APOLIDI. Iñaki Egaña

by Talking Peace | 23rd February 2011 6:04 pm

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L’ultima pista me l’ha data il giurista Javier Perez Royo in un articolo che pubblicò poco fa il quotidiano El Pais. La citazione è un po’ lunga, però ne vale la pena: “Il diritto alla partecipazione politica è un diritto costitutivo dell’uguaglianza. Noi spagnoli siamo uguali perché partecipiamo in condizioni di uguaglianza nella formazione della volontà generale in tutti i livelli della nostra formula di governo costituzionalmente definita. Per questo è un diritto dal quale sono esclusi gli stranieri”.

Sò che alla secca affermazione precedente si dovrebbe fare qualche commento e anche appendici. Per esempio, che in determinate circostanze e con convenzioni speciali, alcuni stranieri possono votare, nelle elezioni municipali. Fatto che potrebbe essere sorprendente. Se nato a Quito o Cuzco potrà esercitare il diritto di voto mentre se di Donostia (San Sebastian) koskero, ironizzandoci addosso a mo’ di Pio Baroja, solo poterono votare attraverso schede angelicali (bianche) o dai caratteri anarcoidi (nulle).

Con questo voglio dire che ai baschi, o per essere precisi, ad un settore importante di loro, se li considera elettoralmente stranieri. O più che stranieri. O meno, scusate. Nemmeno cattivi spagnoli ma solo non spagnoli. Seguendo la logica del giurista Perez Royo. Il che risulta per lo meno curioso.

Perché mi sembra del tutto irreale che a quelli a cui si mette una nazionalità come se fosse una supposta, alla fine gli vengano negati  i diritti che spettano, costituzionalmente o meno, a questa stessa nazionalità. Insomma, che la supposta non è messa per alleviare la malattia (la loro apatia spagnola) ma semplicemente per fottere. Chiedo venia ai ben parlanti. Ma oggi ho una digestione lenta.

Spagna, quindi, è composta non da chi ha la sua nazionalità, ma da quelli che esercitano il patriottismo (spagnoli). E per questo bisogna avere certe qualità che tanto voi come me conosciamo bene, la stiamo frequentando da molti anni. Ecco che arriva Egaña ha raccontarci delle battaglie, mi direte. Ebbene si. E le racconto perché, secondo il mio modesto parere, più che come stranieri ci trattano come apolidi. E per questo vi racconto le seguenti.

Quando Franco e la sua truppa vinsero la guerra, spogliarono della loro spagnolità centinaia di migliaia di sconfitti che deambularono per Europa come fantasmi. Alcuni morirono nei forni crematori, altri attraversarono l’Atlantico sfuggendo al terrore nazista, molti bambini diventarono uomini sotto la falce e il martello sovietico e molti di più finirono per essere dei muratori nella banlieu parigina. I meno confabularono da Toulouse e Baiona. Erano rossi nel senso ampio della parola, i rossi di John Reed, sia che fossero comunisti, anarchici o indipendentisti.

Quegli appestati, scoria che la Spagna trionfante non poteva permettere nel suo seno, smisero di essere spagnoli. Vennero ridotti a zero i loro diritti e anche la loro condizione. Si convertirono in francesi, nonostante fossero nati a Alcazar o Masnou, in venezuelani, nonostante arrivassero da Arrigoriaga o Medina-Sidonia, in messicani nonostante fossero stati battezzati nella Valle del Jerte e in quella di Mena. Furono qualsiasi cosa meno che spagnoli. La corte di leccaculi e ariani, in perfetto stile di Vallejo-Najera, non poteva permettersi un simile degrado.

Non è uno scherzo anche se il mio linguaggio è grossolano. Chiedete di questa legione di espropriati, di uomini e donne ai quali vennero tolti i loro averi, se ne avevano, ai quali arrestarono e torturarono i loro famigliari per vendicarsi della fuga, ai quali rubarono i loro figli e li vendettero  ai signorotti del regime affinché gli dessero un cognome degno della grandezza del vomito e del Cara al sol. Arrivarono a togliergli l’atto di nascita o di matrimonio ed anche il loro nome se si chiamavano Libertad, Progreso, Iñaki o Sorkune. Gli tolsero perfino la loro nazionalità anche se più di uno la odiava.

Per quei spatriati, le Nazioni Unite e la Croce Rossa idearono un concetto che fino al 1954 non sarà definito nel diritto internazionale. Apolidi. Un concetto nuovo per gli espropriati della loro nazionalità. Si può essere anazionali? Ebbene si, non tanto per scelta propria, ma per esproprio dei padri patri: Franco, nel caso in questione.

Com’era prevedibile, tra gli apolidi moderni, nonostante nelle enciclopedie di internauti si citino beduini e curdi, abbiamo anche nostri compatrioti. Gli ultimi non molto tempo fa. Nel 1984 e furono sette rifugiati baschi dei quali alcuni avevano quei documenti che consegnava l’ OFPRA (Ufficio Francese per Rifugiati Apolidi). Quelli della mia generazione lo ricorderanno. Nato nel 1953, all’ombra dei diritti umani. Che tempi quelli! Guadalupe, Panama, Cuba…..curioso peregrinare di baschi di militanza, di nazionalità spagnola (per imperativo legale, come è noto) e apolidi di passaporto.

Quando accadeva qualcosa di rilevante, qualche spavento di una certa importanza, c’era già la cantilena predestinata. Durante tutto il franchismo e buona parte della democrazia borbonica abbiamo ascoltato la storia degli “elementi stranieri al servizio di…Quando per imbarazzo, i telegiornali smisero di emettere segnali extraterrestri, il discorso si fece più stonato: bastardi. Perché quelli nati bene, come si sa, sono di altro pelo. Apolidi. E non calco la mano su questa idea perché quelli del tricorno cibernetico mi mettano alla berlina sulle reti.

Quindi, abbiamo assistito per decenni, a dire il vero a me è sembrata una eternità, al trattamento della terra basca come di una terra estranea alla Spagna. E per estensione, è facile immaginarsi, i suoi cittadini e cittadine, per utilizzare una espressione che piace ai modernizzanti di oggi. No alla selezione spagnola allenandosi a Beasain e meno ancora giocando a Pamplona, no alla Vuelta Ciclistica a Espana scalando il passo di Urraki e giocandosi la pelle i corridori nella discesa di Santo Domingo, niente di niente. Per questo la supposta?

Gli spagnoli possono partecipare alle loro elezioni generali e particolari. Gli stranieri in Spagna, alle condizioni che un buon esperto di certo vi chiarirebbe, anche. I baschi, o un settore importante di loro torno a precisare, non lo hanno potuto fare negli ultimi otto anni. Vedremo cosa ci riserva il futuro prossimo venturo. La continuità è peccato mortale. Quella di tutti i neofranchisti, un “valore aggiunto”. Che paese patetico.

Il paradosso è stato, e credo che è, storico. Eppure, perdonatemi l’azzardo, questo “apolidismo” che ci hanno appioppato ai baschi, è distinto dal “ismo” che agganciano dalla metropoli ai catalani. E’da tempo che  si evidenzia il differente trattamento. Rispetto alla Catalunya, il tremendo complesso d’inferiorità (perché mai?) di editorialisti, opinionisti, politici e altri, li porta ad incorporarla alla loro Spagna maestosa, però uno scalino più in basso del loro. Cioè li rivendicano come spagnoli, però di seconda categoria. Vendetta dei mediocri.

Con i baschi, in cambio, e come sto dicendo da alcune righe in qua, l’obiettivo è stato, poco a poco, quello di considerarci senza patria (ci negano persino la nostra, grottesco), apolidi. Ditemi il perché. Datemi una spiegazione convincente. Forse perché come pensavano i padri della patria hispanica, non siamo degni di appartenere a un progetto di cosi tanto caramelloso calibro?  Se è così potevamo risparmiarci questo intercambio di polvere da sparo molti secoli fa.

Source URL: https://globalrights.info/2011/02/apolidi-inaki-egana/