LA FOSSA COMUNE DE LA MACARENA.

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Si torna ancora a parlare della fossa comune più grande dell’America Latina scoperta l’anno scorso nella località del La Macarena nella regione del Meta in Colombia. Dalle testimonianze degli abitanti del luogo e di familiari di scomparsi a causa dei “falsos positivos”, i circa duemila cadaveri che si presume siano interrati sarebbero responsabilità dell’esercito della Colombia.

Nel bel mezzo della crisi diplomatica con il Venezuela dopo che il presidente colombiano uscente, Alvaro Uribe, sostenuto dagli USA, aveva accusato il governo di Hugo Chavez di “ospitare su proprio territorio” gruppi della guerriglia delle FARC, la senatrice colombiana Piedad Cordoba, esponente istituzionale dei movimenti per i diritti umani, ha risposto duramente alle accuse di Uribe che criticò l’incontro realizzato, la settimana scorsa, da una commissione di eurodeputati con famigliari di vittime presumibilmente interrate a La Macarena.

Come riporta la televisione latinoamericana TeleSur, Piedad Cordoba attorniata dai familiari delle vittime, ha detto che “qui ci sono molti degli undici familiari dei ragazzi che furono chiamati a lavorare e poi apparvero assassinati, alcuni squartati e vestiti con uniformi della guerriglia rovesciate . Credo che questa sia la risposta e soprattutto i piacerebbe che il presidente ci desse invece una risposta agli scandali del DAS”, in riferimento alla scoperta di una rete di spionaggio dei servizi di informazione della Presidenza colombiana, agli ordini di Alvaro Uribe, di deputati, magistrati giornalisti e anche ambasciate di paesi latinoamericani.

Il presidente Alvaro Uribe, ha criticato l’incontro della delegazione internazionale, guidata da Piedad Cordoba, asserendo che “qui sono venuti i nemici delle Forza Pubblica della Sicurezza Democratica pochi giorni fa, a alimentare le calunnie contro l’Esercito della patria”. Uribe ha definito la delegazione , di cui facevano parte sei eurodeputati, come “portavoce del terrorismo”.


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30 ANNI FA MORIVA BOBBY SANDS

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Trent’anni fa, il 5 maggio 1981, Bobby Sands, detenuto repubblicano irlandese morì dopo 66 giorni di sciopero della fame. Bobby Sands e nove suoi compagni si lasciarono morire di fame nel carcere di Long Kesh, nei pressi di Belfast. I detenuti dell’Ira avevano 5 richieste : Il diritto di indossare i propri vestiti e non l’uniforme carceraria; il diritto di astenersi dai lavori penali, il diritto alla libera associazione, il diritto ad attività ricreative ed educative in accordo con le autorità carcerarie e il ripristino del condono della pena (venuto meno a causa della “dirty protest”). Oggi quel carcere è chiuso, vuoto. Ma resta il simbolo, con i suoi «H-blocks», blocchi H, della repressione inglese su quel pezzo di isola verde. Il simbolo dell’ostinazione con cui la Gran Bretagna ha continuato (e, seppure in modo diverso, continua) a passare letteralmente sopra i cadaveri di migliaia di persone pur di mantenere il controllo di quelle sei contee: anche quando (come del resto ha riconosciuto il governo di John Major, nel 1994) non aveva più interessi «né strategici, né economici, né egoistici » su quel territorio.

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