IL COLLETTIVO PRIGIONIERI E PRIGIONIERE POLITICI BASCHI APPOGGIA ACCORDO DI GERNIKA

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Dopo che in nei giorni scorsi esponenti delle forze politiche sociali e sindacali basche avevano chiesto, invano, al Governo di Madrid di aprire al dialogo con il collettivo di prigionieri politici baschi come contributo importante al ad un soluzione del conflitto, oggi con un comunicato al questi diano basco Gara, il collettivo ha dato il suo appoggio ufficiale all’Accordo di Gernika. 

Era una presa di posizione attesa che aggiunge un nuovo tassello allo schieramento basco che sempre più mostra di aver ormai assunto come qualcosa di definitivo il processo democratico come strumento per risolvere il contenzioso basco spagnolo.

Il documento giunge alla vigilia di un atto che si svolgerà domani a Gernika nell’anniversario della firma dell’ Accordo. L’EPPK aveva già in dicembre riconosciuto che l’accordo era scaturito da “riflessioni profonde, ampi dibattiti e decisioni politiche”. Adesso il collettivo riconosce anche che l’’Accordo di Gernika si è convertito nel “riferimento” per la costruzione di uno scenario democratico e che in questa prospettiva ha il suo appoggio.

“Al di là dei limiti e degli ostacoli degli stati che ci tengono rinchiusi, l’EPPK manifesta il suo fermo impegno per avanzare verso il processo democratico”, dichiara il collettivo. Ammettendo che ottenere questo scenario democratico “non è un obiettivo qualsiasi”, l’EPPK sottolinea il proprio “convincimento” nel conseguirlo e annuncia il “impegno totale nel promuovere il processo democratico fino alla fine”.

Il documento spiazza ancora una volta il Governo spagnolo o meglio i suoi ministeri degli interni e di giustizia che in questi mesi avevano  filtrato veline e informazioni sullo “stato in cui si trovano i prigionieri baschi”. L’’obiettivo dare una immagine di abbandono in cui si troverebbero il prigionieri   associata alla “crisi in cui versa ETA”.

In questo contesto molta rilevanza era stata data dai mass media spagnoli alla presa di posizione di 8 detenuti e detenute politiche basche, tra cui alcuni militanti storici dell‘organizzazione armata come Jose Luis Sistiaga Urrusolo e Carmen Guisasola, che avevano mostrato ufficialmente la loro dissociazione e chiesto a ETA  l’abbandono della lotta armata e criticato “la lentezza” con cui si muoverebbe la sinistra indipendentista nella svolta strategica adottata. Un collettivo questo che comunque aveva dato il suo appoggio all’Accordo di Gernika.

Che in questi in questi ultimi anni il dibattito interno alle carceri sia stato intenso sul “che fare”, nonostante i limiti oggettivi imposti dalla politica della dispersione dei prigionieri e prigioniere in decine di carceri sia dello stato spagnolo che di quello francese, è un dato indiscutibile. Ma la posizione maggioritaria tra i prigionieri è quella che traspare dal comunicato di oggi ovvero l’ appoggio al processo politico in corso nel quale la situazione dei circa 700 prigionieri e prigioniere politici baschi trovi una soluzione collettiva e non individuale. Allo stesso tempo i prigionieri baschi avevano più volte affermato, in linea con quanto avvenuto nel conflitto anglo irlandese, di voler dare un proprio contributo, come collettivo, al processo politico in corso.

La chiusura di Madrid sull’argomento è motivata  dal fatto che “ETA  è ancora attiva” nonostante tutto indichi che di attivo ci sia solo  un battage informativo che non rispecchia la realtà.

L’importanza del comunicato dell’EPPK è testimoniata dalla rilevanza che gli è stata data da tutti i principali siti informativi on-line spagnoli.  El Pais, El Mundo e Publico hanno lo stesso titolo: “I prigionieri di ETA appoggiano l’accordo per la fine della violenza.

Anche se la politica penitenziaria non da segni di cambiamenti, anzi c’è una intensificazione sia dei processi che delle misure di trasferimento nell’ambito della dispersione, un segnale di inversione di rotta seppur, timido, è arrivato dalla divergenza, anomala su questi tempi, tra la Procura generale e l’Avocatura dello Stato  sulla cosiddetta dottrina Parot , che prende nome dal prigioniero basco Unai Parot la cui richiesta di scarcerazione venne respinta.. La norma varata nel febbraio 2006, e  aggiornata nel 2008 dal Tribunale Costituzionale, prevede, con retroattività, che una persona condannata ha diritto alla riduzione di pena per attività svolte nel penitenziario non sulla pena da scontare massima stabilita, secondo il codice penale  del 1973,è di 30 anni, ma su ogni singola pena comminata. Mentre l’Avvocatura dello Stato difende la norma  perché “corregge” una interpretazione “eccessivamente benigna” con il condannato  e di “ poca considerazione con le vittime”,  la Procura generale difende la non retroattività sancita dal Costituzionale e che la pena da scontare deve essere quella stabilita dalla sentenza tribunale e dalla proposta del centro Penitenziario.  Sono circa una ventina i prigionieri/e baschi in attesa di una decisione definitiva del Tribunale Costituzionale in questi giorni che sta discutendo la norma contestata.


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It would be somehow funny, if indeed the issues were not so serious, to sit and listen to PM Erdo?an delivering one of his “inspired” speeches over current issues. Take for example his latest remarks on what he called “the solution process” (i.e. the process for a solution to the Kurdish issue) and the protests by Middle Eastern Technical University in Ankara.

On the “solution process”, Erdo?an pronounced the following quite threatening words: “The side to break the process will pay the price” and added: “We will never be the side to break it”. Now, a smile would shape the lips of everyone even not so familiar with the current state of affairs on the Kurdish question. Because indeed it is clear that while the Kurds (be it the PKK with its ongoing ceasefire, or the BDP with its ongoing proposals and attempts to break the deadlock) keep moving and trying to revive the process times and times agains, the government has chosen – to use en euphemism – a “waiting attitude”.

The question is, waiting for what ? As Godot will not turned up, clearly the government is trying – by stretching things to the limit – to push the Kurdish side into some kind of action which Erdo?an could finger at as “leaving the table”. The problem is that at present there is no “table”. And consequently no table to abandon.

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