UNA SCELTA COERENTE CON IL PASSATO E CHE GUARDA AL FUTURO
C’era molta attesa per la presentazione del nuovo partito della sinistra indipendentista basca. La sala del Palazzo Euskalduna Bilbao invasa da giornalisti ed fotografi più molti degli circa cinquecento inviati dal movimento per il dialogo Lokarri che ha promosso l’iniziativa. E gli occhi e le orecchie erano puntati su Rufi Etxebarria e Inigo Iruin che sono stati incaricati di presentare politicamente e giuridicamente la nuova formazione politica. E l’attesa come era già stato fatto trapelare in questi giorni non è andata disattesa. La sinistra indipendentista per voce di Rufi Etxebarria ha assunto “un impegno forte e inequivocabile a favore di vie esclusivamente politiche e democratiche”. “Rifiuta e si oppone all’uso della violenza e la minaccia della sua utilizzazione per la consecuzione degli obiettivi politici, includendo la violenza di ETA nel caso si verificasse in qualunque sia manifestazione”. Parole queste conferente dall’intervento “tecnico” dell’ avvocato Iruin il quale ha esplicitamente detto che gli statuti del nuovo partito che mercoledì verranno depositati presso il tribunale a Madrid hanno tenuto conto delle Sentenze del Tribunale supremo, della legge sui partiti del 2002 e della riforma della medesima entrata in vigore il 30 gennaio scorso dopo un accordo tra PSOE e PP. L’esplicito riferimento a ETA nel rifiuto della violenza ha provocato un piccolo terremoto tra le forze politiche spagnole. Se il PP è rimasto sulle sue posizioni di fermezza, “è come se dopo la sconfitta gli alleati avessero legalizzato il partito nazista”, ha detto Gonzales Pons, per Izquierda Unida attraverso il deputato Cayo Lara, “ non ci sono motivi in questo momento perché la sinistra indipendentista non possa partecipare alla vita politica”. Lo stesso PSOE in una prima prudente dichiarazione sostiene che “rifiutare la violenza è un passo e una novità importante”.
Chi invece considera che la sinistra indipendentista basca debba essere legalizzata sono tutte le forze politiche e sindacali di ambito basco. Figurativamente si potrebbe dire che il passo compiuto dalla sinistra indipendentista è aver raggiunto il campo base per preparare l’ascensione, attraverso un processo democratico includente, verso quelli che sono i suoi obiettivi finali vale dire l’indipendenza politica della province basche e l’articolazione di un progetto sociale che definisce “socialista”. Un percorso questo che venne preso in considerazione dopo i fallimento dell’accordo di Lizarra Garazi del 1999, tra la maggioranza delle forze sociali e politiche basche, e divenne ineludibile dopo il fallimento dei negoziati del 2006 tra Governo ed ETA da una parte e Batasuna, PSOE, e PNV dall’altra. L’inerzia militare di ETA e le leggi emergenziali del Governo spagnolo conducevano ormai nel vicolo cieco del muro contro muro che aveva come unica conseguenza protrarre nel tempo una soluzione ad un conflitto politico che dura da decenni. La sinistra indipendentista ha deciso di accettare la sfida. Di accettare, pur contestandone in contenuti “liberticidi” una legge sui partiti fatta ad hoc per escludere questo settore sociale dalla vita politica ed istituzionale basca. Accettare questo viatico perché cosi lo richiedeva la sua base ed altri settori sociali che propongono un progetto politico basato sulla democrazia partecipativa che contrasti, come ha detto Rufi Etxebarria, “la dittatura del mercato e dei suoi mercanti istituzionali”. Che riconosca alla società basca, il diritto a decidere sul proprio futuro. Permettendo il libero confronto tra le diverse opzioni politiche e che sia la democratica decisione dei suoi cittadini e cittadine a sancirne la praticabilità. E’una proposta realista sulla attuale composizione sociale e politica basca, plurale, che contrasta con la cultura, centralista mascherata dal modello autonomista, che predomina nella politica spagnola. C’è chi sostiene che questa scelta della sinistra indipendentista favorisce chi nello stato spagnolo vorrebbe una transizione politica meno omertosa di quella del 1977, che garantì impunita al genocidio politico del regime franchista, e che è stata un concausa determinante nel protrarsi della contestazione “politico militare” di un settore importante della società basca. Non sarà un cammino facile. L’odio e la memoria di un parte delle vittime di questo conflitto divine la leva su cui fomentare la chiusura, il revanscismo e soprattutto non fare in conti con la “propria storia”. Come sabato scorso quando migliaia di persone sono sfilate per le vie di Madrid, con la presenza di esponenti del Partido Popular, dietro uno striscione che recitava: “Mai più menzogne, mai più tregue trappola” in riferimento all’annuncio di ETA dell’ 10 gennaio scorso in cui l’organizzazione armata basca accettava di fatto la scelta della sinistra indipendentista. Sarò per questo che il Governo Zapatero si affrettato a dire ancora prima della presentazione del nuovo partito che “verranno intrapresi i passi per la sua illegalizzazione”. Ieri erano stati chiamati a raccolta responsabili delle forze di sicurezza, CNI (servizi segreti) e Procura generale per studiare in che modo presentare la richiesta di illegalizzazione. Una compito difficile se come scrive in queste ore il quotidiano El Pais, e il suo esperto Azpeolea, quello della sinistra indipendentista è stato un “passo da gigante, i nuovi statuti rispettano le esigenze affinché la nuova formazione sia legale”. Annunciato più di un anno fa e per il cui annuncio vennero arrestate 13 persone per ordine del giudice Baltazar Garzon, alcune delle quali, come Arnalodo Otegi, Miren Zabaleta, Arkaitz Rodriguez, sono ancora in carcere. In carcere per rivendicare un processo democratico “senza violenza, ne ingerenze”.
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