TURCHIA: 270 ARRESTI IN UN GIORNO

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Ancora decine di persone detenute in Turchia. A Istanbul ieri mattina oltre 100 esponenti del BDP (Partito della pace e la democrazia) sono stati arrestati nell’ambito della cosiddetta operazione  KCK (Unione delle Comunità Kurde). Un’operazione lanciata dal governo turco dopo le elezioni amministrative del 2009. Il DTK (Partito della Società Democratica, poi chiuso per ordine della magistratura, a dicembre 2009) aveva ottenuto uno straordinario risultato in quelle elezioni, conquistando decine di città e province. Immediata la risposta del governo islamico dell’AKP che non ha esitato a costruire teoremi per dimostrare che in realtà le municipalità sono ‘dirette’ dal PKK attraverso il suo braccio urbano, il KCK appunto. Da qui all’arresto di chiunque, amministratore pubblico, membro, dirigente, sostenitore, avesse a che fare con il DTK (poi BDP) o con la questione kurda è stato breve. E infatti dal 2009 a oggi sono finiti in carcere con l’accusa di ‘appoggio’ a organizzazione terroristica (per la quale accusa non è stata esibita, com’era prevedibile, alcuna prova)  oltre 5000 persone tra sindaci, amministratori, consiglieri, sindacalisti, attivisti per i diritti umani. Una vera e propria “pulizia etnica” come l’ha definita la co-presidente del BDP e deputata Gultan Kisanak.
Gli arresti sono continuati ininterrottamente dal 2009. Il processo più grande (in termine di imputati) al KCK si è aperto a Diyarbakir nell’ottobre 2010 (cioè un anno dopo gli arresti) ed è stato rinviato di mese in mese con le scuse più incredibili. Non ultima il rifiuto ad accettare le deposizioni degli imputati in kurdo, lingua definita ‘sconosciuta’ dai minutes delle udienze. A tutti è garantito un interprete, qualunque sia la lingua, in tribunale (o almeno così dovrebbe essere), ma non ai kurdi. L’ultima udienza del processo di Diyarbakir si è svolta ad agosto ed è stata rinviata a dicembre: a 103 giorni di distanza. Perché è chiaro che il processo è vuoto, non ci sono prove perché non c’è reato. Ma al governo islamico di Recep Tayyip Erdogan tanto basta: tenere in carcere e continuare ad arrestare quanti più oppositori politici possibili. Perché di fatto il movimento kurdo è oggi l’unica reale opposizione all’islamismo che l’occidente si ostina a chiamare moderato, ma che in realtà è molto aggressivo, del premier turco. Erdogan si sta ritagliando un ruolo di star all’interno del medio oriente e più in generale sullo scenario politico internazionale. Si propone come mediatore praticamente di tutti i conflitti attualmente in corso, da quello libico a quello siriano, passando per quello israelo-palestinese. Ma si propone anche come partner principale degli USA all’interno della NATO e non disdegna proporsi come partner economico privilegiato di Iran e Brasile. Erdogan – e il suo ministro degli esteri Davutoglu – gioca a tutto campo. Facendo e rompendo (realmente o fingendo) alleanze in maniera del tutto opportunistica.
Chi ha smascherato questo ipocrita gioco sono i kurdi e per questo devono pagare.
Così le cronache quotidiane si riempiono di numeri : sono le persone arrestate. Ieri, martedì, 270. In tutto il mese di settembre 770. Numeri impressionanti eppure l’occidente tace.
Tra gli arrestati ci sono stati anche ieri amministratori pubblici e la casa di una parlamentare del BDP (non va dimenticato che 5 deputati sono ancora in carcere) è stata perquisita.
Anche il funerale di Sadik Kaya (Rojhat) guerrigliero delle HPG (Forze di Difesa Popolare) si è trasformato in un campo di battaglia, quando la polizia ha arrestato almeno 120 persone presenti alla cerimonia. Kaya ha perso la vita in uno scontro a Pazarcik (provincia di Maras). Doveva essere sepolto a Mersin, nel cimitero Güneykent, ma la polizia ha attaccato la folla con gas lacrimogeni e ha arrestato 120 persone, tra cui il presidente della sezione locale del BDP (Partito della Pace e la Democrazia) Cihan Y?lmaz.
Il co-presidente del BDP, Demirtas ha ieri dichiarato che “se questo è il KCK allora io sono il presidente di questa struttura”.


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