ARRESTI PROPAGANDA

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Continua la propaganda repressiva del Governo spagnolo, impegnato a mostrare fermezza nei confronti del percorso di democrazia “senza violenze ne ingerenze” adottato dalla sinistra indipendentista. Dopo la libertà provvisoria concessa “alla presunta militante di ETA” cosi la definivano i giornali spagnoli, Itxaso Urtiaga Valderama, nuova operazione di polizia contro appartenenti alla area sociale della sinistra indipendentista Ad essere arrestate questa mattina in una operazione ordinata dal giudice dell Audiencia Nacional, Grande Marlasca, ed eseguita da Policia Nacional e  Guardia Civil nelle province di Alava e Navarra sono dieci persone. Ecco i loro nomi: Xabier Beortegi, Iñigo González, Iker Moreno, Gorka Zabala, Jon Patxi Arratibel, Gorka Mayo. Koldo García, Miguel Angel Llamas, Edurne Sauzo., Oihana Odria. Da fonti della Guardia Civil, come riferisce il quotidiano El Pais queste persone farebbero parte del gruppo Ekin, già oggetto di operazioni di polizia nel settembre dello scorso anno e avrebbero “trasmesso direttrici e comunicati di ETA al resto delle organizzazioni della sinistra indipendentista” (sic!). Una tesi patetica, quella delle “strategie occulte” difesa da Rubalcaba e Garzon, quando le scelte sia di ETA che della sinistra indipendentista sono ormai pubbliche. E sostanzialmente definite Ma ad accrescere lo stupore è un’altra tesi accusatoria secondo la quale, sempre secondo fonti della Guardia Civil queste persone “per evitare la pressione della polizia avevano deciso di integrarsi in organizzazioni come Segi, Askatasuna ed incluso Batasuna” (!!!), come se queste organizzazioni non fossero state oggetto in questi ultimi mesi delle attenzioni di magistratura e forze di sicurezza.  Ma le “accuse schiaccianti” non finiscono qui. Quattro degli arrestati svolgevano “attività di appoggio ai prigionieri di ETA” termine con il quale Governo e stampa spagnola definiscono il movimento a sostegno dei prigionieri politici baschi che non sono solo di ETA ma anche di organizzazioni politiche della sinistra indipendentista basca. Movimento che ha portato nelle strade di Bilbao il 7 gennaio scorso 64000 persone, che visti i presupposti, potrebbero potenzialmente andare ad ingrossare, duplicando, la popolazione carceraria spagnola che è di 74000 persone detenute di cui 750 prigionieri politici baschi. Un’altro “grave delitto” attribuito a questi quattro persone arrestate è avere relazione con la pagina web www.apurtu.org, sito web in rete ormai da anni e che per il quotidiano El Pais “denuncia le operazioni di polizia contro il sistema ETA e si loda (sic) i prigionieri.” Non sapendo cosa aggiungere a queste accuse gravissime il quotidiano spagnolo scrive: “In una della sue ultime pubblicazioni si informa di una manifestazione celebrata nel quartiere di Pamplona della Chantrea “in difesa dei sette giovani del quartiere minacciati dalle liste nere” che secondo quanto sostengono, elabora il Ministero degli Interni”.


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The death basements of Cizre: Five years on, victims are still fighting for justice

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At least 177 people were burned alive or shot by the Turkish military in what became known as the “death basements of Cizre” in February 2016. Five years later, impunity continues and denies the victims justice.

KURDISTAN SENZA TREGUA

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Torna sulle prime pagine dei giornali il conflitto kurdo-turco. I 26 (o 24 a seconda delle fonti) militari turchi morti in una serie di attacchi simultanei sferrati dai guerriglieri del PKK contro diversi obiettivi delle forze di sicurezza nella zona di Hakkari hanno fatto gridare a una nuova recrudescenza del conflitto. In realtà la guerra non è mai cessata, le operazioni dell’esercito turco non sono mai diminuite. Anzi, da agosto si susseguono bombardamenti in tutta la zona al confine con Iraq e Iran e spesso e volentieri gli F-16 turchi sono entrati nel Kurdistan iracheno colpendo non tanto o non solo le basi del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ma soprattutto villaggi facendo molte vittime civili di cui nessuno parla.

Gli attacchi di ieri hanno suscitato reazioni molto forti, comprensibilmente. A parte il presidente della repubblica, l’islamico Abdullah Gul, che ha promesso “vendetta” e altro sangue, è stato il BDP (Partito della Pace e Democrazia), cioè il partito dei kurdi a fare la prima dichiarazione. “Basta – si legge nel comunicato – con la guerra. E’ tempo che le armi tacciano e si realizzino le condizioni per favorire la pace”. Parole che il BDP va ripetendo da anni ormai. In questo sostenuto dal PKK che (è bene ricordarlo) ha osservato un cessate il fuoco unilaterale fino al 15 giugno di quest’anno. Cioè fino a dopo le elezioni politiche che hanno visto kurdi e sinistra turca eleggere ben 36 deputati al parlamento turco. Quello che è successo dopo questo risultato serve a contestualizzare anche l’attacco di ieri, al quale i turchi hanno risposto con una nuova offensiva aerea in nord Iraq.

Uno dei 36 deputati, Hatip Dicle (in carcere), è stato privato del suo mandato per un ‘reato’ (lui che era già stato deputato con Leyla Zana e aveva già fatto 10 anni di carcere) di natura ‘terroristica’. Cinque deputati sono attualmente in carcere. Al giuramento, dopo un boicottaggio durato tre mesi e mezzo, si sono presentati in 30. Da marzo a oggi sono finiti in carcere qualcosa come ottomila tra amministratori locali kurdi, attivisti per i diritti umani, militanti del BDP con l’accusa di essere in qualche modo legati al PKK. Dal 2009 (anno della vittoria dei kurdi alle amministrative) sono sotto processo oltre quattromila politici kurdi. Dal 27 luglio il presidente del PKK Abdullah Ocalan (in carcere dal 1999 sull’isola di Imrali) non può vedere i suoi avvocati. Un divieto imposto dopo che per mesi uomini del premier Recep Tayyip Erdogan hanno incontrato il leader kurdo per concordare “protocolli di pace” poi gettati nel cassetto.

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