CASO ANZA: DA GOMEZ LIAÑO A KAYANAKIS – RAMON SOLA

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Gara

Sono molti quelli che comparano il caso di Jon Anza con quello di Mikel Zabaltza, (arrestato nel novembre del 1985 dalla guardia civil di Intxaurrondo (San Sebastian) il suo corpo venne rivenuto un mese più tardi nel fiume Bidasoa ancora ammanettato. Nonostante testimonianze interne agli apparati dello stato e le evidenze del caso venne archiviato ndt) per la sorprendente apparizione del corpo. Però per come è scomaprso ed il suo contesto ricordano più il caso di Lasa e Zabala. Ed anche il finale:, i resti, un obitorio, un commissario ed un giudice istruttore. In quella occasione fu possibile arrivare alla verità.

Bisogna riavvolgere la cassetta fino al 15 di ottobre del 1983. Joxean Lasa e Joxi Zabala sono due rifugiati, come lo è Jon Anza. Quel giorno vanno ad intraprendere un viaggio, come Anza. Però non arriveranno mai aa destino: una festa popolare nel caso dei tolsarra (abitanti di Tolosa in Guipuzcoa ndt), un appuntamento con membri di ETA per il donostiarra (abitante di San Sebastian ndt). Nel caso Anza c’è anche un Larretxea (il 19 ottobre 1983, pochi giorni prima del sequestro di Lasa e Zabala,a Hendaia Jose Mari Larretxea, rifugiato basco, sfuggi grazie alla sua reazione ad un tentativo di sequestro da parte di quattro poliziotti spagnoli ndt). Si chiama Juan Mari Mujika. Subisce un tentativo di sequestro a Donapaleu, ed oggi si sta constatando qualcosa che era solo una supposizione quando si iniziò ad indagare il caso Anza: i cellulari dei quattro sequestratori sono spagnoli.

Come nel 1983, in questi ultimi anni la presenza della polizia spagnola in territorio francese è stata regolarizzata. Oggi si ammette, senza alcuna remora,  che poliziotti spagnoli e guardias civile partecipano nelle retate ed interrogatori, che dispongono di decine di appartamenti segreti, che possono agire armati dopo i due morti di Capbreton (l’1 dicembre 2007, nella località francese di Capbreton, due guardias civiles vennero uccisi da militanti di ETA durante un’operazione di pedinamento da parte dei militari spagnoli ndt). Un dettaglio chiarificatore può esser quello dello scorso 10 di gennaio. Quel giorno vennero arrestati Eider Uruburu ed Iñaki Iribarren mentre stavano entrando in un covo di ETA vicino a Clermont-Ferrand. Secondo quanto hanno riportato dai mezzi d’informazione spagnoli, si trattava di un deposito che in realtà era stato scoperto cinque mesi prima –durante la scoperta di numerosi covi nel mese di agosto. Le forze di sicurezza spagnole decisero di nascondere la scoperta e vigilare il covo. Lo fecero per cinque mesi in una operazione che mobilitò decine di agenti spagnoli, fino a quando qualcuno non arrivò al covo.

Lo stesso Ministro degli Interni spagnolo, che si vanta di tallonare a ETA nello Stato francese, assicura di non sapere niente di Anza, nonostante le impronte digitali del rifugiato basco fossero state rinvenute cinque mesi prima, in un covo della cui scoperta non venne data informazione ufficiale. Come quello di Clermond Ferrrand.

Il caso Zabaltza e quello di Lasa e Zabala hanno avuto diversi esisti nei tribunali. Il primo caso non arrivò a giudizio, però il secondo fu giudicato e ci furono condanne. Non si arrivò a sapere tutto ma la sostanza si. Quella condanna si ottenne con gli stessi ingredienti che ci sono adesso nel “caso Anza”. Da un lato ci sono gli elementi materiali, abbastanza più deboli di quelli che adesso esistono: solo alcune ossa che erano sopravissute alla calse viva ed il lungo periodo trascorso – 12 anni – rispetto agli scarsi 11 mesi del caso di Anza. Gli elementi umani sono anche sorprendentemente identici: un impiegato dell’obitorio, un commissario, in giudice istruttore. Ed inoltre un equipe medica.

Furono questi – ed il grande lavoro dell’accusa – che permisero portare avanti la verità di Lasa e Zabala, al di là degli ostacoli che dei due governi  – Madrid promosse al grado di generale a Galindo (Enrique Rodriguez Galindo, comandante del quartiere della guardia civil di Intxaurrondo condannato a 75 anni ha scontato tre anni in carcere ndt). Agivano con minori mezzi: l’autopsia ad semplici ossa presentava grosse limitazioni, non c’erano videocamere per le strade, ne cellulari che permettessero di localizzare le persone, ne registri informatici, ne satelliti, ne equipe di polizia congiunte regolari.

Però ci fu la volontà di arrivare alla verità e fu sufficiente. L’impiegato dell’obitorio ed il commissario si impegnarono nel caso – anche se a quest’ultimo gli costò la vita per un infarto -, e il giudice istruttore tenne in considerazione tutti gli indizi, comprese le azioni parapoliziesche spagnole. Si chiamava Javier Gomez de Liaño e sicuramente per lui fu più difficile che adesso per Anne Kayanakis.

Fonte: http://www.gara.net/paperezkoa/20100315/188357/es/De-Gomez-Liano-Kayanakis

 


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