EGUNKARIA,EL PAIS, E LA “DOTTRINA BOTIN”

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La realtà giuridica spagnola è contorta ma allo stesso tempo lineare. L’esistenza di un tribunale speciale, l’Audiencia Nacional, determina una giurisprudenza d’emergenza che caratterizza il procedere giuridico dello stato spagnolo. Così era stato osservato quando nello steso giorno, 4 gennaio 1977, in cui fu istituita l’Audiencia Nacional fu abolito il Tribunal de Orden Pubblico franchista, che dal 1963 giudicò 54 mila persone per delitti di opinione.   Chi invece osservava che non si può affermare una continuità giuridica tra i due organi giudicanti perché l’Audiencia Nacional, come organo “eccezionale” riafferma l’indipendenza del potere giudiziario da quello politico nascondeva una verità. L’ordinamento giudiziario spagnolo è retto dal Consejo General del Poder Judical (CGPJ), del quale fanno parte 20 magistrati nominati direttamente in parti uguali dalla Camera e dal Senato. Il Fiscal General (procuratore generale) viene nominato dal Re su proposta  governativa  e sentito il parere del CGPJ. Quindi affermare una indipendenza a priori della magistratura è per lo meno azzardato. Quando un pubblico ministero durante un processo politico contro organismi della sinistra indipendentista afferma off the records che “a me le domande me le passano”, fa una fotografia di una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Che si cerchi di adattare la realtà ai propri convincimenti fa parte della libera espressione di idee, ma è un principio che, su questa materia, è un po’ viziato.  Nell’editoriale di oggi, il quotidiano El Pais torna alla carica sull’argomento alla luce della sentenza che una corte dell’Audiencia Nacional, ha emesso sull’ caso Egunkaria, il giornale in lingua basca chiuso nel 2003 per ordine del giudice (dell’Audiencia Nacional), Del Olmo con l’accusa di essere uno strumento di ETA.  L’assoluzione decretata dai giudici fa giustizia ma solo in termini tecnici. I cinque imputati, Martxelo Otamendi, Xabier Oleaga, Txema Auzmendi, Iñaki Uria y Joan Mari Torrealdai, sono stati assolti dall’accusa di collaborazione o appartenenza a banda armata (ETA). La sentenza sancisce che la chiusura del quotidiano ha violato i principi costituzionali, si ammette, che le torture denunciate dai cinque dirigenti di Egunkaria arrestati, sono dovute alla mancanza di controllo durante i cinque giorni di isolamento nelle mani della Guardia Civil. Ebbene El Pais gira la frittata sostenendo che l’Audiencia Nacional ha emesso una sentenza che le dà “enorme” credibilità, evidenziando la gravità della chiusura di un quotidiano quando non “esistevano indizi che fosse una organizzazione criminale”. Per  El Pais “la batosta contro il giudice, Del Olmo, è tremenda, però a nessuno è passato per la testa di accusarlo di prevaricazione”. Perché questo inciso? La conclusione dell’editoriale lo rivela: “Per rigore e qualità dei suoi argomenti, la sentenza conferisce un’enorme credibilità alla Audiencia Nacional. Che in fin dei conti è lo stesso tribunale che in questi anni ha messo fuori legge a partire dal lavoro istruttorio dei suoi giudici, in primis Baltazar Garzon, le organizzazioni dell’entourage civile di ETA”. Questo il motivo. Solo che il quotidiano spagnolo omette che lo stesso Baltazar Garzon tra la sue ordinanze contro i movimenti della sinistra indipendentista ha firmato quella di chiusura del quotidiano, EGIN e di una radio, EGIN Irratia (1998). Nel processo madre contro organismi della sinistra indipendentista, denominato 18/98, l’Audiencia Nacional ratificò la chiusura del quotidiano Egin,  ma il Tribunale Supremo nel 2009 fu costretto a considerare nulla tale decisione, sottolineando che non era stato provato che Orain, la impresa editoriale proprietaria di Egin ed Egin Irratia, fosse una impresa “criminale”e che dallo stesso dibattimento processuale questa accusa non era stata supporta da prove ma solo da  accuse “deduttive” . In altre parole nel luglio 1998, Garzon aveva deciso,  la chiusura del quotidiano e della radio, seguendo la logica politica del “delitto d’autore”, vale dire della punibilità del fatto non perché sia “delittuoso” ma perché chi lo esegue è considerato criminale. Del resto quando El Pais cita il presunto delitto di prevaricazione,  si riferisce al processo intentato dal CGPJ contro Garzon per  aver aperto un procedimento giudiziario sui desaparecidos durante l’epoca franchista , che il  CGPJ considera  una violazione della legge sulla Amnistia del 1977,  la madre di tutte le  leyes de punto final che fino a pochi anni fa avevano mandato assolti i dittatori latinomericani. Un vicenda paradossale ma che in realtà evidenza come Garzon sia vittima della sua stessa filosofia. Il fatto che anche nel suo caso il procedimento sia iniziato unicamente sulla base della “acusacion popular”, in questo caso gruppi di estrema destra, tra cui la Falange, rivela un modus operandi della giustizia spagnola che viene applicato nei confronti soprattutto dei procedimenti sul caso basco. Sono diversi i processi aperti sula base delle sole accuse della acusacion popular. E’ stato così nei processi a Egunkaria, al presidente della camera autonoma basca José Maria Atuxa, (condannato per non aver sciolto il gruppo parlamentare della sinistra indipendentista basca dopo la illegalizzazione di Batasuna),  all’ex presidente del Governo autonoma basco Ibarretexe, all’’attuale presidente  socialista Lopez, al compagno di partito e ministro degli interni basco Ares, e agli esponenti di Batasuna, assolti dall’aver intavolato negoziati.

E guarda caso era stato lo stesso Garzon a coniare una dottrina che impedisse questi processi che prende il nome da Emilio Botin, presidente del banco Santander la principale Banca spagnola ed europea. Garzon archiviò la causa intentata contro il magnate spagnolo per una presunta truffa,  adducendo proprio la motivazione di non luogo a procedere se l’accusa era solo della “acusacion popular” (da qui il termine “dottrina Botin”). Una norma sulla carta garantista quella di Garzon che, come aneddoto aggiuntivo, si trova coinvolto in un altro procedimento giudiziario nei suoi confronti per i presunti finanziamenti ricevuti, durante la sua permanenza negli Stati Uniti, proprio dal Banco di Santander.


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