by Talking Peace | 2011-01-26 11:05 am
Peacereporter. Rivelazioni scottanti, ma evidenti per tanti da molto tempo. La Palestina esisterà solo rinunciando a se stessa Uno degli ingredienti dell’era di WikiLeaks è un retrogusto di deja vu. Anche la Palestina non sfugge a questa ricetta. Il quotidiano britannico Guardian e il network arabo al–Jazeera hanno svelato che l’Autorità Nazionale Palestinese e il suo leader, Abu Mazen, sono ormai pronti a cedere su punti ritenuti per anni irrinunciabili nei confronti d’Israele, pur di ottenere lo stato palestinese.
Lo ‘rivelano’ circa 1.700 documenti segreti che raccontano centinaia di incontri tra palestinesi, israeliani e statunitensi, che producono montagne di email e bozze di proposte. Li hanno già battezzati Palestinian Papers. Quali? Gli insediamenti illegali a Gerusalemme Est, per esempio, in violazione di qualsiasi norma di diritto internazionale. Solo per chi non voleva vedere questo spiega il distacco con il quale il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha trattato l’amministrazione Obama sul congelamento delle colonie illegali in Cisgiordania. Netanyahu sa che può alzare la posta, perché il fronte palestinese è diviso. Rinunciare anche al diritto al ritorno dei due milioni (ma di sicuro sono molti di più) di palestinesi scacciati dalle loro case dl 1948 a oggi.
Basatava essere per le vie di Gerusalemme, di Nablus, di Jenin durante il massacro di Piombo Fuso, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, per vedere attivisti pestati dai poliziotti di Abu Mazen solo perché chiedevano la fine dei bombardamenti, mentre venivano messi in carcere tutti i sostenitori (e anche i deputati) di Hamas. Bastava vedere quello per capire che non esisteva più un fronte palestinese unito. Vero è che il mancato riconoscimento della vittoria elettorale di Hamas quattro anni fa ha sancito la spaccatura tra il movimento islamico (che controlla Gaza) e il partito Fatah di Abu Mazen (che controlla l’Anp e la Cisgiordania), ma i giorni di Piombo Fuso hanno rotto per sempre il sacro vincolo della solidarietà, dell’unione tra i palestinesi contro l’occupante.
Perché? La risposta è facile: Abu Mazen e i suoi, ormai, non rappresentano più nessuno. Sono solo il fantasma della generazione che ha fallito, guidata da Arafat, prima la fase insurrezionale poi quella negoziale. Il pallido ritratto di un Dorian Gray che, nello stesso momento, invecchiava vedendo ringiovanire l’icona di Hamas. Senza avere più risposte da dare alle domande di donne, uomini, giovani e vecchi palestinesi. Oslo una promessa tradita, loro gli unici a trarne beneficio, nel senso del potere personale. Hamas oggi si affanna a comunicare tutto il suo sdegno, ma sono mesi che Hamas sa benissimo che Abu Mazen e i suoi venderebbero l’anima al diavolo per ottenere uno staterello palestinese, un elenco di tristi bantusan sui quali far sventolare una bandiera palestinese, così lontani l’uno dall’altro da non vedere che il vessillo dell’altro è uguale al tuo. Solo che questo è rimasto l’ultimo colpo da sparare a una cricca sul viale del tramonto.
L’unico che potrebbe, in questo frangente, parlare a tutti i palestinesi è Marwan Barghuoti. Marcisce in un carcere, perché Israele sa che la situazione diventa sempre più favorevole. Nessuno indirà elezioni (toccherebbe ad Abu Mazen farlo) perché chi può farlo non vuole perdere. Ecco che si compie la somma beffa per il popolo palestinese: i suoi diritti, calpestati da sessant’anni inseguendo il sogno dell’indipendenza, verranno calpestati proprio da chi avrà una bandiera a brandelli da presentargli come patria.
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/26478/Palestina%2C+la+bandiera+a+brandelli[1]
Source URL: https://globalrights.info/2011/01/palestina-la-bandiera-a-brandelli-christian-elia/
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