Anche in Colombia una rondine non fa primavera – Guido Piccoli

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C’è voluto quasi un anno per ridare la libertà a due soldati e consegnare i resti di un maggiore di polizia, morto 4 anni fa nella selva per una malattia tropicale. Non si trattava di uno scambio di prigionieri. Solo di mettersi d’accordo sulle modalità della consegna. L’ostacolo principale? Per rispondere, basta ascoltare le parole del soldato Pablo Emilio Moncayo, appena sceso dall’elicottero brasiliano che l’ha portato ai suoi familiari, e soprattutto a suo padre diventato famoso in tutto il mondo come “El Profe” o “el caminante por la paz” (ha percorso migliaia di chilometri durante i dodici anni di prigionia di suo figlio nella selva”). Pablo Emilio ha ringraziato tutti, dagli uomini di chiesa agli attivisti umanitari e tre presidenti, Correa, Chávez e Lula. Non ha speso però una sola parola per Uribe. Perché? Perché Uribe non ha fatto altro che ostacolare la sua liberazione, così come ostacolare la pace nel paese, ossessionato dall’illusione di eliminare militarmente le Farc.  Pablo Emilio, a proposito di queste, ha espresso un solo concetto, ma essenziale: “al di là del giudizio su di loro, lì stanno”. E bisogna farci i conti. Invece cosa fa Uribe? Ma sarebbe più giusto chiedere cosa facciano anche coloro che si contendono la sua eredità (tutti, dal più oligarca, Juan Manuel Santos, fino all’ex guerrigliero dell’M-19, il presunto socialdemocratico Gustavo Petro)? Li considerano “terroristi” e ritengono il conflitto interno colombiano una lotta tra democrazia e terrorismo. Guai ad ammettere la realtà, guai a sostenere una banalità: che le Farc lì stanno, sulle montagne di tutto il paese, e che il nemico va riconosciuto e col nemico, se si vuol fare la pace, bisogna dialogare. La Colombia, ma in generale l’Occidente, continua a raccontare e raccontarsi balle, a costruirsi una realtà che non esiste. A chi ragiona, tocca il compito di raccontare la realtà per quello che è. Senza controbattere ad una balla un’altra balla: ad esempio, per rimanere in Colombia, senza raccontare la balla delle Farc come organizzazione sempre nel giusto, qualunque cosa facciano, o come organizzazione sempre sul punto di dare la spallata decisiva al corrotto stato centrale. E la realtà per quello che significa che nessuno è destinato a vincere sul contendente. Se è quasi ridicolo immaginare l’assalto e la conquista di Palacio Nariño come se fosse il Palazzo d’Inverno creolo, è altrettanto impensabile che l’esercito dello stato colombiano, pur super armato e finanziato, possa far fuori la guerriglia delle Farc. Di successi ne ha potuti collezionare molti dovuti alla disparità di mezzi (la cosiddetta guerra asimettrica, evidente soprattutto con l’aviazione) e agli errori fatti dalla stessa guerriglia. Ma è indubbio che le Farc, come ha detto il sergente Pablo Emilio, “lì stanno”. Ragioni per essere ottimisti non ce ne sono. Le liberazioni fatte nei giorni scorsi saranno le ultime, ha annunciato il Segretariato delle Farc, poi si dovrà arrivare allo scambio di prigionieri: da una parte poche decine di militari ( che, ripetiamo, sono prigionieri e non sequestrati visto che si tratta di militari: impariamo a chiamare le cose per il loro nome!), dall’altra centinaia di guerriglieri, rinchiusi nelle carceri colombiane in condizioni ben peggiori di quelle sofferte nella selva, e anche dei comandanti guerriglieri, primi tra tutti Sonia e Simón Trinidad, che marciscono nei raffinati lager Usa. Le possibilità che questo scambio si realizzi sono vicine allo zero. Non solo per il rifiuto dell’establishment colombiano a favore di un dialogo serio: non c’è un solo candidato, nemmeno lo stesso Petro, che si pronunci a favore (ed per questo che anche ad Petro che non disturba i capisaldi della politica di Bogotà, è garantita l’agibilità politica e la vita*). Ma anche perché gli Usa non prenderanno in considerazione la liberazione di Sonia e Simón Trinidad, visto che non l’hanno fatto quando si trattava di scambiarli con i tre contractors che erano prigionieri delle stesse Farc. Contractors che furono liberati, insieme a Ingrid Betancourt (da un po’ fortunatamente silente) in un’operazione che ridicolizzò le Farc (guai ad ricordarlo: i fans italiani delle Farc l’interpretano come una bestemmia ed un tradimento da punire col disprezzo non essendo più tempo di picconi!). Quest’è purtroppo.

*E’ interessante leggere, a proposito, il sempre acuto editoriale di Antonio Caballero, uscito sul settimanale Semana il 21 marzo scorso: http://www.semana.com/noticias-opinion/detras-elecciones/136623.aspx


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