BISKY DELLA SINISTRA EUROPEA: SOLO CON IL DIALOGO LA PACE IN TURCHIA
Lothar Bisky, della tedesca Die Linke (la sinistra), è anche presidente del GUE, il gruppo della sinistra al parlamento europeo. Mercoledì aprirà la sesta conferenza su Ue, Turchia e kurdi, che si svolge proprio al parlamento. Gli abbiamo rivolto alcune domande su questione kurda e impegni che l’Europa potrebbe e dovrebbe prendere.
La situazione in Turchia si è fatta più pesante, dopo la messa al bando del partito kurdo DTP (partito della società democratica) e l’arresto di 800 esponenti politici kurdi in tutto il 2009. Ankara ha aumentato la repressione nei confronti dei kurdi in un momento in cui il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, continua a mantenere la tregua unilaterale dichiarata nel marzo del 2009.
Il nostro gruppo ritiene inaccettabile sia l’illegalizzazione del DTP che l’arresto di decine di attivisti per i diritti umani, sindaci, sindacalisti. Abbiamo subito protestato contro la decisione dell’Alta Corte turca e gli arresti. L’illegalizzazione del DTP delude le speranza che erano nate dopo gli annunci del governo turco di seguire una nuova via sulla questione kurda. Gli sviluppi recenti sono un passo indietro nel processo di democratizzazione e di sviluppo di un futuro comune per tutte le nazionalità e gruppi etnici che vivono in Turchia. Questa situazione apre anche la porta alle forze conservatrici dentro e fuori la Turchia, contrarie all’idea di buone relazioni tra Turchia e Ue e il processo di ammissione di Ankara. Solo il dialogo e il rispetto reciproco possono portare a una soluzione pacifica del conflitto, non il confronto, la repressione o la violenza, da qualunque parte essa sia perpetrata.
Il governo dell’AKP (partito della giustizia e lo sviluppo) ha presentato l’‘iniziativa democratica’, un pacchetto di misure per risolvere la questione kurda, ma rifiuta di parlare con i rappresentanti dei kurdi.
Naturalmente, più diritti per la popolazione kurda, pieni diritti di cittadinanza e la rimozione del divieto di parlare in kurdo, sono scelte che vanno nella direzione giusta. Ma questo deve essere esercitato nella pratica. Gli ultimi sviluppi, chiaramente, parlano la lingua opposta.
Il presidente del Pkk Abdullah Ocalan ha scritto una sua roadmap che non è stata rilasciata dalle autorità giudiziarie. Ocalan ha riaffermato in un articolo pubblicato sul manifesto il 9 gennaio scorso il suo impegno alla ricerca di una pace giusta e duratura. Ancora una volta la risposta turca è stata di chiusura. In altri conflitti si sono chiamati dei mediatori esterni, pensa sarebbe possible per la Turchia?
Sarebbe utile che la proposta di Ocalan venisse resa pubblica. Ci deve essere un dibattito onesto e trasparente nella società turca su come organizzare il vivere insieme in un modo pacifico. Mediatori esterni possono sostenere questi processi, anche se i problemi possono essere risolti alla fine dalla gente interessata.
In che modo l’Europa o il GUE potrebbero/dovrebbero agire per sostenere questo difficile processo di costruzione di fiducia?
Il GUE/NGL cerca di sostenere questo processo da tempo. Molti nostri parlamentari hanno visitato le regioni kurde regolarmente e sono in contatto costante con i gruppi democratici kurdi. Abbiamo mandato delgazioni anche ai processi recenti contro esponenti kurdi. Inoltre abbiamo organizzato conferenze sui rapporti tra Turchia, kurdi e Ue. Mercoledì si apre la prossima conferenza. Avrebbe dovuto partecipare anche il sindaco di Diyarbakir, Osman Baydemir, ma le autorità turche gli hanno proibito di lasciare il paese. Una decisione che non capiamo.
A che punto è il processo negoziale per entrare nella Ue?
Diciamo chiaramente da tempo che se la Turchia soddisferà i criteri di Copenaghen non ci sarà motivo per rifiutare la richiesta di ingresso nella Ue. Ma questo significa, tra le altre cose, anche rispetto dei diritti umani e civili, compresa la protezione e il rispetto delle minoranze, della libertà di stampa e di espressione, di associazione e anche evidentemente per la popolazione kurda. Che deve vedersi garantita la possibilità di mantenere la sua identità cultura e ottenere un’ampia autonomia. Anche il processo di illegalizzazione dei partiti è parzialmente in contrario con i criteri di Copenaghen. Un altro importante prerequisito è il ritiro delle truppe turche da Cipro e il pieno riconoscimento dello stato cipriota.
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Il 27 giugno 1960 un gruppo antifascista, collocava sei bombe nelle due stazioni del treno di Donostia, in quella di Atxuri di Bilbao (due giorni dopo), in quella del Nord di Barcelona, in quella di Chamartin di Madrid e nel treno postale Madrid-Barcelona. Secondo la nota diffusa dal Ministero de Gobernacion (Ministero degli Interni durante il franchismo), il modus ooerandi in tutte le occasioni fu lo stesso: una valigia abbandonata con un meccanismo che provocava la iniezione di una bomba incendiaria.
Il gruppo che rivendicò le bombe si chiamava Directorio Revolucionario Iberico de Liberacion (DRIL), composto da un amalgama di militanti comunisti, anarchici e guevaristi, diretti apparentemente da militari portoghesi esiliati, tra i quali il generale Humberto Delgado. Unirono le oro forze per denunciare le dittature di Franco e Salazar. Humberto Delgado sarà in seguito sequestrato dalla polizia segreta portoghese e giustiziato in Spagna con la complicità di Franco, nel 1965.
Le prime azioni del DRIL furono a Madrid, nel febbraio del 1960, tutte nello stesso modo: una valigia abbandonata con esplosivi. Gli obiettivi: il Municipio, la statua d Velazquez nel Museo del Prado, la sede della Falange…In una di esse, la bomba deflagrò mentre veniva manipolata da Ramon Perez Jurado, che morì sul colpo. Il suo compagno Antonio Abad Donoso fu arrestato ed altri giovani, Santiago Martinez Donoso e Justiniano Alvarez, riuscirono a scappare, secondo la Polizia. Antonio Abad fu torturato, processato e giustiziato l’8 marzo dello stesso anno. Santiago Martinez, cugino di Antonio Abad, e uno dei due fuggitivi, lavorava per la Polizia spagnola.
Gli obiettivi di Madrid, così come gli arresti posteriori, furono indicati da uno degli integranti del commando che, in realtà, era un poliziotto infiltrato. Si trattava di Abderramán Muley Moré , un falangista spagnolo che, grazie ai servizi prestati, era arrivato fino alla guardia personale di Franco. Il suo nome nel commando fu citato da Santiago Martinez.
Muley, secondo informative interne dello stesso DRIL, era stato infiltrato dalla polizia nei gruppi anti Batista poco prima della Rivoluzione Cubana. Arrivato a Cuba nel 1956 si fece chiamare Manuel Rojas e la polizia franchista lo utilizzò, all’inizio, per infiltrarsi negli ambienti monarchici spagnoli, allora all’opposizione, che negoziavano con Franco la restaurazione.
Con il trionfo della Rivoluzione Cubana, il falso Rojas scomparve per riapparire alla guida di un gruppo repubblicano spagnolo, che dopo alcuni mesi s’integrò nel MLE (Movimiento de Liberacion Español) che a sua volta confluì nella UCE (Union de Conbatientes Españoles). L’infiltrazione fu completata con quella del già citato Santiago Martinez Donoso, ex guardaspalle del dittatore cubano deposto, Batista. Ambedue viaggiarono in Francia e sollevarono già i sospetti del PCE, della CNT e del PSOE nell’esilio.
Martinez Donoso e Abderraman Muley, comunque, riuscirono ad entrare nel gruppo armato del DRIL che pretendeva, come il Che Guevara, promuovere la rivoluzione mondiale.La Spagna, governata allora da Franco, era l’obiettivo. Gli attentati di Madrid furono i primi. Quelli del luglio del 1960 i successivi. Ambedue i poliziotti tornarono a preparare gli obiettivi, assieme ad un terzo poliziotto spagnolo chiamato Augustin Parradas Sicilia. In uno di questi attentati, come è risaputo, morì la bambina Begoña Irroz. Degli otto membri dei commando che collocarono le bombe, almeno tre erano poliziotti infiltrati.