Il governo indiano ed il pretesto maoista – Arundhati Roy

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Le basse colline del sud di Orissa sono state il focolare domestico della kondh Dongria molto prima che ci fosse un paese chiamato India o uno stato chiamato Orissa. Le colline vegliano ai kondh. Bene, queste colline sono state vendute la quantità di bauxite che contengono. Per i kondh è come se Dio fosse stato venduto. Si domandano quanto andrebbe a Dio, sia Ram, Allah o Gesu Cristo.

Forse si presume che i kondh dovrebbero essere grati che le colline Niyamgiri, il focolare dei suoi Niyam Raja, la legge Universale di Dio, siano state vendute ad un impresa con un nome come Vedanta (il nome del ramo della filosofia hindù che insegna che la natura è la fonte ultima della Conscenza). E’ una delle maggiori corporazioni minerarie del mondo ed è proprietà di Anil Agarwal, il multimilionario indiano che vive in una mansione a Londra, che era appartenuta allo Scià di Persia. Vedanta è solo una delle molte imprese multinazionali che si stanno installando in Orissa. Si distruggono le colline, i boschi che esistono anch’essi verranno distrutti. Così accadrà con i fiumi ed i ruscelli che li alimentano e che irrigano i campi della pianura. Lo sarà anche per la kondh Dongria, le centinaia di migliaia di persone delle tribù che vivono nel cuore dei boschi dell’ India.

In India, nelle sue più popolate città, qualche persona dice:”E allora? Qualcuno dovrà pur pagare il prezzo del progresso”. Alcuni dicono anche:”Cerchiamo di essere realisti, queste sono persone il cui tempo è scaduto. Guarda tutti i paesi sviluppati, Europa, Stati uniti, Australia, tutti questi hanno un passato simile. Di fatto lo fanno. Quindi perché noi no?”

In sintonia con questa forma di pensiero, il 3 dicembre 2009 il governo lanciò l’ Operazione Caccia Verde, presentata come una guerra contro i ribelli maoisti che operano nelle selve dell’India centrale. La guerra è programmata per durare cinque anni e dispiegherà fino a 70.000 tra poliziotti, soldati, paramilitari. Ovviamente, non solo i maoisti sono  ribelli. C’è un ampio spettro di lotte in tutto il paese come  i senza terra, i dalit, i senza tetto, lavoratori, contadini, tessitori.  Sono di fronte un mostro di ingiustizia, incluse le politiche che permettono un  maggiore assorbimento corporativo della terra del popolo e delle risorse. Eppure, sono i maoisti che il Governo considera come la maggiore minaccia.

Due anni fa, quando le cose non andavano così male come adesso, il primo ministro Manmohan Singh descrisse i maoisti come “la minaccia più grande per la sicurezza interna” del paese. Questo sarà ricordato come la frase  più popolare e più ripetuta di quante ne ha detto. Però, per qualche ragione, il commento che fece in una riunione di Capi di Stato nel gennaio del 2009, sul fatto che i maoisti dispongono di “modeste capacità”, non sembra aver avuto la stessa risonanza. La sua vera preoccupazione venne manifestata nel giugno dell’anno scorso, quando disse al parlamento: “ se non si combatte l’estremismo e continua a crescere nelle zone dove esistono risorse naturali, come i minerali, il clima per gli investimenti senza dubbio verrà condizionato”

Gli insorti maoisti

Chi sono i maoisti? Sono membri del proscritto partito Comunista dell’India (maoista)anche conosciuto come PCI (maoista), uno dei vari discendenti del Partito Comunista dell’ India (marxista-leninista), che guidò la sollevazione naxalita nel 1969 ed in seguito liquidato dal governo indiano. I maoisti credono che quanto innato, la disuguaglianza strutturale della società indigena, solo può essere riparato con l’abbattimento violento dello stato indiano.  Nella sua anteriore incarnazione come il Centro Comunista maoista a Bihar e Jharkhand, e il Gruppo di Guerra Popolare in Andhra Pradesh, i maoisti avevano ricevuto un tremendo appoggio popolare. Quando nel 2004 venne tolta, brevemente, la proscrizione 1,5 milioni di persone assistettero  ad un loro meeting a Warangal.

La storia del GGP in Andhra Pradesh fini male. Lasciarono un’eredità che portò alcuni dei loro più fermi difensori  ad  essere critici severi.. Dopo un parossismo di morte e lotta contro la morte, la polizia di Andhra Pradesh riuscì a decimare il GGP. Quelli che riuscirono a sopravvivere fuggirono dallo stato di Andhra Pradesh verso il vicino stato di Chattisgarh, nel quale, nel cuore della selva, si unirono ai loro compagni che operavano là da decenni.

Non molti stranieri hanno un’esperienza di prima mano del movimento maoista nella selva. Una recente intervista pubblicata da Open, una rivista settimanale indiana,con il suo massimo leader, il Compagno Ganapathy (Mupalla Laxman Rao), non fece molto per cambiare le menti di quelli che considerano che i maoisti sono un partito con una visione implacabile e totalitaria. Il Compagno Ganapathy non ha detto niente che potesse convincere le persone su ciò che farebbero se arrivassero a prendere il potere, su cosa farebbero rispetto alla diversità ed alla società delle caste sulla quale è costruita l’India. La sua approvazione informale delle Tigri di Liberazione del Tamila Eelam (LTTE) dello Sri Lanka, fu sufficiente per provocare i brividi, incluso al più comprensivo, non solo per la forma brutale che scelsero le Tigri di Liberazione per portare avanti la loro guerra ma anche per la tragedia in cui è ha sprofondato il popolo tamil dello Sri Lanka, che affermava di rappresentare, e sul cui destino sicuramente deve avere qualche responsabilità.

Adesso nell’India centrale, l’esercito guerrigliero maoista si compone quasi totalmente dei popoli tribali disperatamente poveri che vivono in condizioni di fame cronica solo associabile con l’Africa sub sahariana. Sono persone che anche dopo 60 anni della cosidetta indipendenza dell’ India, non hanno avuto accesso alla educazione, alla salute o alla riparazione giudiziaria. Sono persone che sono state sfruttate per decenni senza pietà, costantemente ingannate dai commercianti e usurai, le donne violentate come questione di diritto dalla polizia e dal personale del dipartimento forestale. Il viaggio di ritorno ad una parvenza di dignità si deve in gran parte al contesto maoista, i cui militanti hanno vissuto, lavorato e lottato a loro fianco per decenni.

Nel 2008, un gruppo di esperti nominati dalla Commissione di Pianificazione presentò un dossier denominato: “Sfide per lo Sviluppo delle zone influenzate dagli estremisti”. In esso si dice: “Il movimento naxalita (maoista) deve essere riconosciuto come un movimento politico con una forte base tra contadini senza terra, poveri, adivasi (le popolazioni indigene dell’ India). La sua apparizione e crescita devono essere contestualizzate nelle condizioni sociali e con l’esperienza delle persone che formano parte del movimento. Il grande divario tra la politica di stato e la sua applicazione in queste zone è una caratteristica di queste condizioni.  Nonostante la loro ideologia professata, e che il loro obietti a lungo termine siano prendere il potere dello Stato con la forza, deve essere visto (il movimento naxalita), fondamentalmente come una lotta per la giustizia sociale, uguaglianza,protezione,sicurezza e sviluppo locale”. Un’analisi ben lontana da quel monito (del primo ministro Singh) sul movimento naxalita come “la minaccia più grande per la sicurezza interna dell’ India”

L’esempio dello Sri Lanka

Al fine di preservare i suoi cittadini più accomodati da queste persone pericolose, il governo gli ha dichiarato guerra. Una guerra che, ci dice, può durare dai tre ai cinque anni. Strano, no (?), soprattutto dopo gli attentati di Bombay 2008 e la rapidità con cui il governo era disposto a parlare con il Pakistan. Però quando si tratta di fare una guerra contro i poveri, è un altro linguaggio.

Non è sufficiente che la polizia speciale con nomi totemici come “Levrieri”, “Cobra” e “Scorpioni” stia percorrendo i boschi con  licenza di uccidere. Non è sufficiente che la Forza di Polizia Centrale di Riserva, la forza di Sicurezza di Frontiera ed il famoso Battaglione Naga abbiano già causato stragi e commesso atrocità nei villaggi più remoti della selva. Non è sufficiente che il governo appoggi le armi del Salwa Judum, una “milizia popolare” paramilitare che ha ucciso, violentato e bruciato tutto ciò che si è trovata sulla sua strada attraverso i boschi del distretto di Dantewada, nel Chhattisgarh, lasciando 300.000 persone senza casa. Adesso, a partire dal 3 dicembre 2009, il governo ha messo in marcia la Caccia Verde.

L’”Operazione Caccia Verde”, comprende uno spiegamento della polizia di frontiera indo-tibetana e decine di migliaia di truppe paramilitari. Si stabilirà un quartiere della brigata nel distretto di Bilaspur (evacuando nove villaggi) ed un base aerea nel distretto di Rajnandgaon (evacuando sette villaggi). Gli elicotteri della forza aerea indiana hanno ricevuto l’ordine di aprire il fuoco per “difesa propria”, un diritto che il governo nega ai suoi cittadini più poveri. Come sono capaci le forze di sicurezza di distinguere un maoista da una persona comune e corrente? L’adivasi che ha portato l’arco e frecce per secoli, adesso è anche lui un maoista? Sono i maoisti non combattenti obiettivi validi? E i simpatizzanti dei maoisti? Quando io ero a Dantewada, il sovraintendente  della polizia mi mostrò le foto di 19 “maoisti”, che “i suoi ragazzi” avevano ucciso. Gli domandai come sapeva che erano maoisti. Rispose: “Guardi signora, perché hanno medicine contro la malaria, le bottiglie del Dettol, tutte queste cose vengono da fuori”. Che razza di guerra è l’Operazione Caccia Verde? Lo verremo a sapere? Non ci sono molte notizie che escono dai boschi. Lalgarh, nel Bengala Occidentale, è stato isolato. Quelli che cercano di andarci vengono picchiati ed arrestati. I cosiddetti maoisti, ovviamente.

Nel breve tempo di poche ore, il 17 maggio 2009, a Dantewada, 500 membri delle forze di sicurezza del governo hanno raso la suolo l’Ashram Chetana, Vanvasi, un ashram di Ghandi. Fu l’ultimo bastione della zona neutrale prima di iniziare la guerra, un luogo dove giornalisti, attivisti, investigatori ed altri gruppi potevano rimanere mentre lavoravano nella zona.

Intanto, l’establishment dell’India ha scatenato la sua arma più potente. In poco tempo, i nostri mezzi di comunicazione integrati nel sistema, hanno sostituito le loro isteriche storie, senza fondamento, del “terrorismo islamico”, con storie isteriche, senza fondamento, del “terrorismo rosso”.

La soluzione “Sri Lanka” potrebbe stare al fondo di tutto questo. Non è casuale  che il governo indiano abbia bloccato una azione europea alle Nazioni Unite chiedendo un’indagine internazionale sui crimini di guerra commessi dal governo dello Sri Lanka nella sua recente offensiva contro le Tigri Tamil.

Il primo passo in questa direzione è la campagna concertata che si è organizzato per mettere costringere le molteplici forme di resistenza che hanno luogo in questo paese, su un semplice binario, tipo George W. Bush: se no stai con noi, stai con i maoisti. L’esagerazione deliberata della minaccia maoista aiuta a giustificare la militarizzazione dello stato. Sebbene tutto l’ossigeno viene utilizzato da questa nuova strategia della “guerra contro il terrore”, lo Stato approfitterà l’opportunità offertagli per ripulire gli altri movimenti di resistenza, ce ne sono centinaia, nella sua operazione militare e definirà tutti questi simpatizzanti maoisti.

Una volta iniziata la guerra, come tutte le guerre, si svilupperà una dinamica, una logica ed una economia proprie. Si convertirà in un modo di vita, quasi impossibile da invertire. La polizia ci si aspetta che si comporti come un esercito, una macchina per uccidere implacabile. Dai paramilitari ci si aspetta che arrivino ad essere come una polizia, corrotta e gonfita dal potere amministrativo. Lo abbiamo visto negli stati del Nagaland, Manipur e Kashmir. Con il tempo, il divario tra il popolo e gli agenti della legge diventerà poroso. Le armi e le munizioni si comprano e si vendono. Di fatto, sta già succedendo. Che si tratti delle forze di sicurezza o dei civili o maoisti non combattenti, i più poveri muoiono in questa guerra dei ricchi.

Di metalli preziosi

Allora, di che tipo di guerra stiamo parlando? Nel suo libro, che tra poco sarà pubblicato, Samarendra Das felix Padel scrive che il valore economico dei giacimenti di bauxite nello stato dell’Orissa è di 2,270 milioni di dollari (più di due volte il PIL dell’ India). Questa stima era del 2004. Oggi saremo attorno ai 4.000 milioni di dollari.

Oltre all’ Orissa, si dovrebbe ampliare i 4 miliardi di dollari nell’includere il valore dei milioni di tonnellate di minerale di alta qualità di ferro negli stati di Chhattisgarth, ad est, e Jharkhand, a nord, ed altri 28 risorse minerarie preziose come uranio, carbone stagno, granito, marmo, rame,diamanti, oro, quarzo ed altri. A questo bisogna aggiungere le centrali elettriche, le dighe, le strade, le fabbriche di acciaio e di cemento, le fonderie di alluminio e tutti gli altri progetti di infrastruttura per poter fare una stima corretta della enormità della operazione e della disperazione delle parti interessate.

Ci sono contratti in ogni montagna, fiume o bosco. Stiamo parlando di ingegneria sociale e dell’ambiente a livelli inimmaginabili. E la maggioranza di tutto questo è segreto. Non è di dominio pubblico. I nostri canali di notizie 24 ore che sono tanto occupati nella caccia di macabre storie della violenza maoista sembrano non avere interesse alcuno a questa parte della storia. Mi domando perché. Forse è perché la lobby dello sviluppo, della quale sono schiavi, dice che l’industria mineraria fornisce un importante ritmo di crescita del PIL e da lavoro alla gente. Questo non fa tornare i conti dei costi dei catastrofici danni ambientali. Però anche rimanendo sulle loro affermazioni, è semplicemente falso. La maggioranza del denaro va sui conti bancari delle corporazioni minerarie. Una percentuale molto piccola delle persone forzate ad andarsene dalle loro terre ottengono un impiego e chi lo ottiene guadagna salari da schiavi per fare lavori da sfinimento ed umilianti. Nel cedere a questo parossismo dell’avarizia, stiamo rafforzando le economie di altri paesi a spese della nostra ecologia.

Quando la quantità di denaro in gioco è quella che è, gli attori no sempre sono facili da identificare. Tra gli esecutivi nei loro jet privati e le tribù miserabili ci sono agenti speciali di polizia e le milizie “del popolo” (si riferisce ai paramilitari) che per un paio di migliaia di rupie al mese lottano contro i propri cittadini, stuprano, ammazzano bruciano intere aree per preparare il terreno per le miniere; è un universo intero di parti interessate;:primario, secondario e terziario.

Queste persone non devono dichiarare i loro interessi, però sono autorizzate ad utilizzare la loro posizione ed i loro buoni uffici per favorire le imprese minerarie. Come facciamo a sapere quale partito politico, quali ministri, parlamentari, politici, giudici, ONG, consulenti esperti ed agenti di polizia hanno un interesse diretto o indiretto nel bottino? Come facciamo a sapere che la presentazione d’ informazioni periodiche  delle ultime “atrocità” maoiste, che i canali della TV trasmettono presumibilmente  dalla “Zona Zero” non mentano sfacciatamente? Troppo domande sui conflitti di interesse e clientelismo continuano a non avere risposta. Che facciamo con il fatto che il Ministro degli Interni, Chidambaram, il Capo della Operazione Caccia Verde, fu un direttore non esecutivo della compagnia mineraria Vedanta, una posizione alla quale rinunciò il giorno che divenne Ministro delle Finanze nel 2004? Che facciamo con il fatto che quando fu nominato ministro delle Finanze fu uno dei primi a dare autorizzazioni all’investimento diretto in India alla Twinstar Holdings, una impresa con sede alle Mauritius, per l’acquisto di azioni di Sterlite, una parte del gruppo Vedanta?

Che facciamo con il fatto che, quando gli attivisti di Orissa presentarono un denuncia contro Vedanta alla Corte Suprema dell’India, citando le sue violazioni delle direttive del Governo e segnalando che il Fondo delle Pensioni della Norvegia aveva ritirato i suoi investimenti dalla compagnia per i suoi brutali danni all’ecosistema e le violazioni dei diritti umani commessi dall’impresa, il ministro di Giustizia, SH Kapadia, suggerì semplicemente di sostituire Vedanta con un’ altra, come Sterlite? In seguito, annunciò allegramente che lui aveva azioni di Sterlite. E Sterlite iniziò un taglio dei boschi per andare avanti con la miniera, nonostante il comitato di esperti della stessa Corte Suprema di Giustizia abbia detto esplicitamente, che il permesso doveva essere negato e che lo sfruttamento minerario sarebbe una rovina dei boschi, delle fonti d’acqua e della vita e sostegno delle migliaia di persone delle comunità tribali che là vivono.

Che facciamo con il fatto che proprio nell’epoca nella quale il Primo Ministro Singh iniziò a chiamare i maoisti, la “più grande minaccia alla sicurezza interna” (un segnale che il governo si preparava a perseguirli), i prezzi delle azioni di molte imprese minerarie nella regione schizzarono in alto?

Le compagnie minerarie necessitano disperatamente questa guerra. Loro  si fanno ricchi, molto ricchi, se le operazioni contro insurrezionali del governo indiano avranno esisto nell’espellere i popoli tribali che fino ad ora sono riusciti a resistere ai tentativi di espellerli dalle loro terre ancestrali.

Se l’obiettivo che le casse delle corporazioni minerarie trabocchino, o se l’Operazione Caccia Verde semplicemente serve per aumentare le file dei maoisti, è ancora tutto da vedere.

Fonte: http://www.inthesetimes.com/article/5429/indias_trail_of_tears/


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Sinistra Indipendentista, Eusko Alkartasuna Alternatiba: NUOVO ACCORDO PER LA SOVRANITA’ E IL CAMBIO SOCIALE

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Dopo l’accordo strategico firmato a Bilbao nel giugno 2010 tra Sinistra Indipendentista e Eusko Alkartasuna domenica scorsa  a Gasteiz (Vitoria) un nuovo passo è stato compiuto verso la creazione della convergenza per la “sovranità di sinistra e progressista basca”. Ad aggiungersi ai firmatari di Bilbao è arrivata Alternatiba,  una scissione di Ezker Batua, Izuierda Unida basca, che aveva sottoscritto anche la Dichiarazione di Gernika.

Nel palazzo dei congressi Europa, gremito di militanti delle formazioni politiche firmatarie, Pello Urizar (EA), Jone Goirizelaia (SI) e Oskar Matute (Alternatiba) hanno spiegato i motivi di questo accordo.

Urizar dopo aver rivendicato il ”diritto dei baschi ha disegnare il proprio vestito” ha rimarcato che ogni organizzazione pur mantenendo i propri obiettivi e identità lavorare anno in modo congiunto sui punti comuni stabiliti nel documento sottoscritto.

Urizar segnalò che “le organizzazioni firmatarie si compromettono  a perseguire il loro fini unicamente per vi pacifiche e democratiche” includendo “dal alvoro istituzionale alla disobbedienza civile”.

Jone Goirizelaia ha sottolineato che questo accordo arriva in un momento trascendentale dopo che ETA ha preso una “decisione senza precedenti e storica” con l’annuncio della tregua generale, permanente e verificabile.

La rappresentate della SI ha detto che si “è aperto la porta a una nuova fase politica” invitando al lavoro ed  a “essere perseveranti ed attivi” sapendo che non mancheranno “le provocazioni”. Inoltre ha riaffermato che i firmatari di questo accordo difendono tutti i diritti per tutte le persone e la legalizzazione di tutti i progetti politici, aggiungendo che verrà “svelato quanto di mercenario c’è nel conflitto”

Oska Matute è stato incaricato per sviluppare la parte dell’accordo che riguarda il modello socioeconomico. Considerando che “l’economia è il cuore della politica” i firmatari si compromettono nel “porre l’economia al servizio dei cittadini”. Dinnanzi alla dicotomia tra “difendere le persone e i loro diritti o il capitale e il suoi benefici” la scelta sulla prima opzione è inequivocabile. Matute ha colto l’occasione per annunciare l’appoggio di EA; SI, e Alternatiba allo sciopero generale che la maggioranza sindacale basca ha indetto per il 27 gennaio contro la riforma delle pensioni annuncia dal Governo Zapatero.

Euskal Herria ezkerretik

Il documento sottoscritto riguarda le quattro province di Hego Euskal Herria (province nello stato spagnolo)

Di seguito alcuni estratti:

1. Contesto della congiuntura

Euskal Herria si trova attualmente scossa da correnti sociopolitiche e socioeconomiche che incidono direttamente nella violazione dei diritti individuali e collettivi. Questa situazione è generata per tre motivi complementari: le strutture e politiche che hanno generato la crisi sistemica, le carenze democratiche degli stati spagnolo e francese e l’esaurimento dei quadri giuridici.

La ferma volontà di superare gli esauriti quadri giuridico politico attuali, che non rispondono ai desideri della maggioranza sociale del paese, la crisi del sistema socioeconomico e il quadro istituzionale artificiale, che limita i diritti individuali e collettivi della società basca e di Euskal Herria, ci ha portato all’impegno di lavorare in modo congiunto.

Alla negazione del diritto di Euskal Herria a definire il suo futuro come nazione, si unisce una situazione di profonda crisi del sistema, attaccando le basi del welfare state con il pretesto della crisi economica mediante la promozione di misure socioeconomiche regressive che influiscono sulla qualità della vita delle classi popolari.

LA CRISI DELLA CRESCITA – Alberto Filippi

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            Cosa si direbbe di un medico che curasse un grande  obeso con l’alimentazione forzata?

ETXEBARRIA: IL CAMBIO POLITICO E SOCIALE E’ POSSIBILE

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Talkingpeace intervista Rufi Etxebarria. Esponente storico della sinistra indipendentista basca, Etxebarria fu tra  i promotori del Foro d’Irlanda che apri la strada all’Accordo di Lizzara Garazi (1998). E’ stato tra gli interlocutori degli ultimi negoziati (2005-2007). Per la sua attività politica è stato arrestato in diverse occasioni. Il giudice Garzon lo incluse, in primo momento, nell’inchiesta che portò all’ arresto dei dirigenti della sinistra indipendentista basca nell’ottobre scorso, con l’accusa di aver elaborato la proposta politica per una soluzione del conflitto basco spagnolo attraverso vie unicamente “politiche e democratiche”. La sua posizione venne poi stralciata. Etxebarria ha passato due anni in carcere dal 2007 al 2009 con l’accusa di essere dirigente della disciolta Batasuna.
Nel dibattito realizzato dalla sinistra indipendentista basca emergono due necessita: aprire nuovi spazi per costruire un processo democratico e anche riflettere sulla necessità di un cambio nella strategia della sinistra indipendentista. Pensate che sia principalmente la sinistra indipendentista che deve dare un impulso determinate per un cambiamento della situazione politica?
Se valutiamo la lotta portata avanti dalla sinistra indipendentista in questi ultimi trenta anni, potremmo trarre due conclusioni principali. Da un lato, abbiamo conseguito logorare gli ambiti politici autonomisti imposti dopo la riforma del regime con la morte di Franco ed abbiamo evitato che Euskal Herria venisse diluita nella “Spagna delle Autonomie”. Però d’altro canto, non siamo riusciti a superare la barriera che ci permetta costruire un nuovo ambito politico democratico che riconosca la territorialità di Euskal Herria ed il suo diritto a decidere sul suo futuro in modo libero. Durante questo processo di dibattito abbiamo discusso su quale deve essere la strategia da sviluppare della sinistra indipendentista per raggiungere l’obiettivo di questa fase politica, che noi denominiamo come “fase del cambio”.

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