DALLE CARCERI TURCHE

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Nell’ambito del cosiddetto “progetto integrato” ampiamente descritto dal vice primo ministro Be?ir Atalay, noi, 48 lavoratori dell’informazione, siamo stati arrestati il 20 dicembre scorso. Di noi 35 sono stati mandati in carcere. Nel sottolineare l’ambizione di questo “progetto integrato” Atalay ha nei fatti dimostrato alla pubblica opinione che perfino la Costituzione redatta dai militari dopo il golpe del 12 settembre 1980 viene violata da questo progetto.

Siamo consapevoli del fatto che sarebbe inutile chiedere di porre fine a una palese ingiustizia che porta i segni distintivi di un governo che si vanta di quanto “funzioni bene” la magistratura.

Per questo ci rivolgiamo a voi, governo: siate ancora più crudeli così la vostra fine arriverà prima. Non abbiate alcun dubbio : la nostra resistenza sarà abbastanza forte da spezzare la vostra repressione. Sappiamo bene che la resistenza è l’unica maniera per porre fine a questa ingiustizia.

Quando un nostro amico giornalista si è scusato per essere stato liberato, dopo essere stato arrestato con noi, questo vi dimostra che siamo tutti pronti a pagare il prezzo necessario quando si tratta di lottare per raccontare la verità su quello che sta accadendo in questo paese.

Siamo ben consapevoli del copione che state mettendo in scena. Tuttavia non accetteremo di recitare la parte che vorreste farci recitare nel vostro copione. D’altra parte però determineremo noi che ruolo recitare senza mai lasciare la scena.

Concludiamo ribadendo che nessuna forza o potere potrà impedirci di servire la gente. E lo faremo : dal carcere e da fuori. Esprimiamo la nostra gratitudine a chi ci sta sostenendo e non lascia la bandiera a terra.

Speriamo di incontrarci in giorni quando i giudici non arresteranno la gente sulla base di accuse alle quali loro stessi a stento credono.

Lavoratori dell’informazione in carcere

 

NdT Difendendo le operazioni militari delle forze armate turche oltre confine, il vice premier Be?ir Atalay ha recentemente dichiarato che “le operazioni oltre confine sono una risposta efficace [agli attacchi del PKK. NdR] e sono parte di una nuova strategia integrata. Atalay ha detto che le politiche messe in atto dal governo fanno parte di una nuova strategia per la sicurezza. Questa nuova strategia comprende un approccio multidimensionale alla questione sicurezza, a partire del controllo aereo che Ankara ritiene essenziale per ottenere il controllo del territorio ora in mano al PKK. Il progetto integrato di Ankara comprende anche una serie di misure per ‘stabilizzare’ tutta l’area, in questo senso ridisegnando il ruolo dei vari soggetti, anche kurdi, nella regione, compresi i kurdi del governo federale del Kurdistan iracheno.


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LA STORIA DI ÖZGÜR

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Orsola Casagrande. Diyarbakir.«Senti questo odore? E’ l’odore della guerra. Ti prende alla gola, è ovunque ». Il giovane annusa l’aria e invita a fare lo stesso. La guerra ha un odore. Agre, intenso. È l’odore lasciato dagli F16 che sorvolano la città in continuazione. È l’odore delle camionette militari, della polvere della strada di questa città tormentata. Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, più di un milione e mezzo di abitanti (centinaia di migliaia sono profughi interni).

Il giovane parla con un tono di voce sereno. E’ calmo. E ci si chiede come faccia a esserlo visto che ogni giorno ormai potrebbe venire da Ankara la notizia che ha perso il suo appello e potrebbe presto trovarsi in carcere condannato a 12 anni per “propaganda per un’organizzazione illegale”, vale a dire il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). “No, non sono andato alla manifestazione, l’altro giorno – dice – perché mi hanno vietato di partecipare a manifestazioni politiche per cinque anni”.

La guerra ha suoni così come ha odori. Non è solo il suono degli aerei da guerra diretti verso il Kurdistan del Sud (cioè la regione del Kurdistan in Iraq). E non è nemmeno solo il suono degli elicotteri delle forze armate e di polizia che volano bassi sopra le case. Né il rumore dei carri armati, e se ne possono vedere molti in questi giorni a Diyarbakir.

La guerra ha i suoni che sono le parole spezzate di coloro che ne raccontano gli orrori.

Özgür Da?han (Sipan Amed) aveva 27 anni. Era un guerrigliero del PKK. Ha perso la vita in uno dei recenti scontri. La sua fotografia è su una credenza del salotto di questa casa dove il dolore è tangibile. Gulistan e Mehmet Da?han si siedono sul divano lei, sulla poltrona lui. Con loro altre due figlie. “Özgür è il nostro primo figlio”, dice Gulistan lanciano uno sguardo alla foto. I suoi occhi si riempiono di lacrime. Lei è una madre. E’ già abbastanza doloroso per una madre sopravvivere a suo figlio. Ma a Gulistan Da?han è stato negato anche di vedere suo figlio per l’ultima volta. “Non hanno voluto farmi vedere il corpo – dice – hanno detto non avrei potuto reggere la vista di quel corpo, di quello che gli avevano fatto”. Guarda la foto ancora una volta e aggiunge: “Ma ho visto cosa gli hanno fatto, ho visto le foto  sui giornali”. Ha smesso di mangiare il giorno che ha visto quelle immagini. “La vita – dice – mi ha abbandonato il giorno in cui mio figlio è morto. Ora sto mangiando un po’, ma solo perché ho altre figlie e devo continuare a vivere per loro”.

Le immagini di Özgür ormai senza vita raccontano una storia terribile, quella di una violazione indicibile, di un’offesa su un giovane già morto. Il corpo di Özgür Da?han è stato infatti orrendamente mutilato dopo che il giovane era già morto. “Non so – dice Gulistan Da?han – come un uomo possa fare una cosa simile a un altro uomo”. Rivolge uno sguardo a suo marito, Mehmet, e gli dice di parlare. Lui lo fa, in un tono pacato di voce. Eppure quello che sta dicendo è angosciante. Si tratta di un racconto di brutalità, di violenza disumana. Ma comincia come la storia di uno dei tanti bambini cresciuti in Kurdistan che non poteva rimanere seduto e guardare la violenza e la brutalità che venivano imposte al suo popolo.

“Özgür non è stato indifferente a quello che vedeva attorno a lui. – Dice Mehmet Da?han – Quando era un bambino, alla scuola elementare, un nostro parente, che era un comandante guerrigliero ha perso la vita. Per Özgür la presenza di un ‘martire’ in famiglia ha significato un suo aumento di interesse per la storia kurda e la storia del movimento di liberazione kurdo. Lui aveva studiato ingegneria elettrica, ma il suo vero interesse era la storia. Ha letto tutti i libri disponibili sulla storia kurda, dalle origini, la rivolta di Seik Said [1925. Ndr], il massacro di Dersim [1938. Ndr]. Nell’ultimo periodo che ha passato a casa ha fatto una ricerca molto completa su questo tema. Quando tornava a casa in compagnia dei suoi amici, andavano nella sua stanza, chiudevano la porta e so che parlavano del PKK, della lotta di liberazione”.

Özgür è entrato nel PKK quando aveva 20. Era un giovane sensibile che non poteva stare a guardare la sua gente, amici, parenti subire abusi costanti da parte delle autorità turche.

“Siamo riusciti a vederlo ancora una volta, dopo che era già entrato nel PKK. – dice Mehmet Da?han – Siamo andati in montagna per vederlo. Siamo rimasti 11 giorni. Lui è arrivato l’ultimo giorno della nostra permanenza. Ma ci ha detto che non sarebbe potuto rimanere con noi a lungo perché aveva delle mansioni da svolgere”.

 

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