COLOMBIA: DOPO L’ILLUSIONE LA GUERRA CONTINUA – GUIDO PICCOLI
Il reale batte il virtuale. Da una parte, i nuovi partiti dell’oligarchia, i loro cacicchi e i loro sgherri dislocati su tutto il territorio nazionale, le clientele, le presumibili intimidazioni e le presumibili frodi. Dall’altra, il libero pensiero, l’improvvisazione, Internet con i suoi social-network di moda. Sembrava che gli uni e gli altri si equivalessero. “Sembrava” perché lo sostenevano tutti i sondaggi commissionati dai maggiori gruppi editoriali. La lotta sembrava essere tra la continuità di un regime autoritario ed escludente e la rottura con questo regime, o almeno un cambio notevole. Cioè tra Juan Manuel Santos, l’erede di Uribe e ministro della Difesa, (responsabile politico dell’orrore dei “falsi positivi” e responsabile convinto del bombardamento sul territorio ecuadoriano che due anni fa uccise il ministro degli esteri delle Farc Raul Reyes) e Antanas Mockus, presidente del quasi inesistente “partito verde”, ex sindaco di Bogotà, ex rettore della sua maggiore università. I sondaggi li davano non solo alla pari, ma prevedevano la vittoria nel quasi sicuro ballottaggio del 20 giugno prossimo per Mockus.
Molti tra opinionisti e opinione pubblica hanno dato credito alla cosiddetta “onda verde”.
Domenica sera, hanno fatto irruzione le schede. Dei cinque colombiani che sono andati a votare su dieci chiamati alle urne, tre hanno votato per la continuità, due per un cambio. E dei tre, quasi due e mezzo hanno dato il loro voto a Santos. In termini percentuali, Santos ha più che raddoppiato i voti di Mockus e al ballottaggio gli basterà prendere una parte dei voti dati agli altri due candidati conservatori per diventare presidente. Dopo Uribe, ci sarà quindi un altro Uribe.
Com’è stato possibile un simile sbaglio dei sondaggi? Due le risposte principali. “E’ colpa delle tribune elettorali degli ultimi giorni” hanno bofonchiato i maghi dei rilevamenti d’opinione. Ad una panzana, un’altra panzana. Se era lecito dubitare dei sondaggi realizzati per telefono, che escludono la gran parte dei colombiani, è altrettanto lecito dubitare dell’influenza della televisione, ancora una rarità nelle campagne e nelle baraccopoli che circondano le città (almeno in questo la Colombia di Uribe non assomiglia all’Italia berlusconiana). Di tutt’altra idea, Piedad Cordoba, la famosa parlamentare liberale, diventata un punto di riferimento per il cosiddetto “scambio umanitario” di prigionieri con le Farc e diventata, per tenacia, credibilità e coerenza, l’antagonista più dura di Uribe. “Il sistema ha creato un candidato come Antanas Mockus per legittimare le elezioni. Molti sappiamo che la sua crescita è stata fittizia e mediatica” ha scritto la Cordoba. Una teoria liquidatoria che confermerebbe la grande capacità del regime di mantenersi al potere. Secondo colei che viene data sicura candidata alle prossime elezioni del 2014 (ma ci dovrà arrivare viva…) “creando” la speranza Mockus, il regime ha voluto indebolire le alternative “reali” a Santos e quindi la capacità di controllo sul voto nel paese da parte dei partiti non governativi. E’ una lettura azzardata, in Italia si chiamerebbe “dietrologia”, ma che appare molto più convincente della prima.
Dopo l’ubriacatura si torna quindi alla realtà. La Colombia si ripropone uguale a sé stessa, con le stesse famiglie al potere (quella dei Santos è proprietaria, tra l’altro, dell’unico quotidiano a circolazione nazionale come “El Tiempo”) e con le stesse ricette riguardo l’economia e la sicurezza, cioè neo-liberismo e ancora guerra. Nella “democratica” Colombia continueranno le atrocità già maggiori, in qualità e quantità, di quante ne furono fatte nell’Argentina di Videla, nel Cile di Pinochet, nel Perù di Fujimori o nel Guatemala di Rios Montt: desaparecidos e omicidi extragiudiziari, migliaia di stragi, spesso attuate con una ferocia inimmaginabile, e forni crematori, mattatoi, fosse comuni. E magari riprenderanno i “falsi positivi”, ovvero gli omicidi di migliaia di civili fatti passare per ribelli, una barbarie che nessun regime, nemmeno la peggiore dittatura, era arrivata ad immaginare. E continuerà inevitabilmente quel conflitto con le Farc che Uribe prometteva di sterminare prima in pochi mesi, poi in qualche anno e che, invece, sono ancora presenti in gran parte del paese. La più antica guerriglia del continente latinoamericano ha subito alcuni rovesci (il più clamoroso è la liberazione di Ingrid Betancourt e dei tre mercenari statunitensi nel luglio 2008) ed è stata costretta ad arretrare nelle zone più impervie, a causa di una guerra divenuta sempre più asimmetrica, per l’aumento senza precedenti della spesa militare statale (arrivata al 6,5% del prodotto interno bruto del paese), che ha finanziato soprattutto l’ammodernamento dell’aviazione. Ma ha resistito, decimata in alcune regioni, cresciuta in altre, sparpagliata ovunque, e comunque attrezzata a continuare all’infinito un conflitto armato senza sbocchi, ma anche senza soluzioni fino a quando non sarà riconosciuto come tale e non come uno scontro tra “democrazia e terrorismo”: una definizione doppiamente falsa per il carattere solo esteriore della democrazia colombiana e perché il terrorismo esercitato su larga scala contro la popolazione è soprattutto quello statale e parastatale.
Con un presidente come Santos, la guerriglia avrà lunga vita. Se non un augurio, è una previsione molto più certa dei sondaggi, che hanno alimentato per la Colombia l’illusione di uscire a colpi di social network dal tunnel infernale in cui è stata cacciata più o meno dalla morte di Simv
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