ETA: LA VERSIONE SUI FATTI DI DAMMARIE-LES-LYS

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In un comunicato pubblicato oggi dal quotidiano basco Gara, ETA de la sua versione sulla morte del poliziotto francese avvenuta il 16 marzo a Dammarie-lès-Lys, periferia di Parigi, dopo un conflitto a fuoco con militanti di ETA. Secondo l’organizzazione armata basca, dopo aver espresso le condoglianze al famiglia di Jon Anza, il militante dell’organizzazione scomparso per un anno e poi “ritrovato” in un obitorio di Toulouse dove era rimasto per undici mesi, l’episodio iniziò con il “sequestro di quattro militanti di ETA in un bosco della località Dammarie-lès- Lys”. Quando i quattro erano ormai stati “neutralizzati”, “un poliziotto sparò due volte verso un militante che si trovava sdraiato e senza armi. Anche se, sottolinea ETA, gli spari non erano “ colpire” provocarono la dinamica successiva dei fatti. ETA afferma che fu in quel momento, che altri militanti che si trovavano nelle vicinanze si avvinarono al luogo e “con l’intenzione di evitare qualsiasi scontro”, “lanciarono un chiaro avvertimento ai poliziotti francesi: che gettassero le armi e se ne andassero dal luogo”. Sempre secondo ETA, mentre due poliziotti stavano ritirandosi, altri decisero di rispondere “puntando le armi e poi iniziando il conflitto a fuoco”.  “Così cominciò il conflitto a fuoco, con chi aveva sparato i primi due colpi di arma da fuoco puntando le armi ai militanti di ETA. I militanti di ETA effettuarono 9 spari. I poliziotti francesi molti di più”, conclude ETA. L’organizzazione basca sottolinea che l’episodio si verificò contro la volontà di ETA. Per organizzazione armata basca la cittadinanza francese come il Governo di Parigi “dovrebbero fare una profonda riflessione” rispetto “ a dove sta portando l’ubriacatura repressiva del Governo spagnolo”. In questo contesto, ETA sottolinea le “significative” reazioni che si sono avute nello Stato spagnolo, evidenziando, al di là delle “false” manifestazioni di solidarietà e le condanne “non hanno potuto occultare l’allegria nel credere che questi episodi comporteranno nuove misure repressive del Governo francese”. Rispetto a questo, ETA ricorda quanto accaduto a Jon Anza, la cui morte inquadra nella attuazione “in modo incontrollato” che porta avanti a Guardia Civil “sotto copertura del Governo francese.

Progetti contrapposti

ETA analizza nel su comunicato la situazione politica nel Paese Basco attraverso quella che definisce come una “fotografia politica di Euskal Herria”. Per ETA ci sono solo due progetti da scegliere: “l’attuale modello di negazione, che ci condanna ad essere incatenati a Francia e Spagna” o quello “della indipendenza che apre le porte allo sviluppo sociale, politico, culturale e economico di Euskal Herria”. “L’ intenzione di ETA – sottolinea l’organizzazione armata – è che lo scontro tra ambedue i progetti venga superato attraverso un confronto democratico, con la garanzia e l’impegno di tutti che venga rispettato ciò che i cittadini baschi decidano” in uno scenario” senza violenza, senza limiti e senza ingerenze”.

L’appello internazionale

Nel comunicato ETA sostiene che l’appello lanciato da personalità internazionali per una soluzione del conflitto basco spagnolo è stato “assunto” dall’organizzazione che considera “importante l’implicazione internazionale, ed annuncia che “nelle prossime riflessioni”, l’organizzazione armata basca raccoglierà “i contributi ed opinioni che hanno lanciato gli agenti internazionali”.

Per ETA, comunque, “ la disattivazione della risposta armata non risolve il conflitto politico. Come in altri processi di risoluzione dei conflitti nel mondo, nel nostro anche sono necessarie garanzie e compromessi di tutte le parti in causa, costruire lo scenario democratico che garantisca una soluzione solida e permanente”.

…E la polizia francese smentisce l’ETA.

Poche ore dopo la pubblicazione del comunicato di ETA, la Direzione Generale della Polizia Nazionale francese smentisce la versione dell’organizzazione armata: pur non apportando dati al riguardao, la DGPN afferma che la version dell ETA “contraddice con gli lement emersi dall indagine”. Anche il primo sindacato di polizia francese l’ Unité Police/SGP-FO, sostiene che “non possiamo dare nessun credito ad un comunicato così ripugnate da pArte di questa organizzazione terrorista e criminale”


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Leggendo e guardando quanto accade a poche centinaia di chilometri dall’Europa verrebbe da stare un po’ in silenzio. Per ascoltare. I milioni di magrebini e magrebine, arabi e arabe che alzano la loro voce, che mettono i loro corpi a fare fronte a decenni di umiliazioni, miseria e in molti casi di morte, lanciano un messaggio dentro e  fuori i loro paesi. Fuori verso l’Europa e l’Occidente, complici, co responsabili diretti, ostacoli al cambiamento, fino a quando l’ebollizione della rabbia non ha fatto scoperchiare la pentola. Perché quel arroganza, spocchia, perversione delle elites oligarchiche che hanno governato quei paesi tra paternalismo e pugno di ferro, è si eredità autoctona ma anche imitazione del modello di governance che i burattinai occidentali hanno insegnato. Per rimanere in epoche recenti, Bush, Sarkozy, e la pletora di una classe politica europea che non è capace di guardare oltre le indicazioni dei sondaggi, lo hanno ripetuto in diverse salse. Il petroliere texano con la “guerra di civiltà” cosi meschina, bugiarda, genocida che rappresenta una perfetta continuità della impunità dell’ Impero, dalla conquista della America ad oggi. Impunità sulle proprie nefandezze sulle quali si sono costruiti “sogno americano” e l’eurocentrica idea dell’essere depositari della supremazia civile.   Sarkozy , quello della politica di pulizia etnica contro rom anche “francesi” che ebbe la tracotanza di sbattere in faccia ad una platea attonita a Dakar nel 2007, un discorso di “assoluzione e relativizzazione” dell’ Europa, in particolare della Francia, nella sistematica opera di rapina e genocidio, dell’ Africa.

Quando si dirà e s’insegnerà nelle scuole che le “grandi potenze”, oltreché culla di grandi scienziati e filosofi, di principi umanitari,  sono state le artefici, responsabili dirette ed in dirette dei più grandi genocidi della storia dell’ umanità? Quando si ammetterà che celebrare la nascita di questi stati, fattisi in epoche diverse imperi, significa anche celebrare stermini sui quali queste “grandezze” sono state costruite? Perché questa è stata la storia non raccontata. Come disse lo scrittore basco “il fatto di non essere stati nazione, grande e riconosciuta con un ruolo nel Libro della Storia, ci ha risparmiato dal fare come tutti gli altri, cioè depredare, sequestrare, saccheggiare uccidere”.  Perché è questa l’educazione civica più profonda da trasmettere. Condivisione significa dividere assieme, non “un po’ e anche niente a te e tutto il resto me” che ha segnato la politica di “cooperazione” nord sud, ma anche recentemente ovest est, per esempio in Europa.

Dare chiavi di lettura per formare una coscienza che non si riduca a dire che le “rivolte nel mondo arabo sono state determinate dalla crisi economica e grazie alla possibilità di comunicazione di internet” o che le guerre dimenticate d’Africa sono dovute a “scontri tribali e alla mancanza di democrazia”. Perché quando la realtà emerge la coscienza collettiva occidentale comincia a puzzare. Si può mascherare con domande retoriche di fronte all’evidenza dei fatti come fa il quotidiano conservatore spagnolo El Mundo ammettendo che  “quando soffiano venti di liberta, o un urgano come quello che sta vivendo il medio Oriente, Occidente si colloca ancora una volta nel lato sbagliato della storia. Ci può essere maggiore contraddizione tra il coraggio di questi manifestanti che si scontrano alla tirannia disarmati e la vigliaccheria dei nostri politici? Tra il sacrifico degli uni e la retorica vuota degli altri”. Questo richiamo a un “onore cavalleresco” a principi etici che sono da salotto, toglie l’attenzione dalla questione di fondo, che questa politica dei “nostri politici” non “è vigliacca” è coerente con il sistema “Occidentale” o più precisamente neoliberale globalizzato, quello delle 250 persone che hanno una “ricchezza combinata” pari a quella di 2 miliardi 250 milioni di persone. Non c’è vigliaccheria c’è coerenza limpida, cristallina con un sistema perverso esaltato dall’attuale premier italiano  ma sorretto anche dalla sua opposizione. Chi fu ha lanciare il primo proclama “etnico”sul “emergenza rumena” a metà dello scorso decennio? L’ex segretario del PD Veltroni dal suo scranno di sindaco di Roma. Per rincorrere “la destra” sul terreno della sicurezza, si diceva. In realtà perché parlare sul sistema che genera immigrazione da uno  dei  “prolungamenti economici” italiani qual è la Romania,  significherebbe parlare dei salari da fame che in generale davano le quasi 25000 imprese italiane. Gran parte delle quali provenienti da quel nord est dove il culto della razza padana ha creato la miseria culturale del rifiuto verso “quelli da fuori” fonte della propria ricchezza economica.

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