PROCESSO ALLA DISSIDENZA BASCA: LA MISERIA SECURITARIA

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La richiesta del pubblico ministero di una condanna a 10 anni di carcere per i 9 esponenti della sinistra indipendentista basca arrestati nell’operazione del 18 ottobre 2009, con l’accusa di “voler costituire un organo di costruzione del polo per la sovranità sotto il controllo di ETA”, sembra confermare una tesi: quella dell’utilizzo strumentale da parte del potere, qualsiasi sia la sua forma, della violenza politica. Strumentale per garantire consenso, per articolare un sistema giuridico che limita le liberta individuali e collettive di tutti, non solo dei presunti “terroristi”, che sostituisce la logica della “polis” con quella del “nemico”, esterno o interno che sia, che impone uno stato di allerta permanente, una chiamata alle armi quotidiana. La logica securitaria che ha sostituito, qui, nella tronfia e allo stesso tempo isterica Europa, l’equilibrio del terrore, la guerra fredda. Logica che dalle leggi securitarie arriva fino ai muri eretti in Grecia piuttosto che a Ceuta, ai cinturoni di difesa marittimi, per governare, eufemismo per dire reprimere, le ondate migratorie verso il miraggio di una vita “che vale la pena vivere”. Per governare in realtà il meccanismo di sussidiarietà del “sud dei mondi” al “modello oligarchico di accumulazione capitalista neoliberale”, che in altri tempi veniva anche chiamato Sistema Internazionale della Multinazionali. Una logica che si dipana nella rappresentatività della politica ridotta al bipolarismo, non ideale e nemmeno programmatico, ma di gestione della gerarchia di poteri costituta. Dove il pubblico ha sempre più funzione sussidiaria al privato dei padroni del mercato. Che traducono questo nuova era dell’oro mercantilistica nella restaurazione del regime produttivo, con il domino della legge della jungla capitalista, dove il lavoratore, il produttore, torna ad essere, dopo decenni di speranze risposte in un sindacalismo che si “è fatto stato”, mero ingranaggio, macchina di nervi e muscoli, del meccanismo competitivo nella competizione per il dominio economico.

Si, tutto questo contiene una “semplice” richiesta di condanna. Perché sancisce la teoria  del ineffabile Garzon paladino della condanna delle violazioni nelle guerre altrui ma complice nel perpetuare la causa del conflitto basco spagnolo  che ha nella impunità politica storica e giudiziaria del franchismo la sua genesi. Perché sia Garzon che il PSOE e il PP hanno compiuto alla lettera il dettami della “riforma indolore”, voluta da Europa e USA, del regime franchista per continuare a svolgere “secondo i parametri delle democrazie occidentali” la funzione che aveva svolto per quarant’anni: imposizione di un modello economico, negazione dei diritti sociali e nazionali dei cittadini nello stato spagnolo. Riforma indolore che era sta presa  a modello anche dalle “democrazie latino americane” che avevano lasciato impunite dittature e repressioni sistematiche basate su mattanze di massa seguendo i protocolli di Washington.  Solo con il nuovo corso dell’inizio del XXI secolo che hanno ridato sovranità e dignità a questi paesi “la memoria storica” è tornata ad essere norma di diritto abrogando l’impunità.

Per il “padre” di tutte le memorie negate, la dissidenza basca rappresentava e rappresenta l’unico vero e consistente pericolo a questo modello, o almeno alla sua articolazione senza ostacoli. E come in tutti i conflitti di questa natura la violenza “politico militare” ha contribuito a la messa in evidenza della violenza strutturale, che affonda le sue radici nella mancanza di rottura con alcuni principi del passato regime. Una violenza strumentale e strumentalizzabile. Una violenza la cui funzione “pedagogica”, a seconda delle epoche e delle modalità, fungeva da contraddizione del sistema o elemento funzionale al sistema. Perché lo stato spagnolo dimostra, oggi,  che necessita un certo grado di violenza per conseguire il consenso alla negazione dei diritti civili e politici e a NON fare i conti con almeno una parte della propria storia. Non necessita una violenza come quella degli anni ottanta con un ETA che attraverso al sua strategia “politico militare” contribuiva a “una accumulazione di forze” a favore di una soluzione dialogata del conflitto. O come negli anni novanta dove questa strategia, indirizzata alla “socializzazione della sofferenza”, aveva “imposto” un patto autodeterminista delle forze politiche e sociali basche. Ma di una violenza residuale, nei fatti, che permetta di oscurare il dibattito, le scelte e l’assunzione di una strategia che constati la necessita di una azione su terreno strettamente politico, senza violenza da ambedue le parti, come ha deciso l’insieme della sinistra indipendentista basca. Questa scelta era a conoscenza di Governo e magistratura, e dello stesso  Garzon  quando sotto i riflettori della spettacolarizzazione come è sempre stata sua abitudine, decretò quella sera del 18 ottobre 2009 l’arresto di Arnaldo Otegi.  Rufi Etxeberria. Rafa Díez Usabiaga. Miren Zabaleta. Sonia Jacinto. Arkaitz Rodríguez, José manuel Serra, Amaya Esnal. José Luis Moreno Sagüés.  Perché, come scrive il quotidiano Gara “tra tutti i documenti filtrati dal Ministero degli Interni alla stampa (presumibilmente trovati durante l’operazione di polizia) mancava l’ultimo il più importante, quello che aveva il timbro di Batasuna e faceva appello a a percorre vie pacifiche?”.  Per  paura della Politica, verrebbe da dire, quella del confronto tra tutte le opzioni, tra programmi sociali e politici non di gestione ma di cambiamento, di una democrazia reale. Perché altrimenti non è comprensibile come per decenni lo stato spagnolo abbia fatto di tutto per “costringere” la sinistra indipendentista ad entrare nelle istituzioni, e adesso che decide di farlo, accettando le forche caudine della liberticida legge sui partiti, perché cosciente della propria forza e proposta politica, il governo, la magistratura e i due principali partiti PSOE e PP facciano di tutto per impedirlo.


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