KURDISTAN, UN VOTO PER LA DEMOCRAZIA, CASA PER CASA
A Kayapinar, quartiere di Diyarbakir che rientra nel collegio di Dicle, la campagna elettorale è stata affidata al sindaco. Ma anche lui è in carcere come Dicle. Così la palla è passata al sindaco sostituto, Mahmut Dag. Oltre a un pezzo di Diyarbakir il collegio comprende anche molti villaggi, alcuni a 80 chilometri da Diyarbakir, nel circondario di Lice. Raggiungere i villaggi è imperativo per i compagni di Hatip Dicle. Così un piccolo convoglio parte la mattina per un tour di sei villaggi. Alcuni non hanno che poche centinaia di persone. Che però attendono il convoglio festosi. Hanno appeso poster e bandiere lungo le strette stradine in salita. Aspettano di vedere la scheda elettorale: un lenzuolo lungo poco meno di un metro con il quale è difficile orientarsi. I nomi dei candidati indipendenti sono gli ultimi, dopo i partiti e sono scritti a corpo 6. Attrezzatissimi i giovani del BDP hanno fotocopiato la scheda e girano porta a porta per mostrare a chi non sa leggere dove apporre la x.
Lice è un paesotto di diecimila persone. Qui negli anni ’90 i militari turchi hanno dato alle fiamme molti villaggi, costringendo la gente a emigrare. Molti sono andati a Diyarbakir. “Il mio villaggio – dice il sindaco sostituto Mahmut Dag – non esiste più. Era lì tra quelle montagne”. Il paesaggio è mozzafiato: montagne che si susseguono una dopo l’altra, vallate verdissime, corsi d’acqua. Il convoglio arriva in un piccolo villagio, Yaprak, accolto da gente in festa. Il sindaco di Lice, Mehmet Ali Aydin, parla di Hatip Dicle, “che non è qui di persona a fare campagna elettorale perchè lo stato l’ha incarcerato. Io – aggiunge – sono stato in carcere con Dicle per dieci mesi. Ora sono fuori e posso fare campagna per lui. Dicle è un uomo che ha dato la sua vita per il nostro popolo”. Il Blocco messo in piede da kurdi e sinistra turca vede insieme moltissime delle popolazioni presenti in Turchia, arabi, assiri. Dopo quasi un’ora attraverso un paesaggio vario e dai mille colori si arriva ad un villaggio chiamato Oykulu, abbarbicato su una montagna. Casette basse con il tetto piatto che si confondono nella roccia. C’è una certa emozione perchè questo è un villaggio dove si parla soprattutto arabo e dove ci sono diverse guardie del villaggio [kurdi al soldo del governo. Ndr]. I giovani del piccolo villaggio però vanno all’università a Diyarbakir e sono venuti in contatto con i rappresentanti del Blocco per il Lavoro e la Democrazia. Hanno chiesto un incontro. L’atmosfera non è festosa come negli altri villaggi. Però la delegazione viene ricevuta. L’incontro si svolge sulla terrazza di quello che è una sorta di sala comunale a picco su una vallata stupenda. Il sindaco di Lice parla di fratellanza e di speranza. “Questo nostro blocco – dice – dà l’opportunità a tutti a prescindere dalla loro appartenenza o lingua di esprimersi, di contribuire alla costruzione di un progetto di società diverso per la Turchia tutta”. Viene accolto da applausi. Si lascia Oykulu con la convinzione che qualche voto arriverà anche da lì. C’è ancora un piccolo villaggio da visitare. Il convoglio viene accolto da una folla di bambini che sventolano volantini con il viso di Hatip Dicle. Questa assenza presenza fa una certa impressione. Si beve l’ennesimo çay, il tea servito in bicchierini minuscoli. Si stende sul tavolo ancora una volta la chilometrica scheda elettorale e si conta per far vedere dove va segnata la x. Immancabile il tradizionale ballo kurdo sulle note di canzoni che salutano i guerriglieri e la libertà.
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