi epoca però potevano essere anche di Lasa e Zabala. Quando, nel 1995, venne data la notizia del ritrovamento dei resti di due persone ad Alicante io ci andai e rimasi sbalordito perché questa volta erano proprio i resti dei due rifugiati baschi. Li trovammo con il capo avvolto in una coperta, con nastro adesivo da elettricista sugli occhi, diversi passaggi, un bavaglio sulla bocca, cerotti, mercuro cromo sul corpo, sicuramente furono torturati. Del resto lo stesso Segundo Marey (cittadino francese di Iparralde, sequestrato il 4 dicembre 1983 da mercenari al soldo dell’autorità spagnole, confuso con il presunto militante di ETA , Mikel Lujúa,) sarebbe stato ucciso ma venne liberato perché era ancora presentabile mentre Lasa e Zabala non erano “più presentabili” per le violenze subite.
La vicenda di Lasa e Zabala fu molto complessa. I loro corpi vengono trovati due anni dopo (1985) la loro scomparsa ma casualmente. E un medico forense pratica una autopsia. Però non sa chi sono i due corpi che sta analizzando. Fa un’autopsia molto semplice e interpreta che le unghie sono state strappate e che sono stati uccisi per percosse ricevute sulla testa. Fatta l’autopsia questa viene inoltrata alla Audiencia Provincial di Alicante che archivia il caso con la motivazione è che non si conosce identità delle vittime. Una archiviazione scandalosa perché già allora, ad Alicante, qualcuno intuì che i due corpi potevano essere erano “delle due persone scomparse nel sud della Francia”. Ed infatti sui giornali di Alicante la scoperta dei due cadaveri fu notizia sui giornali tanto che qualche giornalista che paventò l’ipotesi che fossero quelli di Lasa e Zabala. Passarono dieci anni quando esplose il caso gal e riapparve la questione degli scomparsi e dei metodi utilizzati. Fu allora,1995, che potemmo accedere all’istruttoria archiviata e nell’ istruttoria c’erano le foto e ovviamente all’autopsia. Visto che le indagini non erano nemmeno iniziate io pensavo che non avremmo potuto analizzare alcunché perché le autorità giudiziarie di allora decisero che i resti dei corpi venissero gettati nell’ossario generale del cimitero di Alicante. Il fatto sorprendente è che i corpi non vennero gettati nell’ ossario ma erano composti in due feretri che si trovavano in una camera frigorifera del deposito di cadaveri del cimitero di Alicante che però non era in funzione. Era una stanza dove c’erano i resti dei due rifugiati in due casse e basta. Dalle prime analisi effettuate mi colpi che la prima autopsia non rilevò che i due giovani erano stati uccisi con colpi d’arma da fuoco alla testa. Per questo chiesi al giudice che seguiva il caso di potere tornare sul luogo dove vennero ritrovati i due cadaveri per verificare se cerano altri elementi. Ed infatti trovammo altri bossoli. Fu una scoperta importante perché quei bossoli corrispondevano a pallottole calibro 9 lungo che erano quelle delle forze armate spagnole. Era cosi tutto evidente. Il senso di impunita assoluta.
(Il processo sulla scomparsa e morte dei due rifugiati baschi si concluse (aprile 2000) con la condanna dei membri della Guardia Civil, il generale Enrique Rodriguez Galindo, comandante del quartiere militare di Intxaurrono, il capitano Angel Vaquero Hernandez, il sergente Enrique Dorado Villalobos, il guardia civil Felipe Bayo ed il governatore civile dell Guipuzcoa Julian Elegorriga Goyeneche a pene di 75 anni anni di carcere. Gli imputati,sette anni dopo era già tutti in libertà).
Impunità assoluta
Era tutto evidente di come andarono i fattti. Perché durante la transizione ma anche dopo il senso d’impunità assoluto pervadeva i corpi di sicurezza spagnoli. Lo riscontravano anche i giudici che entravano in quegli anni nella magistratura come ai membri delle forze di sicurezza non veniva insegnato che dovevano rispondere e lavorare per i giudici. Gli veniva detto che le forze di sicurezza erano un corpo a sé dentro lo stato.. Non era difficile che un giudice chiedesse ad un poliziotto d’identificrasi ed questo rispendere: “ perché devo farlo?”Oggi non è così fortunatamente però a quel tempo c’era un impunità cosi grande ed è per questo che si sa molto della guerra sporca. Perché c’era una supponenza cosi diffusa che si vantavano delle loro gesta pubblicamente. Si aveva molte informazioni ma non prove.
Il caso Zabaltza
(Il 25 novembre 1985 un’autista di autobus, Mikel Zabaltza, venne arrestato dalla Guardia Civil a San Sebastian assieme alla sua compagna ed altri amici accusati di essere “collaboratori di ETA”. Dieci gironi dopo vengono rilasciati senza accuse tutti meno Mikel Zabaltza. Per la Guardia Civil Zabaltza si sarebbe dato alla fuga mentre veniva accompagnato da tre guardia civiles per rivelare un deposito di armi di ETA. Ammanettato, si sarebbe gettato nel fiume Bidasoa, pur non sapendo nuotare. Indagini giornalistiche confermarono coincisero nel sostenere che Mikel Zabaltza morì dopo le torture subite nel quartiere della Guardai Civil di Intxaurrono e poi gettato nel fiume Bidasoa. Il caso giudiziario venne archiviato)
In questo caso io dico sempre che non bisogna essere medico forense per smentire la versione ufficiale. Il Ministro degli Interni dia allora, il socialista José Barrionuevo, decise di avvallare una versione incredibile. Quella della Guardia Civile del tenete colonnello Rodriguez Galindo e del Governo Civile (Commissariato del governo) di San Sebastian. E’ questo favoreggiamento del ministro che permise in seguito il verificarsi di altri casi simili. La versione ufficiale sulla morte di Mikel Zabaltzaera inverosimile. Secondo questa versione tre guardia civiles accompagnano Mikel Zabaltza in un località vicino al tunnel di Endarlaza, perché il detenuto avrebbe rivelato l’esistenza di un deposito di armi. Prima incongruenza. In nessun modo tre soli agenti avrebbero accompagnato di motu proprio un detenuto di un commando di ETA; il regolamento interno lo proibiva vista, tra l’ altro, la probabilità di una imboscata. Seconda incongruenza. Arrivano con un’auto civetta, quindi non identificabile, in prossimità del tunnel dove si trova anche un caserma della Guardia Civil che era stata oggetto di attentati con granate da parte di ETA. Scendono dall’auto i due guardia civiles e Zabaltza, il terzo rimane a bordo con le luci dell’auto accese, era sera. Zabaltza viene accompagnato nel tunnel, qui spinge un militare e si getta ammanettato nel fiume. I due guardia civiles, tornano avvisano il loco collega e vanno a Behobia ad alcuni chilometri di distanza per telefonare da una cabina ed avvisare il quartier della guardai civil di Intxaurrono a San Sebastian che il detenuto è fuggito, ovviando la caserma della benemerita spagnola che era a pochi metri dal luogo della presunta fuga. Però non solo questo. La trama fu ordita a tal punto che essendo la sparizione avvenuta a Endaralza, la competenza del caso era del Tribunale di Pamplona e non di Donostia. Perché pur essendo militante di ETA, però scomparso e poi rivenuto morto, il caso non è competenza dell’Audiencia Nacional ma del giudice naturale.
Ombudsman spagnolo Mugica Herzog afferma che “in Spagna non esiste la tortura”….
Io invece dico che la tortura esiste. Io lo spiego nel seguente modo. L’ultimo regolamento riguardante la gestione delle persone arrestate data l’epoca in cui Juan Alberto Belloch era Ministro di Giustizia (1994). In quell’ epoca visti u numerosi scandali emersi, si pretese che venisse redatto un protocollo del rinascimento forense. Da allora non si è avuta nessuna modifica, nessun migliorante o suggerimento. E credo che sia molto strano. Perché in qualsiasi funzione amministrativa con il passare del tempo sempre vengono incorporate modifiche. Mi sembra normale che regolamenti vengano aggiornati affinati migliorati. L’unico tema che non viene minimamente toccato è quello delle persone arrestate. Salvo il parlamento autonomo basco che alcuni anni fa approvò che nei casi di persone arrestate in virtù della legge antiterrorista, avevano diritto ad un medico di fiducia, alla registrazione di tutta alloro permanenza durante il fermo di polizia (cinque giorni durata massima), che non sempre la Ertzantza applicò. Stessa cosa fece in alcuni casi Garzon che iniziò ad applicarle questo codice con l’istruttoria su Al Qeda. Però la questione è evidentemente falsata. Perché tu oggi sei entrato in questo edificio (università di medicina) ed anche in questo edificio ci sono cineprese che controllano l’entrate uscite. Invece nei commissariati o caserme delle forze di sicurezza queste camere a circuito chiuso non esistono. Nonostante il detenuto per legge ha diritto ad un riconoscimento di una medico forense per i detenuti in virtù della legge antiterrorismo le strategie di per eludere sono state innumerevoli. Io quando mi occupavo di questi casi mi ricordo delle mille arguzie che mettevano in campo. Del tipo: “ Il detenuto non è più qui lo abbiamo trasferito a Madrid”. Telefoni a Madrid e ti dicono che non c’è. Oppure ti fanno visitare 14 dei 15 detenuti e tu dici che ne manca uno e loro ti rispondo di no che l’hai già visitato. E proprio quello che manca è quello massacrato. Le situazioni umilianti ed assurde quando il giudice ti autorizzava a vistare il detenuto nella caserma della Guardia Civil, dove si trova in stato di arresto ed isolamento per la legge antiterrorismo. Tu medico forense ti trovavi con un guardia civil che ti diceva che non potevi parlare con il detenuto. Tu dicevi che gli devi fare delle domande per visitarlo e il guardia civil che ti risponde non perché è in isolamento. Adesso le cose sono cambiate perché le persone arrestate vanno direttamente a Madrid. Io sono convito che tutta questa situazione era determinata dalla volontà di vulnerare i diritti del detenuto. Per questo ancor oggi la richiesta è che se una persona è accusata di violare la legge antiterrorismo e non vuole dichiarare non c’è altro da fare che accettare perché ha diritto a non dichiarare e passare immediatamente dinnanzi al giudice. Perché non c’è motivo alcuno che giustifichi la permanenza in isolamento nella mani della forze di sicurezza di una persona arrestata per cinque gironi. Mi ricordo quando Julio Medem realizzò il documentario “La pelota vasca”[4] mi fece alcune domande sulla tortura che vennero inserite prima delle risposte di Felipe Gonzales (presidente del governo spagnolo dal 1982 al 1996). Io risposi che la tortura esiste ed è generalizzata. Affermai che sono rari i casi di una persona arrestata che non subisca vessazioni, insulti botte, o torture. Gonzales subito dopo, alla rispose “sul tema si è esagerato”. Cioè un ex capo di stato, un politico non risponde “anche se fosse un solo caso, necessita fare luce e che non si ripeta mai più”. Che è come dire visto che la violenza sulle donne riguarda il 2% di esse non è grave!!!. Il trattamento della persona arrestata rimane ancora un buco nero. Perché ciò che non sembra ovvia è che un detenuto ha dei diritti, di sdraiarsi, di mangiare, di aver la coperta pulita e non sporca di piscio, che la cella dove è rinchiuso nel commissariato o caserma della Guardia Civil o della polizia municipale sia pulito. I responsabili ti dicono che “una donna passa a pulire”, quando il giorno prima c’era rinchiusa una persona che aveva una tubercolosi polmonare o un’altra l’epatite. Alcuni anni facemmo, come Istituto di criminologia, su richiesta dell’Arateko, Obusmann del Paese basco un indagine sui luoghi di detenzione nelle province basche. Il risultato fu penoso. E terribile. Per esempio la polizia municipale di Irun ha una cella per persone arrestate che non è mai stata disinfettata.
Responsabilità politiche e della magistratura
Però bisogna essere chiari. Per me la colpa dell’esistenza della tortura non è solo di chi la pratica ma è anche del giudice che guarda dall’altra parte. E questo è un problema politico. Per capire che cultura permane nelle menti politiche in Spagna ci sono molti episodi. Come per esempio, che in una società che si definisce democratica, un cittadino che si chiamava Joseba Arregui, venga arrestato a Madrid, (febbraio 1981), come unico membro di un commando di ETA, si suppone, perché non si potrà mai sapere visto che lo hanno ammazzato. Dopo alcuni giorni di permanenza nelle mani della polizia muore e vengono accusati dei poliziotti. Dopo un lunghissimo iter giudiziario dei venti poliziotti accusati dell’ omicidio solo due vennero giudicati. Si provò che Arregui mori dopo violentissime torture. I due poliziotti vennero condannati ad alcuni “mesi” di carcere che non scontarono. Anzi vennero promossi. Nel 2005 (governo Zapatero) promosse José Antonio Gil Rubiales, uno dei due poliziotti, a commissario capo del Commissariato di santa Cruz de Tenerife, (Isole Canarrie). Questa è l’immoralità nel paese in cui vivo. Questo Gil Rubiales proveniva dalla polizia franchista ed aveva mantenuto la stessa mentalità sulla funzione che un funzionario di polizia deve avere. Ma non solo questo ma vine nominato nuovamente responsabile di un ufficio di sicurezza!! E’ come se un pederasta dopo la punizione viene nominato educatore in una scuola di bambini. Perché è certo che il poliziotto ha diritto al reinserimento sociale ha diritto ad avere un posto di lavoro.Ma dovrà lavorare in un ambito completamente diverso da quello della gestione dei conflitti umani. Che lo mettano nella gestione dell’officina del commissariato. Invece lo nominano come massimo responsabile di un Commissariato dove devono essere affrontati quotidianamente conflitti umani e sociali.
Riconoscimento sociale
Recentemente ho partecipato in Colombia ad una conferenza internazionale, dove c’erano rappresentanti di diversi paesi, proprio sulla questione del recupero e dell’importanza sociale della memoria storica o memoria collettiva. Si è contata come questo tema è di importanza fondamentale per il presente e per costruire il futuro. Che non si può relegare nel dimenticatoio questi fatti storici. Per esempio il Portogallo che parlava del suo passato coloniale e delle conseguenze in questi paesi e di cosa è stato fatto e cosa ci sarà da fare, un tema che dieci anni fa magari non era oggetto di discussione. E questo tema assume il suo significato pieno perché la questione della vittima è un valore sociale.
Però a questo bisogna aggiungere un’altra questione che è quella del riconoscimento. Per esempio per quanto riguarda le vittime del terrorismo di ETA, i principi della “verità giustizia e riparazione” per le vittime sono stati rispettati. Se risultasse che i diritti universalmente riconosciuti alle vittime fossero “solo” “verità, giustizia riparazione” per le vittime di ETA sarebbero stati perfette mante soddisfatti. Si indagarono i fatti, si processò i responsabili, e si è data riparazione. E eppure c’è un punto che manca ed è il riconoscimento sociale.Quando poi paradossalmente le istituzioni attuano una politica come se questo riconoscimento sociale fosse l’obiettivo principale da raggiungere. Cosa avviene invece per le vittime antifranchiste? Non ‘c’è stato ne verità, ne giustizia, ne riparazione però si riconoscimento sociale e per questo non si sono dichiarate come “vittime” non si considerano vittime perché le loro scelte ebbero un riconoscimento sociale. Cosa che non è avvenuta per le vittime del terrorismo, magari non in modo omogeneo, però in generale è cosi. Forse è qui che risiede questa sovraesposizione delle vittime del terrorismo presenti in ogni iniziativa istituzionale. Ma anche persone che hanno subito la violenza dello stato e sono centinaia e centinaia, hanno un riconoscimento sociale significativo, che è poi l’unica cosa che hanno riconosciuto perché quasi sempre di verità, giustizia e riparazione nemmeno l’ombra.
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