PAESE BASCO, L’IMMOBILISMO DI MADRID – Angelo Miotto

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Peacereporter. La sinistra basca ha giocato sul tavolo una carta via l’altra in un disegno politico affidabile. Dalla Spagna solo parole e ancora nessun fatto

È stato un fine settimana dal sapore storico neil Paese basco. Le migliaia di persone che sono sfilate in appoggio ai condannati per il processo Bateragune, fra cui Arnaldo Otegi e Rafa Diez, ritenuti colpevoli per aver preparato la strada alla rivoluzione copernicana avvenuta nell’ultimo anno, in cui la sinistra basca ha offerto una via politica senza ingerenze esterne per la soluzione del conflitto. Niente più lotta armata, è la traduzione. Oltre al popolo solidale con i condannati, ci hanno pensato i prigionieri e le prigioniere politici baschi ad aggiungere una mossa a sorpresa: hanno aderito alla dichiarazione di Gernika, che disegna un percorso di smilitarizzazione e di verifica internazionale degli arsenali di Eta.

Una situazione ‘inedita’ hanno detto da Madrid, una svolta storica per dirla in parole semplici. Ione Gorizelaia, storica avvocata della sinistra basca, ha aggiunto, per fugare qualsiasi dubbio, che non c’è un prigioniero politico che non sia d’accordo con la decisione presa dal Collettivo. Fronte unito, nessuna crepa. Sul versante carcerario lo stato spagnolo non ha più carte da giocare.

Qui si sta giocando una partita strana, dove un giocatore ha messo in tavola fatti precisi e pubblici:

-c’è una proposta politica basata solo sulla politica e senza più tolleranza per la violenza,

-c’è la costituzione di un nuovo partito che obbedisce ai lacci e lacciuoli imposti dall Ley de partidos politicos, voluta da socialisti e popolari spagnoli per delegittimare e mettere fuorilegge numerose sigle elettorali. Sortu, il nuovo partito, è stato comunque illegalizzato. Ce l’ha fatta, invece, una colazione – Bildu – che nelle elezioni amministrative ha fatto il pieno dei voti.

– c’è un mediatore internazionale capo, come Brian Currin e un Gruppo di contatto internazionale, oltre a un parterre costituito da personalità riconosciute a livello globale nella mediazione dei conflitti che hanno firmato la dichiarazione di Bruxelles.

– c’è una tregua generale, indefinita, permanente e verifricabile dichiarata dall’organizzazione armata Eta, che da tempo ormai non solo non spara, ma non chiede nemmeno più il cosiddetto ‘impuesto revolucionario’ agli imprenditori.

– c’è il collettivo dei prigionieri politici – un collettivo di militanti di Eta e non – che aderisce a questa via di soluzione esclusivamente politica, lanciando un messaggio potente e cristallino.

Dall’altra parte c’è un giocatore che tiene le proprie carte coperte e che non riesce, anzi non vuole, elaborare una propria strategia. Semplicemente critica le mosse dell’avversario, chiedendogli di mettere sul tavolo l’ennesima carta in più, o addirittura esige che l’avversario si dia perdente senza nemmeno giocarsela.

Scorrendo le iniziative politiche che la sinistra basca e gran parte della società basca hanno onorato negli ultimi mesi risulta sempre più evidente l’inadeguatezza della risposta dal palazzo della Moncloa. José Luis Rodriguez Zapatero, pochi minuti dopo aver sciolto le camere in vista del voto anticipato del 20 novembre, ha definito come ‘un passo significativo verso la fine della violenza’ la decisione dei detenuti baschi di farsi parte integrante di un percorso di pace. La destra post-franchista, che oggi ha oltre sedici punti di vantaggio rispetto ai socialisti nei sondaggi, ha sminuito il passaggio dell’adesione dei detenuti politici al percorso esclusivamente politico.

È importante che l’opinione pubblica, non solo quella iberica, rifletta sulle dichiarazioni del mediatore Brian Currin, quando afferma che il problema poteva essere risolto già da tempo. Così come l’atteggiamento del candidato socialista Alfredo Perez Rubalcaba – già ministro degli Interni e poi vice-presidente – riflettono la cautela di chi sa che le parole oggi sono voti da conquistare o perdere. Strategia elettorale, che non ha mai portato a nulla di duraturo.

In attesa di conoscere se e come muoverà i propri pezzi Madrid, resta la consapevolezza che fare ‘la pace’ non è il risultato di politiche unilaterali. È una questione di responsabilità da assumersi. La sinistra basca ha dimostrato nei fatti la validità di un percorso senza dubbio faticoso. Da Madrid, per ora, solo parole.

 

Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/30677/Paesi+baschi%3A+l%27immobilismo+di+Madrid

 


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Oscurato dall’ondata (improvvisa?) di rivolte popolari nel Magreb e mondo arabo il processo politico basco continua sulla difficile strada della democrazia, una democrazia politica ancora da costruire. Sortu, la nuova formazione politica nata dal dibattito interno alla sinistra indipendentista basca è una dimostrazione di forza. La forza di accettare un terreno, quello imposto dalla legge spagnola sui partiti del 2002, che con l’avvallo del Tribunale Per i Diritti Umani di Strasburgo conferma come le politiche securitarie che dominano l’azione degli Stati nel mondo, abbiano condizionato la giurisprudenza spostando l’ago della bilancia verso un arretramento nelle conquiste dei diritti civili che faticosamente erano state raggiunte dopo decenni di battaglie in Europa. Sortu è di fatto la dimostrazione che sul terreno politico la sinistra indipendentista è pronta a lanciare la sfida democratica del confronto tra diverse, e in alcuni aspetti antagoniste, opzioni politiche. Lo fa assumendo il “rifiuto di qualsiasi forma di violenza a sostegno di un progetto politico, inclusa quella di ETA”. Una dichiarazione contenuta nei suoi statuti che è unica nel suo genere. Nessuna forza politica si è assunta questa responsabilità di dichiarare formalmente questa considerazione della violenza politica. Cosa impossibile del resto. PSOE e PP con il loro bagaglio di “violenza per imporre le proprie opzioni politiche”  passate e presenti GAL e franchismo, Iraq, Afganistan tanto per citarne alcune non possono permettersi di sostenere quanto la sinistra indipendentista basca ha fatto.

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