PRIGIONIERI POLITICI IN EUROPA

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I fatti di queste ultime settimane in Spagna possono dare una lettura sulla natura di un conflitto come quello basco spagnolo. Quando si sostiene che questo conflitto è stato ed è un laboratorio di strategie per combattere la dissidenza politica ci si rimette ai fatti. L’ultimo in ordine di tempo è la condanna a due anni all’esponente della sinistra indipendentista basca Arnaldo Otegi, per un frase pronunciata durante un atto politico a favore del prigioniero basco Joxe Sargadui “Gazta” nel 2005. “Gazta” a luglio di quest’anno compirà 30 di detenzione convertendosi nel più vecchio detenuto politico n Europa.  Otegi disse in sostanza che lottare per conseguire gli obiettivi di autodeterminazione democratica lo si deve anche “ai prigionieri politici e rifugiati”. Il giudice Angela Murillo, ha condannato Otegi a due anni ma soprattutto a 16 di “inabilitazione assoluta” ,  il che vuol dire escludere il personaggio politico più conosciuto della sinistra indipendentista dall’azione politica. Nella sentenza c’è un esplicito riferimento ad una comparazione che fece Otegi durante il dibattimento processuale, tra Sagardui e Nelson Mandela. Il giudice Murillo, sostiene che la comparazione è fuori luogo perché Mandela “non praticò ne appoggiò mai la violenza politica”. Una falsità storica che per chiunque abbia seguito le vicende della lotta antiapartheid conosce, tanto che Amnesty Internacional non lo incluse mai nelle  sue liste per questo motivo.  Angela Murilo non è nuova queste sparate. Nello stesso processo, disse di non “non capire una patata” riferendosi al capo d’accusa,le frasi prounciate da Otegi, perché quelle frasi erano state dette in euskera. La stessa Murllo è il giudice che durante il mega processo 18/98, di quattro anni fa, aveva zittito una imputata, Nekane Txapartegi, quando  denunciò che tra i periti dell’ accusa, che erano guardia civiles che avevano elaborato le indagini accusatorie, c’ era chi l’aveva torturata e violentata. La stessa Murilllo che durante il processo fece orecchie da mercante quando Otegi riaffermò la scelta della sinistra indipendentista di seguire vie esclusivamente politiche e democratiche per costruire una soluzione al conflitto basco spagnolo, riassunte nel  manifesto Zutik Euskal herria approvato dalla base della sinistra indipendentista. Otegi si trova attualmente in carcere assieme ad altri esponenti di spicco della sinistra indipendentista dopo l’arresto avvenuto il 13 ottobre scorso nell’ambito dell’ inchiesta del giudice Baltazar Garzon.

Garzon, accusa Otegi e gli altri esponenti, di aver elaborato le tesi che hanno portato a questa scelta “definitiva ed irrevocabile della sinistra indipendentista”. Insomma quando la soluzione pacifica si intravede all’orizzonte, l’inerzia dello Stato spagnolo spinge in senso contrario. Il Ministro degli Interni spagnolo, Alfonso Rubalcaba, lo fa capire ripetutamente.  Da quel 13 ottobre il Governo spagnolo pratica una sorta di pressing repressivo corredato da una propaganda allarmistica che favorisca un clima di tensione permanente. Ad ogni manifestazione di massa o pronunciamento che conferma la svolta della sinistra indipendentista, con puntualità cronometrica, ci sono dichiarazioni su imminenti attentati o sequestri di ETA, arresti di presunti militanti dell’ organizzazione armata, e in manza di questo, borse che vengono fatte esplodere (Barajas, 2 gennaio) o messe inscena di presunti attentati che poi vengono smentiti (Leitza Novembre 2009) . L’ultima in azione, in ordine di tempo, sono stati gli arresti dell’ ennesimo “numero uno di ETA”, assieme ad altri due presunti militanti dell’ organizzazione armata basca, avvenuto due giorni fa in Francia. Nonostante questa operazione allunghi la lista degli arresti di questi ultimi mesi, di presunti militanti di ETA, tanto che in un ‘altre epoche avrebbe fatto gridare al Governo una “prossima fine del ETA”,  Rubalcaba, si affretta smorzare gli entusiasmi, affermando che “ETA continua. Mentre noi dobbiamo avetre sempre risultati, loro basta che lo abbiano una volta sola”. A nulla serve che la stessa Organizzazione abbia fatto proprio il pronunciamento della sinistra indipendentista. La logica “securitaria” che tanti risultati ha dato in questi ultimi anni, con la chiusura di giornali, associazioni politiche, partiti, divieto di manifestazioni politiche e per di diritti umani, non può essere messa in un cassetto. La coincidenza con il prolungamento, domenica scorsa, della madre di tute leggi securitarie, il Patriot Act statunitense, da parte di Obama, è appunto una coincidenza ma molto figurativa.  Nemmeno i metodi cambiano. Le denuncie di torture continuano di pari passo con gli arresti. Nonostante le denuncie di organismi internazionali, il Ministero degli Interni spagnolo, con il sostegno del PSOE e del PP, difende a spada tratta la “politica antiterrorista” negando l’esistenza della tortura. Una realtà che comincia a essere messa in discussione anche negli ambiti che fino ad ora l’hanno taciuta. L’apertura di un’indagine su “possibili torture”,  del giudice dell’ Audiencia Nacional, Moreno, e la dichiarazione della Giunta comunale di San Sebastian, guidata dal PSOE, sull’abrogazione del fermo di polizia e “la fine dei maltrattamenti e torture” sono sintomi di qualcosa che forse sta cambiando.
Ma , per ora, la necessità e l’ossessione per “ una guerra prolungata” sembra prevalere, tracimando i confini basco-spagnoli. Con contorni grotteschi. Gli arresti dei presunti militanti di ETA in Francia di un paio di giorni fa, sono stati per alcune ore attorniati dal mistero sull’identità di uno degli arrestati. Alla fine è uscito il nome di José Lorenzo Ayestaran Legorburu, avrebbe vissuto in questi ultimi anni in Venezuela. Il dato “venezuelano” sarebbe passato inosservato se lunedì scorso il giudice dell’ Audiencia Nacional, Eloy  Velasco Nuñez, che fino ad otto anni fa, prima di rientrare nella magistratura occupava un posto di rilevanza nel Partido Popular, non avesse emesso una clamorosa ordinanza nella quale mette di tutto e di più: ETA, FARC, Governi venezuelano e cubano. Con l’accusa di aver, tra l’altro, ordito piani per l’uccisione di personalità politiche colombiane. Fra queste l’ ormai ex presidente colombiano Uribe. Un caso che ha provocato richieste di chiarimenti e risposte sdegnante tra Spagna Venezuela e Cuba. Per corroborare il castello accusatorio di questo intrigo internazionale, Velasco cita, come trait d’union tra guerriglieri e Governo venezuelano, Antoni Cubilla rifugiato basco in Venzuela che, dagli anni 80,  è il marito della direttrice generale del Gabinetto della Presidenza della Repubblica del Venezuela, Goizeber Odriozola Lataillade. Cubilla, in passato, ha occupato all’interno del governo venezuelano un incarico di prestigio all’interno dell’Oficina de Administracion y Servicios del ministero dell’Agricoltura.  Velasco utilizza questo nome per chiamare in causa il Governo Chavez, omettendo che lo  status di rifugiato in Venezuela di Cubillas era stato stabilito da un accordo tra gli allora presidenti spagnolo Felipe Gonzales e Andres Perez, venezuelano. Il primo attualmente amico e socio dell’uomo più ricco del sud America, il messicano Slim Helù, l’altro esule negli USA per le pendenze penali che ha nel suo paese e acerrimo nemico di Chavez, del quale ha chiesto in più occasioni la testa. A parte le fantasmagoriche teorie del complotto presenti nell’auto di Velasco, l’improbabile controproducente collaborazione operativa tra ETA e FARC, è certo che questa iniziativa giudiziaria colpisce due obiettivi volutamente uniti. Da un lato, Venezuela e Cuba spina nel fianco dei piani statunitensi ed europei in America Latina e dall’altra riesumando dalle polveri della storia l’idea della della longa manus “del terrorismo internazionale” dietro la questione basca spagnola. Questa concatenazione di eventi testimonia come la Spagna sia attraversata da una profonda crisi, sia economica che politica, dove la questione basca rimane ancora in nodo irrisolto. Irrisolto perché è la testimonianza di un problema. I conti con la propria storia, che la Spagna non vuole fare. La sinistra indipendentista è stata la principale contestatrice di una mancanza di rottura politica con il passato regime franchista,  dell’idea che la ley de punto final, rappresentato dalla riforma politica, potesse mettere una pietra sopra il genocidio politico, rappresentato dal regime franchista. Un tema tabu e paradossale: tabu perché la ley de la Memoria Historica approvata nel 2006 , è timida e lascia irrisolti questioni fondamentali come riconoscimento del crimine contro l’umanità rappresentato dal regie di Francisco Franco;  paradossale perché conferma quanto la sinistra indipendentista sta ripetendo da decenni: senza una rottura politica e storica con il passato lo stato spagnolo non potrà risolvere la sua annosa ”invertebrazione”, come asseriva il filosofo Ortega y Gasset.
Ne sa qualcosa lo stesso giudice Baltazar Garzon; mentre fa il  “giustiziere” di dittatori di mezzo mondo, in casa sua è punta di lancia giudiziaria per la criminalizzazione della sinistra indipendentista. Proprio lui Garzon, il giustiziere del movimento basco che interroga  la Spagna sulla sua natura ed il suo passato, ha provato ha mettere mano a questo passato e… si è bruciato. La causa intentata contro di lui per avere voluto indagare sulle fucilazioni e sparizioni del regime franchista, 130.000 persone, è la sintesi dell’ idea che senza aver risolto i conti con il proprio passato, in Spagna o in qualsiasi altro paese, la stigma dell’ ingiustizia rimarrà latente. Roma non paga i traditori.

 

 


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