PRIMAVERA KURDA: TEMPO DI SCELTE

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Il Newroz (il capodanno kurdo) è stato festeggiato da oltre tre milioni di persone in Kurdistan (nelle sue varie parti), in Europa e perfino in Australia e Stati Uniti. Non ci sono state provocazioni da parte dello stato turco e a Diyarbakir oltre un milione di persone hanno ribadito di volere la pace e il dialogo. Il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir ha con forza ripetuto che “la strada del dialogo è l’unica possibile”, aggiungendo che è “una tragedia che kurdi e turchi si uccidano a vicenda”. Il PKK rimane in cessate il fuoco. Una tregua unilaterale in vigore ormai da un anno e sulla quale impazzano le speculazioni. C’è chi sostiene che ormai la tregua è agli sgoccioli (del resto da parte turca non si possono certo rilevare aperture verso il dialogo in questo anno passato senza attacchi diretti del PKK) e chi invece ritiene che non è ancora arrivato il momento di cacciare in un angolo tutto il lavoro fatto (dai kurdi) in quest’anno per il dialogo. Il filo è esile, ma non si è ancora spezzato. Nonostante le centinaia di arresti, la repressione continua che si è attuata e si attua in Turchia come in Europa (le operazioni italiane e belga contro Roj Tv insegnano).
Dalle montagne ha parlato in questi giorni il comandante in capo, per così dire, del PKK, Murat Karayilan. Ha accettato un’intervista con la Reuters. Karayilan ha ripetuto che con il Newroz si è aperta una nuova fase. “Non un periodo ad interim – ha detto – ma una vera e propria fase che si svilupperà nei termini di una ‘soluzione democratica o resistenza'”. In altre parole Karayilan non si sbilancia sul futuro del cessate il fuoco. Se da una parte dice che l’illegalizzazione del DTP (a dicembre, da parte della Corte Costituzionale) ha reso la via per una soluzione politica molto più ardua e che la tregua “potrebbe essere rotta e potremmo riprendere la lotta armata”, dall’altra sottolinea che “le celebrazioni del Newroz possono essere lette come un referendum”. E l’opinione dei milioni di persone che hanno festeggiato è chiaramente quella che la pace deve prevalere. Che non vuol dire però arrendersi a prescindere. Insomma, Karayilan sembra indicare che per il momento le bocce sono ferme. Per il momento, appunto. Quanto questo momento possa durare, è difficile dirlo. La primavera purtroppo è per le forze armate turche il momento propizio per lanciare campagne militari anche molto pesanti (lo si è visto negli anni passati). Il PKK ha sempre risposto colpo su colpo. Il governo continua a incontrare settori della società per ottenere il sostegno alla sua (vuota e sempre di più così) “iniziativa democratica”. Ma incassare il sostegno verbale di questo o quel regista, di questo o quell’attore, non basta evidentemente. E gli intellettuali, come gli artisti che nelle settimane scorse hanno incontrato il premier, Recep Tayyip Erdogan l’hanno detto chiaramente. O ci sono passi concreti, oppure l’iniziativa democratica rimarrà una scatola vuota.


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In questo periodo si accosta al movimento della “Fratellanza musulmana” e, negli anni che seguono, inizia a stringere sempre più stretti contatti con numerosi gruppi di integralisti islamici. Oltre che ad accumulare una discreta fortuna occupandosi della gestione dell’impresa paterna. Abbandonerà tale attività nel 1979 quando, a seguito dell’invasione dell’Afghanistan da parte di truppe sovietiche, si dedicherà ad aiutare i fratelli musulmani contro i “senzadio” comunisti. Inizia infatti ad investire le proprie ricchezze per reclutare volontari, e, in seguito, per addestrarli e per fornirgli le armi necessarie per combattere al fianco dei mujaheddin afgani. Crea così il gruppo del “Fronte di salvezza islamico”, potendo tra l’altro contare, oltre che sui propri fondi, anche sull’aiuto economico proveniente dagli Stati Uniti e sul appoggio della Cia (vedi sotto “Blowback”).

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