PKK DICHIARA FINITA LA TREGUA

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Il PKK ha annunciato che la tregua unilaterale in vigore dall’agosto 2010 è stata sospesa. Da oggi, 1 marzo, le unità armate del PKK, pur non assumendo un atteggiamento di offesa, rimarranno in quella che viene definita posizione di difesa attiva. In altre parole, i guerriglieri kurdi non lanceranno attacchi contro l’esercito turco ma si difenderanno con le armi se verranno attaccati. Nel comunicato rilasciato dal PKK (il testo integrale in inglese qui) si legge che la decisione di porre fine al cessate il fuoco unilaterale è giunta al termine di considerazioni politiche che riguardano l’inattività del governo islamista dell’AKP (Partito della Giustizia e Sviluppo). Il PKK sottolinea come il governo turco non abbia compiuto alcun passo in direzione di una soluzione pacifica al conflitto. Al contrario, nel periodo di tregua unilaterale sono stati uccisi 40 guerriglieri kurdi e oltre 800 politici kurdi sono stati arrestati.
Il PKK scrive di aver tentato in ogni modo la costruzione di un dialogo, ottenendo dall’AKP il silenzio.
Il mese di marzo è un mese particolare perchè le città kurde si apprestano a celebrare il Newroz, il capodanno kurdo. A giugno poi le elezioni politiche.


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Boris Pahor rifiuta il premio del sindaco di Trieste perchè non cita i crimini fascisti

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Boris Pahor, scrittore triestino sloveno è un fiume in piena. A 97 anni racconta, racconta, senza mai stancarsi, senza mai perdere una volta il filo del ragionamento che ci tiene a fare, per ribadire che il fascismo è iniziato prima della salita al governo di Mussolini. Anche per questo quando lo scorso dicembre il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (Pdl), gli voleva conferire la cittadinanza onoraria, Boris Pahor ha declinato l’invito. Ha ritirato invece quello che gli è stato conferito dall’associazione “Liberi e uguali”.

Cominciamo da qui. Perché ha rifiutato il riconoscimento del sindaco?

Quando ho saputo che volevano darmi un riconoscimento, ho saputo anche che il testo conteneva la mia sofferenza nei campi di concentramento tedeschi. Allora ho scritto al signor sindaco che lo ringraziavo per l’idea, solo che la mia vita non è stata segnata solo dal campo di concentramento tedesco. Prima ancora c’è stata la mia gioventù, segnata drammaticamente dal fascismo. Ho perduto un mucchio di anni perché la lingua slovena era proibita e io non ce l’ho fatta a fare il passaggio dalle elementari slovene alla quinta italiana. E non perché non fossi capace da un punto di vista intellettuale, ma perché non potevo diventare italiano per forza. Il regime voleva che tutta la popolazione risultasse italiana (gli sloveni, noi del Carso e del litorale sloveno, e quelli dell’Istria e della Croazia). Hanno cambiato nomi e cognomi alla gente in maniera che noi di fatto risultassimo spariti. Per farla breve, ho detto al sindaco: “io la avverto prima perché non voglio che lei mi dia il riconoscimento senza nominare il fascismo. Altrimenti lo rifiuterei”. Tutto là, insomma. Poi il sindaco, parlando di questo con i rappresentanti sloveni (qui ci sono due società che si interessano alla nostra cultura, una piuttosto di sinistra, l’altra piuttosto diciamo democratico-cattolica), ha deciso risposto che pretendevo di formulare io la motivazione. ‘A caval donato non si guarda in bocca’, ha detto. Al che non posso che rispondere che se mi avessero dato un cavallo l’avrei accettato, ma non posso accettare che si dica che sono stato in un campo di concentramento tedesco tralasciando la mia gioventù che mi è stata praticamente rovinata, non l’ho avuta io la gioventù.

 

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