Le forze politiche nelle elezioni del 20 novembre nel Paese Basco.

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Mancano più di due mesi dalle elezioni legislative spagnole e nel Paese Basco le forze politiche sembrano ormai aver definito le proprie strategie ed alleanze. Bildu  rimane ancora al centro delle attenzioni nonostante le altre forze politiche abbiano ripetuto più volte di non fare di nuovo l’errore di una “campagna elettorale gratis a Bildu” come è avvenuto per le municipali del 22 maggio. Nonostante gli sforzi annunciati i risultati sono stati scarsi anche per come Bildu si è mossa in questi mesi. Per la politica di governo nei municipi e nella Diputacion della Giupuzkoa e per i passi compiuti rispetto alle conseguenze del conflitto armato, ETA, prigionieri e vittime. Bildu sembra aver la capacità di resistere alle pressioni soprattutto attraverso la determinazione dei tempi di azione politica. Un esempio tra tutti: i famosi 100 giorni concessi ad ogni nuovo governo per giudicare il suo operato nel caso di Bildu si sono ridotti a poche ore…. Obiettivamente la situazione era prevedibile. Un forza politica che propone un cambiamento profondo del sistema politico e sociale non poteva attendersi altro che una reazione come questa da forze politiche che questo status quo e le sue regole, in un modo o nell’altro, difendono.

Le elezioni legislative spagnole anticipate arrivano in un momento di crisi economica e sociale  con un sistema bipolare in crisi e con la questione basca come uno dei tempi centrali. Il PP dopo gli attacchi frontali in seguito alla legalizzazione di Bildu sembra moderare i toni paventando addirittura una possibile apertura nel caso in cui ETA abbandoni definitivamente le armi. Il PSOE in piena crisi rispolvera un linguaggio di sinistra nelle sue proposte politiche dopo aver approvato, fino a ieri, le politiche neoliberiste per fronteggiare la crisi economica, imposte dal FMI e la UE, sia sui diritti dei lavoratori e dei pensionati sia sul sistema finanziario. Anche sulla questione basca la confusione è dominante nel partito della rosa nel pugno. Incapace di attuare una strategia lungimirante e, come sui temi economici scimmiottando la destra, il PSOE ha prima avvallato  e promosso le misure liberticide che hanno escluso dalle competizioni elettorali la sinistra indipendentista per poi via via rimangiarsi quanto detto e fatto. Il caso Bateragune è forse il più emblematico. L’operazione di polizia, nell’ottobre 2009, guidata dal giudice Garzon contro al direzione della sinistra indipendentista basca  che aveva messo in atto la svolta strategica che prevedeva tra l’altro il rifiuto della strategia politico militare, venne sostenuta dal Governo Zapatero e dalla sezione basca del PSOE. Non solo, nei mesi successivi sia Governo che PSOE basco, nonostante alcune voci fuori dal coro, aveva promosso la criminalizzazione della traduzione politica elettorale di questa svolta strategica attraverso l’impugnazione dinnanzi a Tribunal Supremo e Corte Costituzionale del partito Sortu e della coalizione elettorale e Bildu.  Insomma una politica di destra o meglio di stato, spagnolo, i cui benefici elettorali andranno…al PP che in questo modo potrà gestire il nuovo scenario politico e la ineludibile soluzione politica.

Che la destra spagnola stia segnando continuamente punti a suo favore lo dimostra anche il caso navarro uno dei temi caldi della questione basca. Al di là delle dispute elettorali, la dialettica tra destra spagnola e PSOE non è politica ma unicamente di gestione, che in nome dello stato, per fronteggiare il pericolo “rosso separatista” rappresentato dalle forze basche progressiste, gli accordi politici si possono fare e disfare nel breve volgere di tre, quattro anni.  Nel 2007 UPN, la forza regionalista maggioritaria rompe lo storico patto politico con il PP ipotizzando una alleanza con PSOE navarro (PSN) per fronteggiare l’ascesa di Naffaroa BAI – una coalizione di forze politiche progressiste più il PNV – che divenne nelle elezioni provinciali del 2007 la seconda forza politica  e che si avvalse della proscrizione della sinistra indipendentista basca. In Nafarroa Bai il peso maggiore lo aveva Aralar la scissione di Batasuna, scissione soprattutto sulla questione della lotta armata, e EA.  In quelle elezioni del 2007 Nafarroa Bai propose una alleanza con il PSN per scalzare la destra, “la più reazionaria in Europa” cosi viene definita, dal Governo provinciale. Dal Ferraz, sede del PSOE a Madrid venne l’aut aut alla ipotesi e PSN appoggiò l’UPN guidata da Sanz. In cambio UPN appoggerà esternamente il Governo Zapatero. Elezioni 22 maggio. Bildu irrompe nello scenario elettorale, diventa la terza forza politica nelle municipali e la quarta nelle lezioni provinciali. Ma il dato più significativo è che Nafarroa Bai più Bildu,  espressioni di una area sociale navarra progressista e con riferimenti baschi, minacciano direttamente l’egemonia della destra navarra. Ecco quindi che con il PSOE in caduta ilbera e un PP dato qusi per certo vincitore ma soprattutto  dopo l’annuncio di una alleanza per elezioni del 20 novembre tra Aralar e Bildu,  la nuova presidente della Diputacion Navarra Barcina annuncia un accordo di UPN con il PP per elezioni del 20 novembre con l’esplicito proposito di “fronteggiare l’avanzata indipendentista basca”. Un proposito subito tradotto in “un accordo di stato”, per il quale UPN impone a PP e PSOE una mozione in parlamento nella quale si stabilisce un “ferreo controllo sulla politica Bildu atto a verificare se è in contrasto con l’ordinamento giuridico e la Costituzione”.  E il PSN? Nulla, nonostante avesse avuto l’occasione anche in queste ultime elezioni provinciali di dare un senso alla definizione “socialista” del suo nome  accettando la proposta di Nafarroa Bai e Bildu di “un governo progressista a guida PSN!!!”. Proposta respinta per accettare una riedizione del sostegno a UPN  Alla federazione provinciale del partito guidato da Jimenez, non rimane altro che denunciare il buco nella amministrazione provinciale navarra di cui è stato sostenitore nella passata amministrazione come in questa. Poche volte si è assistito a un così chiaro e annunciato suicidio politico.

Il PNV una egemonia elettorale a rischio

Il PNV si trova in una situazione di grande difficoltà. Non solo per la presenza di Bildu ma anche per la debolezza di una proposta politica  – consolidamento autonomista – che in tempi di vacche magre, non da molti spazi di manovra. E’ vero che l’accordo ottenuto dal PNV con il Governo Zapatero sulla passaggio di 32 competenze autonome ancora pendenti è stato presentato come “un successo”, ma la contropartita dell’appoggio alle misure economiche varate dal Governo socialista che hanno colpito lavoratori e pensionati, ha di fatto cancellato il presunto “successo”. E lo si è visto nelle elezioni del 22 maggio: il PNV ha perso la maggioranza in Alava e dove la somma di Bildu e Aralar la colloca dietro le due formazioni della sinistra basca, in Guipuzcoa, dominata da Bildu, e la sua presenza in Navarra dopo lo sfaldamento di Naffaroa Bai torna ad essere simbolica. Rimane solo la Vizcaya dove ostenta maggioranza ma grazie soprattutto al capoluogo Bilbao dove è maggioranza assoluta. Curiosità storica: il PNV nato alla fine del 1800 a Bilbao, con l’obiettivo di essere il “partito dei baschi” torna ad avere più di un secolo dopo solo a Bilbao la sua vera roccaforte. Una situazione politica quella interna al partito dove la dialettica si fa sempre più aspra e dove la mancanza di una leadership convincente fa rimpiangere a molti nella base del partito, l’abbandono della politica da parte di José Maria Ibarretxe, il presidente della CAV dal 1999 al 2008, quello della vittoria elettorale del 2001 contro l’alleanza PSE-PP, con 600.000 voti, della proposta di autodeterminazione e della riforma dello statuto di autonomia.

Del resto le ultime mosse non sono state felici. Gli attacchi ripetuti a Bildu, alcune grane della passata gestione nella Diputacion de Guipuzcoa, l’insistenza sulla politica delle grandi opere, come il mega inceneritore di Zubieta, il TAV, il super porto di Pasaje, che hanno provocato ampie contestazioni sociali oltre alla dubbia fattibilità vista la crisi economica galoppante, danno una immagine di un partito che ha perduto quella sicurezza nel considerarsi “centrale” nella politica basca. Che stia cercando di parare il colpi dell’effetto Bildu è innegabile.  Il rifiuto alla proposta di Bildu di concorrere alle prossime elezioni in una “lista comune ” per portare la richiesta di sovranità basca  a Madrid fa da contraltare alla presentazione da parte del PNV di una proposta di riforma della costituzione spagnola sul diritto attualmente negato all’autodeterminazione, che a priori si sapeva destinata a cadere nel vuoto. Un atto puramente propagandistico che suggerisce ancor più il timori interni al partito nazionalista basco che il 20 novembre prossimo possa significare il sorpasso elettorale a sinistra.

La sinistra basca

Che nella sinistra basca nelle sue diverse espressioni si registri una situazione di discreta euforia lo suggeriscono i fatti. I primi mesi di gestione municipale della Diputacion de Guipuzcoa hanno permesso di verificare come Bildu si stata capace di interpretare e proseguire nel cammino intrapreso alcuni anni fa, dalle forze rappresentate da questa coalizione, con l’obiettivo di imprime un cambio di cultura politica al Paese basco. Le proposte di austerità della politica, i primi passi nella verifica dei conti pubblici della passate amministrazioni, le risposte alle polemiche e gli attacchi che fin dal primo minuto hanno scatenato le altre forze politiche, ma soprattutto l’aver imposto i tempi nella presa di decisioni mostrano soprattutto una convinzione nella propria proposta politica e nel consenso popolare. Perché il salto dalla politica rivendicativa a quella della gestione dei “beni comuni” è notevole. Lo si è visto nella proposta dei consigli di amministrazione delle municipalizzate piuttosto che in quelli degli enti pubblici. Una politica di equilibrio di necessaria mediazione e trasparenza, per far si che proposte idee e voci fino ad ora inascoltate possano avere il loro protagonismo. Senso di responsabilità è la parola che viene utilizzata frequentemente indicando con questo che Bildu deve sapere difendere la proposta politica del settore sociale che rappresenta in un contesto dove sistema politico istituzionale ed economico sono in contrasto con questa proposta.

Fino ad ora la strategia messa in atto sta dando i suoi frutti. L’Accordo di Gernika viene seguito alla lettera, il percorso di riconoscimento di tutte le vittime del conflitto è stato intrapreso rispettando tempi e modi necessari per far almeno rimarginare ferite profonde nella società basca che diano luogo a riconciliazioni ma prima ancora  a riconoscimenti reciproci. Il tema dei prigionieri è posto come uno dei nodi da scogliere per far si che il processo di smilitarizzazione del conflitto venga accelerato. Il partiti firmatari l’Accordo di Gernika chiedono passi decisi in tal senso a Governo e altre forze politiche. Che non risponde. Chi invece lo fa è la magistratura mantenendo ancora in atto misure lesive della liberta d’espressione come l’accusa di apologia di terrorismo contro il sindaco di Leitza, Bildu, per l’esposizione dello striscione a favore del rimpatrio dei prigionieri baschi durante la festa dei paese.

Ma è anche sul terreno strettamente politico che sono stati fatti passi in avanti verso la conformazione di un polo per la sovranità e progressista . L’ultima in ordine di tempo è l’adesione  al progetto elettorale per le elezioni del 20 novembre di Aralar. Questa decisione che prelude ad pià generale di confluenza politica, è arrivata con un certo ritardo. I motivi sono comuni a queste situazioni: necessita di protagonismo ma anche legittima scommessa sulla proposta di Naffaroa BAI che per Aralar rappresentava l’unica vera carta da giocare nello scacchiere politico basco. Infatti nella CAV la sua proposta era rimasta marginale non riuscendo a coinvolgere l’elettorato della sinistra indipendentista che mostrava di non gradire i modi tempi ma anche alcuni contenuti della proposta politica di Aralar. A convincere la direzione del partito che era arrivato il momento di aderire al progetto naturale della sinistra basca sono state le elezioni del 22 maggio e soprattutto quelle in Navarra dove Nafarroa Bai  ha visto ridotto il suo peso elettorale ha scapito di Bildu, coalizione che l’ha superata per voti e numero di consiglieri comunali. E la scelta di coalizzarsi con Bildu per il 20 novembre ha inferto un colpo probabilmente mortale a Nafarroa bai. Ormai  ridotta alla sua deputata Uxue Barkos in sintonia con il PNV, e un gruppo d’indipendenti Nafarroa BAI sembra destinata a scomparire dalla scena politica la termine di questa legislatura provinciale appena iniziata. Insomma la svolta della sinistra indipendentista basca ha provocato una catarsi nel panorama politico basco che tra l’altro ha visto la scomparsa di due formazioni politiche: H1N un scissione di EA e soprattutto il Centro Democratico Navarro che agli inizi degli anni 90 aveva guidato per un breve periodo la Diputacion Navarra con l’idea di riformare la destra navarra in senso più consono con le diverse sensibilità della provincia. In questa polarizzazione non sembra ci sia spazio per altre forze politiche. Izquierda Unida nella CAV ha forse segnato la sua fine dopo lo “scandalo” della federazione dell’Alava che aveva chiesto al PNV soldi e incarichi al partito in cambio dell’appoggio alla candidatura del PNV al Governo della provincia. In Navarra il progetto di IUN dopo la confluenza di un settore di Naffaroa Bai  in realtà si è ridotto ad un presenza marginale indicando che un possibile cambio progressista della provincia passerà ineludibilmente attraverso il polo Bildu-Aralar.

In questo scenario manca legalmente ancora un protagonista che paradossalmente è l’artefice di questa svolta epocale. Infatti la legalizzazione di Sortu di cui si attende il verdetto della Corte Costituzionale, sancirebbe la presenza organizzata anche pubblica del settore politico e sociale principale della sinistra basca. Corte Costituzionale che ormai sembra voler attendere le elezioni del 20 novembre per emettere un verdetto che alla luce della giurisprudenza sancita con Bildu dovrebbe garantire la presenza di Sortu nella politica istituzionale.

E sullo sfondo, ETA

Infine ETA, presente in tutti i discorsi ma che ormai tace da due anni con le armi e da mesi anche con le parole. II mass media spagnoli continuano con articoli di “esperti” o veline dei servizi d’informazione sulla situazione, presunta, interna all’ organizzazione. Sui piani passati, sul dibattito interno ai detenuti, il tutto filtrato, decontestualizzato. Certo è che la preoccupazione manifestata da opinionisti e politici è il “pericolo” che la battaglia sulla memoria storica dia ad ETA un ruolo diverso da quello di un “gruppo terrorista” tout court. La paura della storia che attanaglia la Spagna dalla fine della guerra civile è l’ostacolo alla sua democratizzazione. Di ETA si sa tutto o quasi del perché è nata ed ha continuato ad esistere nel cuore dell’Europa occidentale, anche. Del perché circa 15000 uomini e donne in questi cinquant’anni ne abbiano fatto parte, sta scritto, detto alla luce del sole o di un candela se si preferisce. Per questo nel Paese basco sono molti che considerano per lo meno pretestuoso ricevere lezioni di storia da chi ha negato il genocidio politico rappresentato dalla dittatura franchista, ricordando che si hanno messo 30 anni dalla morte del dittatore per fare una legge, povera, come quella sulla Memoria Storica o che hanno pubblicato, seppur tra polemiche, un Dizionario Biografico Storico in cui Franco viene definito un “dirigente cattolico, moderato e intelligente” e il regime da lui guidato con l pugno di ferro come “autoritario ma non dittatoriale”.

Il 27 settembre prossimo si celebrerà nuovamente il Gudari Eguna il giorno del soldato basco, una data simbolica che ricorda l’ultima fucilazione del regime franchista nel 1975, dei cinque antifranchisti, tra cui i militanti di ETA Txiki e Otaegi. Ogni anno in questa data è occasione per ETA prendere la parola. Questa è la prima volta in cui il 27 settembre si celebra con  ETA che ha decretato  “un alto al fuoco generale, permanente e verificabile”.


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