IL KURDISTAN SEPPELLISCE I SUOI MORTI
Talkingpeace. Le 35 vittime del massacro compiuto dagli F-16 turchi nei pressi del villaggio kurdo di Roboski avevano quasi tutti meno di 40 anni. Diciotto erano ragazzini tra i 12 e i 18 anni. Ieri il Kurdistan si è fermato per l’ultimo saluto alle vittime di questo ennesimo massacro. I negozi sono rimasti chiusi mentre migliaia di persone hanno accompagnato le vittime al cimitero del villaggio di Gulyazi. Le urla strazianti delle madri di questi piccoli contrabbandieri di frontiera hanno accompagnato la giornata di lutto assieme agli slogan arrabbiati delle migliaia di persone che hanno organizzato manifestazioni di protesta in tutto il Kurdistan. A Diyarbakir come a Cizre, a Sirnak come a Silopi, le strade si sono riempite di gente che chiedeva giustizia. “Erdogan, il conto di questo massacro lo pagherai tu”, diceva uno degli slogan. Il premier turco Erdogan da parte sua ha preso la parola 24 ore dopo la strage delle forze armate turche. Ha detto che i filmati dell’operazione saranno esaminati ma ha anche ribadito che “l’esercito ha agito nella convinzione di evitare un attacco imminente da parte del PKK”. In altre parole, Erdogan ha ripetuto quanto già detto dal suo partito, l’AKP, e cioè che la strage è stata “uno sfortunato incidente operativo”.
Intanto però emergono dettagli del bombardamento di mercoledì notte. Uno dei tre sopravvissuti, il diciannovenne Haci Encu, ha raccontato che il gruppo di contrabbandieri era composto da una quarantina di persone, e da alcuni asini. “Stavamo andando a prendere zucchero e benzina – ha raccontato dall’ospedale all’associazione per i diritti umani – quando abbiamo sentito i droni. Ci hanno bombardato mentre stavamo per entrare in Nord Iraq. Quando abbiamo sentito i droni e gli F-16 – dice ancora – non abbiamo cercato riparo, perché quello è il nostro cammino abituale”. Secondo la testimonianza del giovane, il primo bombardamento ha ucciso 20 persone. “Eravamo proprio sulla linea del confine – dice il giovane – e abbiamo cominciato a correre verso l’Iraq. Nel mio gruppo eravamo in sei. In tre siamo ancora vivi. Non avevamo armi e indossavamo tutti abiti civili. L’attacco è durato circa un’ora. Io e gli altri sopravvissuti ci siamo fatti scudo con tre asini e ci siamo riparati in un fiume. Abbiamo aspettato nell’acqua per quella che è sembrata un’eternità”. Del gruppo di Encu, due giovani erano sposati, mentre gli altri erano studenti alle superiori.
Gultan Kisanak co presidente del BDP (Partito della Pace e della democrazia) ha partecipato come molti esponenti e deputati del partito kurdo ai funerali delle vittime. Al telefono da Gulyazi ribadisce che “quello a cui abbiamo assistito non è un errore militare, un tragico errore della guerra, come vorrebbero farci credere. Quello che è successo è stato un massacro voluto. Il governo con questo massacro ha voluto mandare un messaggio chiaro ai kurdi. ‘Basta proteste. Silenzio e sottomissione e forse qualcosa avrete anche voi’. Questo è il messaggio del governo ai kurdi. Ma – dice ancora Kisanak – la risposta a questo messaggio è stata altrettanto chiara. Oggi [ieri] migliaia di persone, uomini e donne, giovani e vecchi sono scesi in piazza in tutto il Kurdistan per dire al governo che il popolo kurdo non è disposto a rinunciare ai suoi diritti, alla sua esistenza, alla sua vita dignitosa e in pace. Il popolo kurdo ha gridato ancora una volta che vuole la pace e non è disposto a rinunciarvi”.
Il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) aveva invitato il popolo a reagire di fronte a questo massacro. E migliaia di persone hanno accolto l’appello. In una intervista all’agenzia di stampa kurda Firat News, ieri, Cemil Bayik del consiglio di presidenza del PKK ha ribadito che “il 2012 sarà un anno di aspro conflitto ma anche dell’inevitabile soluzione democratica della questione kurda”.
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