GERRY ADAMS: METTERSI NEI PANNI DEGLI AVVERSARI PER FAR AVANZARE LA PACE
Gerry Adams presidente del Sinn Féin è stato appena rieletto al parlamento di Westminster riconquistando con ampi margini sul suo avversario il seggio di West Belfast. Lo abbiamo intervistato.
– Cominciamo dal un bilancio delle elezioni inglesi?
Il risultato delle elezioni inglesi nel nord Irlanda hanno evidenziato un chiaro messaggio da parte degli elettori: andiamo avanti. I risultati sono stati un rifiuto netto di quegli elementi contrari al processo di pace, fossero essi candidati unionisti ‘tradizionali’ o il TUV (Traditional Unionist Voice) di Jim Allister, o la violenza dei cosiddetti gruppi dissidenti repubblicani. Non c’è fascinazione per l’agenda di questi disfattisti o di quelli che rifiutano a priori. Il messaggio di queste elezioni è che la politica sta funzionando. La stragrande maggioranza della gente vuole il governo condiviso, la partnership politica e le istituzioni nord-sud. Vogliono che le cose continuino a muoversi in avanti in modo positivo. Per la seconda elezione consecutiva, poi, il Sinn Féin è emerso come il maggior partito, quello con il maggior consenso popolare. Siamo cresciuti in quasi tutti i collegi. Il nostro obiettivo era mantenere i 5 seggi a Westminster. Sapevamo che sarebbe stata una sfida molto difficile, visto che gli unionisti si erano concentrati su un unico candidato per Fermanagh e South Tyrone e visto che il SDLP avevano deciso di presentare un candidato così dividendo il voto nazionalista. Nonostante tutto ciò ce l’abbiamo fatta. Anche se per soli 4 voti! Se mai ci fosse stato bisogno di capire quanto sia vera la massima che dice ‘ogni voto conta’, certo questa elezione l’ha dimostrato.
– Il nuovo governo inglese è un governo di coalizione. Come questo potrebbe condizionare i progressi al Nord?
Ho imparato tanto tempo fa a non preoccuparmi di quelle cose sulle quali non ho controllo. Così, mentre altri, soprattutto nei media, erano tutti concentrati a disquisire sul parlamento ‘appeso’ e la coalizione di governo, io ho continuato a lottare per guadagnare il consenso di ogni singolo elettore. Consapevole che chiunque avesse vinto e quindi fosse incaricato di formare il governo in Gran Bretagna, avrebbe dovuto vedersela con il Sinn Féin. Noi siamo pronti a dialogare positivamente con il nuovo governo e a continuare sia a far progredire il processo di pace che ad affrontare le questioni sociali ed economiche che abbiamo tutti davanti e che sono il risultato della crisi globale.
– Altri stanno lavorando per cercare di arrivare a una qualche sorta di negoziato, in particolare kurdi e baschi. Entrambi guardano all’esperienza irlandese.
Ogni esperienza è diversa. L’esperienza irlandese è una. Ce ne sono altre. La chiave è continuare a lavorare. Non ci sono scorciatoie. Bisogna guardare alle esperienze internazionali e vedere come queste possono essere adattate alle tue particolari circostanze. I processi di pace sono in molti modi più difficili del conflitto. Formulare obiettivi strategici; accordarsi su strategie politiche e tattiche per portare avanti questi obiettivi; avere su tutto questo un accordo interno; confrontarsi con gli oppositori e cercare di persuaderli sui meriti delle vostre argomentazioni; ottenere il consenso popolare; ottener il consenso internazionale sulla vostra posizione, tutti questi sono elementi cruciali di una strategia di pace e sono ugualmente importanti.
– Il dialogo e prima ancora il riconoscimento del’ ‘altro’ e della sofferenza dell’altro sono fondamentali in ogni processo di pace. Come raggiungere questo? E in Irlanda è stato raggiunto?
Un processo di pace per avere successo deve essere per sua stessa natura inclusivo. Per ottenere questo bisogna lavorare molto per cercare di capire che cosa spinge e motiva gli oppositori politici. Significa imparare a mettere te stesso nelle scarpe dei tuoi avversari. Esaminare perché mantengono quelle posizioni e perché credono in quello che fanno. In questo modo, una miglior conoscenza delle loro posizioni può servire a riformulare anche le tue strategie e politiche per far avanzare i tuoi obiettivi strategici mentre allo stesso tempo si costruisce un processo inclusivo. Senza inclusione il processo non funzionerà. La guerra di propaganda e i bisogni strategici di sconfiggere un nemico richiedono che gli avversari diventino “terroristi”, “criminali”. La guerra de-umanizza le persone. In un processo di pace genuino quell’approccio è una ricetta sicura per il fallimento. Come ha detto una volta Nelson Mandela, devi trasformare il tuo nemico in amico. Naturalmente questo è enormemente difficile, specialmente se il tuo nemico è responsabile della tua enorme sofferenza. Ma questo vale per tutte le parti coinvolte in un conflitto. Così, trattare gli avversari come ti aspetti di essere trattato. Cercare di capirli. Guardare la situazione dal loro punto di vista e cercare di riformulare il tuo approccio nel nuovo contesto. I processi di verità e riconciliazione sono tra gli aspetti più difficili di ogni processo di risoluzione di un conflitto. Noi non ci siamo ancora arrivati. Abbiamo ancora molto lavoro da fare. Tuttavia, le ultime elezioni hanno anche visto gli evidenti inizi di una riconfigurazione dello scenario politico qui nel Nord. Sempre di più l’elettorato si rende conto che l’agenda progressiva del Sinn Féin sull’economia è nell’interesse dei lavoratori. Così, per la prima volta, abbiamo avuto la prova concreta e visiva di un travaso di voti dalle zone unioniste verso il Sinn Féin. Credo che gli enormi cambiamenti di questi anni abbiamo reso possibili molte cose. La gente è pronta a riconsiderare chi davvero rappresenta i suoi interessi, soprattutto sulle questioni sociali e economiche. I numeri possono essere piccoli, ma lo sviluppo in sé è un fatto significativo e grande motivo di speranza per il futuro della società in quest’isola.
– Infine, dodici anni dopo l’Accordo del Venerdì Santo. Che giudizio dai del processo di pace e dei suoi progressi?
Abbiamo fatto significativi passi avanti, credo. E nonostante gli sforzi di alcuni, compresi quelli che cercano di usare la violenza contro il processo di pace, le istituzioni politiche e l’Accordo del Venerdì Santo rimangono forti. In realtà queste sono questioni consolidate. Gli accordi del Venerdì Santo e di St. Andrews sono politiche del governo britannico e tutti i partiti del nord Irlanda li hanno fatti propri. Il che non significa che qualcuno non cercherà di rallentare aspetti di questi accordi, o di distruggerli interamente, ma le ultime elezioni hanno mostrato chiaramente che la stragrande maggioranza della gente ha accettato gli accordi e le istituzioni politiche. Il Sinn Féin è un partito repubblicano che vuole la fine della partizione e la riunificazione dell’Irlanda e questo processo, crediamo, ci può aiutare a raggiungere questi obiettivi.
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I fratelli minori – il nuovo libro di Enrico Palandri
E’ uscito in questi giorni per Bompiani “I fratelli minori”, il nuovo romanzo di Enrico Palandri. Veneziano, Palandri ha lasciato l’Italia nel 1980 e dopo il successo di Boccalone (romanzo di una generazione, quella del ’77 ma anche di quella successiva e un po’ precursore come sostiene qualcuno del concetto di moltitudine negriana). Nei suoi libri come nella sua biografia personale si incrociano ricerca e un lavoro intenso sul sé, sulle relazioni fra persone, sull’andare e venire, sullo stare abbastanza bene ovunque ma mai benissimo in alcun posto. I fratelli minori è un po’ la conclusione di questo percorso di ricerca. Una fine dove trionfano le persone, e soprattutto le persone implicate le une nelle altre. La storia è su due livelli temporali, gli anni ’70 e gli anni 2000. I due fratelli Martha e Julian (un po’ inglesi e un po’ italiani) figli di un famoso cantante d’opera veneziano, scelgono l’una di cambiare identità per evitare il peso del padre (anche Martha vuole cantare opera) e l’altro – il fratello minore – cercherà tutta la vita di ‘evitare’ gli altri. Il ’77 e l’Italia degli anni di piombo entrano nel personaggio di Giovanni (fidanzato di Martha). Ma è il ragionare sull’identità, sull’esilio, sugli altri il cuore del libro. Perché sono le questioni con cui si dibatte Palandri da anni. “Ho iniziato questo libro – dice lo scrittore – diversi anni fa. Mi sono accorto che avevo scritto più o meno con la stessa voce, rivolgendomi a un nucleo di temi abbastanza simili tra di loro fin da un altro mio libro, “Le pietre e il sale. Voglio che il romanzo sia autonomo, – aggiunge – però per me è un po’ la conclusione di un percorso cominciato per me quando sono andato in Inghilterra nel 1980”.
Andare in un luogo diverso ha permesso anche di continuare a ragionare su quanto accaduto nel tuo passato, negli anni ’70.
Sì. I miei sono libri che hanno a che fare con lo spatrio, il fallimento degli anni ’70, il superamento di questo fallimento. Ma non come il superamento proposto in Italia, cioè sostanzialmente con la figura del pentimento e del ravvedimento. Io non mi sono né pentito né ravveduto, io mi sono continuato. Credo che il pentimento sia una brutta figura perché tende a nascondere il percorso che hai fatto, tenta di rinascere non sulla storia ma su un altro piano. E di questo non mi fido. Non che l’altro piano non esista, la metafisica è sempre qualcosa che accompagna ed è parallela. Ma non credo che si possa uscire dalla storia per andare nella metafisica. Per questo il pentimento come pura morale che si oppone a ciò che hanno prodotto le circostanze, le classi sociali, i conflitti, non mi interessa. Purtroppo questa è stata la figura con cui si sono chiusi gli anni ’70. Io penso che noi siamo stati sostanzialmente la prima generazione che usciva da Yalta, non solo in Italia, in Inghilterra e siamo stati bloccati dal compromesso storico, cioè dai custodi di Yalta, il partito comunista e la Democrazia cristiana che erano i custodi dell’accordo siglato nel secondo dopoguerra. Sia da destra che da sinistra hanno visto nei movimenti qualcosa di inaccettabile perché andava da un’altra parte, anche se era la stessa cosa che accadeva in Inghilterra, in Francia, in America. Ma qui è stato tutto legato alla storia del terrorismo che invece era un fatto minore, legato molto alla storia del comunismo e non dei movimenti, in cui si poteva passare dai movimenti ma per disperazione, per sfiducia nella società, nella possibilità di cambiare, di essere nella società. Nel terrorismo c’era proprio quell’atto disperato che ho cercato, nel libro, di rendere nel personaggio di Giovanni. Non voglio dire nulla in generale sul terrorismo, ma ho cercato di avvicinarmi alle motivazioni del fallimento personale, di esposizione alla differenza sociale che è un tema che ricorre un po’ in tutto in libro. Mi è interessato molto analizzare come i personaggi che ho costruito sentono la propria condizione sociale e quella degli altri e come questi cambiamenti di status hanno un effetto profondo nella vita sentimentale, quando pensano di innamorarsi, nei revanscismi, in quello che si trascinano. C’è come una storia sociale privata che è una specie di biografia del singolo.
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