A QUANDO I VOSTRI? Santiago Alba Rico
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Atlantica XXII. C’è qualcosa che ha a che vedere con il sublime, così come lo intendeva Kant: temporali spettacolari che strappano il cielo, fuochi che lanciano i loro tizzoni in tutte le direzioni, cascate di acqua che s’infrangono con fragore una dopo l’altra, sempre più in fretta, con vertigini di schiuma; ed in mezzo questo clamore lo sbalordimento felice di sapersi piccolo, di non poter opporre resistenza e di non perder con questo la coscienza. Iniziò in Tunisia, dove meno era attesa, e continuò in Egitto, l’anello centrale della catena; e poi la rivoluzione, tra grandi starnuti di influenza giustiziera, contagiò Yemen, Algeria, Bahrein, Libia all’insieme del mondo arabo che l’immaginario del mondo occidentale solo poteva essere rappresentato come torbido o fanatico. Niente di tutto questo. Un tiranno, un altro tiranno, un altro tiranno e un altro ancora: se lo stesso Kant associava qualcosa con la felicità pubblica era senza dubbio questa scossa volteggiante mediante la quale i popoli depongono le dittature e riacquistano la loro dignità collettiva.
Qualunque cosa accada, possiamo parlare di “rivoluzione”, anche se fosse solo perché nulla è avvenuto come ci si aspettava e perché, nell’attesa che vengano messe in discussione localmente le dipendenze economiche, è già stata messa in discussione l’autorità del cosiddetto Occidente per dare lezioni di politica alle sue ex colonie di questa zona del pianeta. Gli arabi hanno bisogno di una vittoria per rientrare nella storia del mondo; e tutto faceva temere, che se arrivava, lo facesse attraverso strumenti islamisti che le potenze occidentali avevano promosso dagli anni 60 per contrastare comunisti e panarabi. Neanche cos’ è stato. Il partito Nahda in Tunisia riconobbe subito il suo nullo protagonismo nella sollevazione popolare e la Fratellanza Mussulmana, molto più forte, fu colta in contropiede in Egitto e congedò Mubarak negoziando con lui. Disoccupazione, povertà povertà endemica, repressione giovanile, frustrazione politica, tutte le condizioni erano date, in assenza di una grande organizzazione di sinistra, per una formidabile esplosione di alienazione religiosa. Si è avuto, invece,una colossale esplosione di purezza libertaria nella quale il concetto stesso di democrazia ha acquisito subito una indubbia potenza anticoloniale.
Per questo, i più sorpresi sono stati gli Stati Uniti e, soprattutto, l’UE. Adesso, mentre cercano di gestire le “transizioni” con il minor costo per i loro interessi, mettono in scena un nuovo fervore democratico diretto piuttosto a esercitare pressioni sull’Iran (e indirettamente s u Cuba e Venezuela). Privilegiando simbolici periferici delle sollevazioni, hanno alimentato l’illusione – visto che non poteva essere islamista – di una rivoluzione postmoderna, di blogger pro yankee e ciber attivisti-de ideologizzati, per vedere se la zampata affonda anche, assieme a tanti amici, anche alcuni dei suoi nemici. Però nessuno può credere, almeno nella regione, che i difensori di Israele, i complici di Mubarak e Ben Alì, gli occupanti dell’Iraq, vogliano adesso la democrazia per il mondo arabo. Questa è soprattutto una rivoluzione anticoloniale, come lo dimostra il fatto che, assieme alla bandiera e inni nazionali, l’unico simbolo esibito in Tunisia e in Egitto dai manifestanti sia stata l’immagine del Ché. D’altro canto, gli orgogliosi tunisini, nelle località più castigate del paese, culla delle rivolte, mi enumeravano i tiranni sul punto di cadere “e adesso Egitto e Giordania e Bahrein e Algeria…) e, sapendo che io ero europeo, mi interrogavano con sfida: “e quando toccherà ai vostri? Quando Sarkozy? Quando toccherà a Berlusconi? Quando gli Stati Uniti?
Alcuni giorni fa, a Cuba, alla domanda sulla evoluzione degli avvenimenti, risposi con un paradosso: “sono ottimista che temo il peggio”. Nessuno può esser così ingenuo da pensare che trionferà la sensatezza senza che Israele, USA e UE, facciano tutto il possibile (vale a dire, tutto) per impedirlo. Però sono ottimista: mi piace pensare che, tra venti anni, in un mondo più abitabile e umano, più democratico e ragionevole, ricorderò che una grande trasformazione mondiale iniziò, non a Parigi, ne a Londra, ne a New York, ma in Tunisia e Egitto, i due paesi nei quali più tempo ho vissuto, due delle mie patri di libera adozione.
Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=124193
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