COME SE NIENTE FOSSE
Non servono molti discorsi per cogliere l’intreccio di arroganza, di stupidita?, di sordita? burocratica e di sostanziale disinteresse per i fondamenti della democrazia che muove un potere insensibile a qualunque argomentazione razionale e a ogni criterio di prudenza. Persino a ogni calcolo di costi e benefici. Incapace di leggere i numeri (anche se composto da fior di professori di economia) come di ascoltare le voci dei territori (anche se sensibilissimo ai sussurri dei mercati globali). Chiuso in un’assolutistica fedelta? ai soli interessi dei forti e ai progetti (insensati) degli apparati tecnocratici, a tal punto da non soprassedere neppure una settimana, neppure un giorno, nell’esecuzione di una decisione con tutta evidenza improvvida.
Ho sempre cercato di resistere alla seduzione delle teorie “catastrofiche” che annunciano l’ “azzeramento della democrazia” di fronte all’onnipotenza delle tecnocrazie transazionali e all’impersonalita? dei mercati. Mi sembravano una diagnosi paralizzante. E tuttavia e? difficile non cogliere l’evidenza empirica della forbice sempre piu? larga – un abisso – che si va creando tra le pratiche autoreferenziali e burocraticamente formali delle istituzioni nazionali e continentali (di quella che con drammatica ironia si chiama “politica”) e le domande sempre piu? esasperate di partecipazione (o anche solo di ascolto) che salgono dai territori. Tra la “democrazia dell’indifferenza” che domina in alto, e la “democrazia della partecipazione” che abita in basso.
Non si tratta solo della pressione repressiva, che d’altra parte in Val di Susa si e? fatta
soffocante, ai limiti della tollerabilita? costituzionale e anche oltre. Si tratta di una cosa piu? complessa che riguarda il delicato rapporto tra rappresentanti e rappresentati, giunto davvero – per lo meno sul piano nazionale – al punto di rottura, forse irreversibile. Si tratta di quell’organo essenziale in ogni democrazia (e che manca in ogni dit- tatura) che e? l’udito: la capacita? di ascoltare le voci della societa?, dei suoi diversi “pezzi”, e di dar loro il giusto peso, come condizione per mantenere “coeso” un Paese, ed evitare l’esodo delle sue parti vitali.
In assenza di quel canale uditivo, un Paese si “slega”. Se ignorata troppo a lungo nelle sue ragioni vitali, una popolazione esce dal patto civile che determina il grado e la forma della legittimazione. L’immagine della Grecia e? esemplare: un popolo, una nazione, una societa? condannata alla morte civile in nome di dogmi fideistici coltivati e celebrati nel cuore istituzionale d’Europa, sulla base di ricette rivelatesi mortali agli occhi di tutti, tranne che a quelli dei decisori istituzionali. Come esemplare e? l’immagine di quei poliziotti-scalatori che alla baita di Clarea, armati di corde scalano, implacabili, il traliccio indifferenti al rischio e alle parole di Luca Abba?, finche? la tragedia non si compie.
Se non riempiremo quell’abisso di senso e di silenzio, se non sapremo riportare a terra il luogo della decisione sul destino dei beni di tutti ora evaporata nell’alto dei cieli finanziari e tecnocratici – ricominciando in primo luogo ad “ascoltare” – quelle di Atene e di Chiomonte non saranno le sole tragedie a cui assisteremo.
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