LA CRISI E’ PRINCIPALMENTE POLITICA
Talkingpeace intervista il segretario generale del sindacato basco ELA, Adolfo Muñoz “Txiki”.
ELA (Euskal Langile Alkartasuna – Solidarieta Lavoratori Baschi) è nata nel 1911. Rappresenta il maggior sindacato basco nel Paese basco sud – Comunità Autonoma Basca (CAV) e Comunità Foral Navarra (CAF)., con 109.318 iscritti pari al 36% nelle ultime elezioni sindacali. ELA si definisce come “sindacato di classe basco” . A partire dagli anni 90 assieme al sindacato della sinistra indipendentista LAB ed altre organizzazioni sindacali basche ,conforma la maggioranza sindacale in Euskal Herria. ELA contesta il dialogo sociale imposto dai Governi autonomi padronato e sindacati spagnoli UGT e CCOO. Per ELA, “il modello di dialogo sociale attuale significa la pace sociale. Significa sostenere od applaudire le politiche che si applicano in cambio della assegnazione e gestione di una parte dei fondi pubblici alle organizzazioni che fanno parte di questo dialogo”
Alcuni dati sulla situazione economica basca. Nel quarto trimestre del 2009 gli occupati in Euskal Herria Sud sono staiti 1.189.600 persone. La tassa di disoccupazione in Euskal Herria Sud è del 12% rispetto al 19 del resto dello stato spagnolo. Nell’ ultimo anno sono stati persi 54 000 posti di lavoro mentre sono stati firmati 874.649 contratti di lavoro dei quali il 92% sono contratti temporali. La crisi economica ha avuto come conseguenze in Euskal Herria una decrescita del PIL di un 2,5% in Navarra, del 3,3 % , rispetto al la 3,6%, dello Stato spagnolo e al 4,1% della UE-27
Un dato significativo riguarda la riforma delle pensioni annunciata dal Governo Zapatero. Poche settimane fa. Le misure adottate, scaturite dopo una riunione del’esecutivo spagnolo con la Commissione Economica della UE, si basa sul reiterato concetto della presunta insolvenza del sistema pubblico. Eppure in Spagna, che è stato il paese che maggiormente ha subito le conseguenze dalla crisi economica finanziaria, fin dalla metà degli 90 , esperti legati al mondo finanziario e ed imprenditoriale, pronosticavano il fallimento a breve termine del sistema pubblico delle pensioni. Addirittura si arrivò a prevedere un debito della previdenza sociale pari 10% del PIL. Oggi la Spagna registra, in questo comparto, un surplus di 8500 milioni di euro ed un Fondo di Riserva pari a 62.000 di euro. Tra gli “esperti” chiamati allora ad elaborare queste previsioni apocalittiche c’era José Piñeira , cileno, ministro del regime di Augusto Pinochet negli anni 80. La soluzione auspicata era logicamente la privatizzazione del sistema pensionistico.
La crisi finanziaria si è fatta sentire in modo particolare nello Stato spagnolo. Da un’immagine di economia forte di solo quattro anni fa, siamo passati a un situazione attuale con un deficit pubblico che è schizzato in alto, una tassa di disoccupazione che è la più alta tra i paesi europei. Anche se l’origine dei mali dell’economica spagnola risale agli anni del governo del Partido Popular, i “governi Zapatero” hanno proseguito nelle politiche economiche dei “governi Aznar”. A cosa si deve questa particolarità della crisi nello stato spagnolo.
Le politiche che in modo continuato hanno portato avanti i vari governi in questi ultimi decenni. La “concorrenza” con l’estero si è basata sulla precarietà, dando al padronato ciò che chiedeva. Senza distinzione tra PP e PSOE. Il padronato ha guadagnato nello Stato spagnolo più che in ogni altro paese della UE, ha investito nell’economia reale meno che di ogni altro, ed ha portato gli utili nei mercati speculativi. Tutto questo con la complicità dei governi che hanno favorito questa scelta. Lo stato spagnolo ha privatizzato praticamente tutto ( il settore industriale, la vecchia banca pubblica). Non c’è struttura impresariale pubblica. Se a questo aggiungiamo un sistema fiscale molto ingiusto, con una pressione bassa a beneficio delle rendite da capitale, con regali fiscali alle classi privilegiate…il quadro che si presenta è molto preoccupante. La crisi in primo luogo è politica; quella di una politica, che come un pochi altri luoghi, ha fatto tutto quello che ha voluto il potere economico.
Sia nella Comunidad Autonoma Vasca (CAV) sia nella Comunidad Foral Navarra (CFN), le politiche sociali ed economiche dei rispettivi governi autonomi sono state oggetto delle vostre critiche. Nella CAV, la politica fiscale che ha abbassato le imposte alle imprese, per esempio, l’avete considerata come una politica fiscale che non ha favorito ne i lavoratori, ne le classi popolari. Eppure, il precedente governo tripartito, guidato dal Partido Nacionalista Vasco (PNV), rivendicava questa politica come una dimostrazione di autonomia rispetto al Governo centrale. Pensate che sia esistita veramente questa autonomia tra governo centrale ed autonomo?
Le politiche fiscali hanno goduto di un accordo trasversale che riguarda tutte le forze politiche che governano o hanno intenzione di governare. Bisogna differenziare la capacità normativa per determinare le imposte, dell’uso che se ne fa, e rispetto all’uso che se ne è fatto nella CAV ed in Navarra dobbiamo dire che è stato profondamente anticosciale. La pressione fiscale è sensibilmente più bassa di quella spagnola. Si potrebbero avere entrate pari a più di 5 miliardi di euro se si uguagliasse la media della pressione fiscale della UE. Queste politiche sono state decise senza nessun tipo d’informazione, ne partecipazione sociale, praticamente di nascosto. Tutte le richieste fatte dal potere economico sono state accettate. Se a questo aggiungiamo una forte evasione fiscale di queste rendite alte, che non viene combattuta, la conclusione è semplice: c’è margine per le entrate senza che si debba mettere in discussione le prestazioni sociali. Detto questo, bisogna anche dire, che non esiste nessuna volontà di prendere una sola decisione che sia negativa per i potentati economci.
Poco dopo l’arrivo al Governo della CAV (marzo 2009) della coalizione PSE-PP, avete indetto (maggio 2009) uno sciopero generale contro la crisi economica, la unica dello stato spagnolo. Il governo autonomo vi ha accusato che in realtà questo era uno sciopero di carattere politico.
Il governo, ed altri che non erano al governo, tergiversarono l’obiettivo dello sciopero. Dicemmo allora, e lo comproviamo oggi, che se non si cambiano le politiche che ci hanno condotto a questa situazione era evidente che arriverebbero gli aggiustamenti e che questi aggiustamenti si farebbero sui diritti del lavoro e sociali. Azzeccammo – disgraziatamente – in pieno la predizione. Adesso ci troviamo le riforme delle pensioni e del lavoro. La disgrazia, avvertita anche da chi convocammo lo sciopero generale, è che l’alternanza dei partiti nel governo non comporta cambi nelle politiche, nonostante gli ultimi si denominano socialisti. Anche in questo colpimmo nel segno. La classe politica che governa rinuncia a qualsiasi margine di manovra che significhi un seppur minimo scontro con il potere economico.
4) Assieme a LAB ed altri sindacati, rivendicate una ambito di relazioni lavorative specifico per Euskal Herria. Una rivendicazione che ne le associazioni imprenditoriali, ne Governi autonomi, ne i sindacati di ambito spagnolo, CCOO e UGT, l’hanno considerata positivamente. Perché per voi è fondamentale la creazione di questo ambito per il lavoratori e lavoratrici basche?
Per la difesa di uno spazio di sovranità, perché siamo per la sovranità. Esiste un conflitto politico di natura nazionale che la Spagna nega. La Spagna nega la possibilità che la società basca, liberamene, possa decidere che status politico desidera. Quando diciamo che lo nega vuol dire che non riconosce viabilità politica a questa rivendicazione che esiste nella società; impedisce che questa opzione politica legittima trovi spazio. Per loro esiste solo una sovranità, quella spagnola. In relazione alla questione sociale rivendichiamo questo ambito basco e ci impegniamo nella sua costruzione senza attendere chicchessia, tra le altre cose, perché siamo persuasi che il modo d’incorporare ad una rivendicazione nazionale la maggioranza sociale, ha molto a che vedere con le politiche che si realizzano. Più semplicemente, il neoliberismo, le politiche di destra, solo soddisfano il padronato e questo ha come riferimento chiaro la Spagna. Il nazionalismo basco istituzionale, che ha governato per molti anni, ha avuto nella azione istituzionale, una prospettiva molto affine agli interessi del padronato
I sindacati UGT e CCOO in vari modi fanno intendere che con questo ambito basco si creerebbe una separazione con i lavoratori del resto dello Stato con una implicita mancanza di solidarietà
Noi rispondiamo, è solidale accettare le riforme, una dietro l’altra, e denominare questo “dialogo sociale” ? Noi crediamo di no. Tra i lavoratori e le lavoratrici baschi è molto diffusa l’idea che l’ambito per la negoziazione collettiva statale è uguale alla perdita di diritti. Parlare di solidarietà partendo dalla rinuncia dello scontro con il potere è inaccettabile. UGT e CCOO sono la punta di lancia della interpretazione più centralista che ci sia in relazione all’autogoverno, e da quando nella CAV al governo siedono PSE-EE grazie al PP, con questo governo e il padronato, si stanno dedicando a sciogliere qualsiasi ambito di negoziazione propria rispetto a quella esistente in Spagna. Non bisogna dimenticare che il loro modello che chiamano “dialogo sociale” è intimamente legato alle fonti di finanziamento pubblico e che, nell’ambito basco della CAV il modello spagnolo non si è ancora sviluppato nella sua completezza. Quindi dialogo sociale svuotato favorendo il padronato e i governi nei loro interessi, uniformità politica dello Stato, violazione delle regole del gioco democratiche usurpando la rappresentatività a chi ce l’ha e legare finanziariamente le organizzazioni sindacali ai finanziamenti pubblici. La solidarietà deve essere vista con una pratica sindacale, sociale o politica e non con e senza frontiere. Si può essere solidali in qualsiasi ambito o non esserlo, dentro e fuori le frontiere. La Spagna non è proprio il modello da imitare per quanto riguarda la solidarietà.
La proposta di riforma delle pensioni lanciata dal Governo Zapatero alcune settimane fa, nel quadro di una riforma del lavoro, è stata criticata duramente dal vostro sindacato. La riforma, hanno sostenuto Governo e padronato, è necessaria visto l’invecchiamento della popolazione e la non sostenibilità del sistema pubblico delle pensioni. In risposta a questo specifico tema rivendicate una sistema pubblico pensionistico basco. E’praticabile questa opzione?
Di quel poco che rimane da privatizzare nello Stato spagnolo, dopo “l’encomiabile lavoro” di Aznar e Gonzales, ci sono le pensioni. E dopo aver “sanato” le banche con il denaro pubblico e accresciuto il deficit e debito pubblico con gli aiuti a banche ed imprese, con questi argomenti si vuole privatizzare quel poco di pubblico che rimane, quindi per primo le pensioni. E’ c’è chi si iscrive in questa gara per privatizzare, per esempio stabilendo una co-partecipazione del cittadino nelle spese sanitarie, come afferma il Ministro della Sanità del Governo autonomo basco. Questo è quanto prevede la proposta di Zapatero: aprire ancor più il mercato delle pensioni alla banca. Basta osservare come hanno risposto entusiaste le compagnie assicuratrici ed il presidente del Banco de Santander, Sig. Botin, nel affermare che le misure del governo “vanno nella giusta direzione e devono essere appoggiate”, inviando un messaggio al PP affinché non le intralci. Sono posizioni di classe. Certo che è praticabile un sistema di pensioni pubbliche basco. E’ un problema di volontà politica.. Si parte da un premessa che noi non accettiamo: che non si può finanziare con le imposte il sistema pubblico. Questa posizione è per ELA inaccettabile.
ELA a partire dagli anni 90 ha adottato una azione sindacale legata strettamente alla azione politica. Il manifesto a favore del diritto autodeterminazione del 1995 e, recentemente, le vostre dichiarazioni a favore di un processo democratico nel Paese Basco e la convocazione della manifestazione dell’ottobre scorso in risposta agli arresti dei rappresentanti della sinistra indipendentista, sono alcune prese di posizione che testimoniano questa vostra scelta. C’è chi sostiene che il sindacato dovrebbe mantenere la sua azione unicamente nell’ambito sindacale.
Infatti, c’è chi vorrebbe che la politica fosse una riserva di caccia dove nulla venga discusso. Il nostro modello sindacale, non è, ne vuole essere massa di manovra di qualche opzione partitica però questo non è assolutamente ostacolo, per avere e dare una opinione politica. Siamo una organizzazione di classe e per la sovranità e partendo da questa identità abbiamo sempre mostrato la nostra disposizione a sommare forze, a fare alleanze per difendere le nostre aspirazioni. La classe politica che governa vuole una gestione esclusiva della politica; non gli piace che ci sia qualcuno che si muova “senza controllo”. Se ti lasci strumentalizzare dal potere e passi a difendere la politica che loro fanno non diranno mai che fai politica. Una cosa è non essere un partito un’altra è peccare di stupidaggine.
La vostra opposizione a questa costruzione politica e sociale europea è stata chiara. Avete proposto il “no” al referendum sulla costituzione europea e rifiutato l’accordo di Lisbona. Quali sono i punti principali della vostra visione rispetto alla definizione politica sociale ed economica dell’Europa?
Forse un modo per analizzare cosa preoccupa nella Unione Europea sia vedere che cosa proteggono Tribunali. E qui non ci sono dubbi. Il Tribunale di Lussemburgo ha emesso sentenze che dicono chiaramente che ciò che preoccupa sono i diritti delle imprese, il poter fare dumping sociale. Se necessario antepongono questi diritti a quelli che garantiscono le normative nazionali nel caso siano esse più garantiste in materia sociale. La crisi ha messo in evidenzia ancor più la “costruzione” europea. E’ un mercato con unione monetaria e moneta comune (non in tutti gli stati). E’, inoltre, una costruzione che non riconosce la questione nazionale, che al di fuori degli Stati lascia un margine insignificante alle realtà nazionali. Il mercato, il capitale, criteri di convergenza…Le priorità non sono ne l’occupazione, ne la protezione sociale. La politica fiscale è divenuta un elemento di competenza interstatale ed ha minato la struttura fiscale degli stati che hanno abbassato le loro imposte. Ci sono stati dove le politiche nazionali hanno privilegiato la speculazione sulla base dell’indebitamento.. Europa ed i governi nazionali hanno permesso che la globalizzazione (quella del capitale) li sovrasti. In Europa questa globalizzazione è stata essenzialmente neoliberale.
A partire dal 1993 con il sindacato LAB avete dato vita a una “maggioranza sindacale basca” che è rimasta fino all’Accordo di Lizarra Garazi. A causa della rottura di questo accordo anche la vostra alleanza è entrata in crisi. In questi ultimi anni avete ripreso il dibattito e recentemente alla luce del dibattito su un nuovo ambito democratico e la costituzione di un polo per la sovranità, ed anche nell’ambio sindacale, le vostre posizioni sono tornate a coincidere in diversi aspetti. Da parte della sinistra indipendentista si fa esplicita menzione al ruolo sindacale nella creazione di questa aggregazione politica per la sovranità e d sinistra. Che valutazione date del dibattito interno alla sinistra indipendentista e condividete la funzione determinate del movimento sindacale basco in funzione di questa nuova prospettiva politica?
Noi auspichiamo che questo dibattito interno si concluda positivamente, cioè che si concluda con una scelta esclusiva per le vie civili e democratiche. La definizione della propria strategia deve essere fatta da ogni soggetto. La nostra organizzazione non ha mai parlato di “polo” e meno ancora in una prospettiva di lotta partitica, di lotta elettorale. Abbiamo parlato di sommare, non come polo strumentale di un partito, bensì come minino comune denominatore che, senza esclusioni, possa essere condiviso. Non saremo mai massa di manovra di qualche partito. La somma di forze che abbiamo difeso è, partendo dalla pluralità e non dalla esclusione, di tutti quelli che riconoscano e difendono il diritto del popolo basco a decidere. Un minimo comune che ci impegni. Inoltre il contributo sindacale non può trascurare i suoi interessi di classe e questi obiettivi devono essere posti partendo dall’autonomia di decisionale. La questione sindacale e sociale non è secondaria. E’ stata la crisi ed i suoi effetti ciò che ci portò a proporre una agenda comune alla maggioranza sindacale basca (sciopero generale, socializzazione, decalogo, mobilitazioni contro le riforme, risposta al “dialogo sociale” in minoranza del Governo autonomo basco…)Detto questo, che dobbiamo valorizzarlo e molto, una alleanza strategica deve essere capace di affrontare altri livelli di interevento rispetto ai quali, oggi come oggi, abbiamo differenze importanti (la contrattazione collettiva è una di queste). Comunque sia, se si superara la polarizzazione sulla lotta politico-militare, ci troveremo in una situazione migliore
Sito del sindacato ELA http://www.ela-sindikatua.org/
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