IL CASO GARZON: OMERTA’ STORICA E POLITICA
Il caso del giudice Baltazar Garzon sta scuotendo il dibattito politico in Spagna. Il procedimento aperto nei suoi confronti dal Consejo General del Poder Judicial per la presunta infrazione di prevaricazione sul caso dei giustiziati e desaparecidos durante in franchismo trova fondamento sulla natura del attuale sistema politico spagnolo. Infatti l’infrazione viene ipotizzata poiché tali crimini non possono essere giudicati in virtù della legge sulla amnistia approvata dal parlamento spagnolo nel 1977. Questa legge alla quale si sono ispirati diversi paesi latinoamericani dopo la caduta dei regimi dittatoriali degli anni settanta ed ottanta, racchiude il senso del modello politico spagnolo denominato “Transizione politica”. Un modello, secondo molti storici anche nostrani, che però, sancisce di fatto l’impunità dei crimini sistematici compiuti dal regime franchista. Si stima tra i 150 e 200 mila persone. I procedimenti aperti da Garzon, negli anni scorsi, nei confronti di responsabili delle dittature latinoamericane, Cile, Argentina, Guatemala, hanno contribuito a creare una immagine di paladino dei diritti umani. Ci sono alcuni aspetti che contribuiscono a delineare una problematica ben più complessa. Baltazar Garzon è giudice di un tribunale, l’Audiencia Nacional istituito nel 1977 con il principale compito di contrastare la dissidenza armata ed anche politica basca. Non è un caso isolato questa legislazione emergenziale motivata dalla questione basca che ha giurisdizione su tutto lo stato spagnolo e che ha via, via, costruito una giurisprudenza basta più su delitto d’autore o codice penale del nemico, che sui principi di uno stato di diritto, dove la teoria dice che tutti sono uguali dinnanzi alla legge. Il caso basco, in Spagna, ha motivato una serie di iniziative legislative e giuridiche come la LOAPA, limitazione dei poteri degli statuti di autonomia; leggi antiterrorismo; PLAN ZEN, piano di misure di polizia sociali politiche ed economiche per contrastare la dissidenza nella Zona Especial Norte (le province basche); legge sui partiti del 2002 per illegalizzare Batasuna, il movimento politico della sinistra indipendentista basca; dottrina Parot (dal nome del detenuto politico basco), legge retroattiva che esclude sconti di pena per reati di terrorismo; dispersone dei prigionieri politici in diverse carceri, messa in atto nel 1989 che ovviava alle direttive sulla detenzione nel luogo di origine. Garzon si è fatto interprete di questa filosofia attraverso una serie di ordinanze che hanno sancito giurisprudenza anche se, in alcuni casi, in contrasto con le stesse leggi del sistema giudiziario spagnolo. Tra i casi da menzionare le ordinanze di illegalizzazione di movimenti ed associazioni politiche come Xaki, Zumalabe, AEK, il quotidiano EGIN ed l’emittente Egin Irratia, che rientrano nel denominato sumario 18/98 e illegalizzazione di Batasuna. Queste inziative vennero messe in discussione anche da giudici e tribunali, in alcuni casi anche della stessa Audiencia Nacional, seppur con motivazioni diverse, adducevano una sorta di “pre giudizio” nella azione del giudice violando elementari diritti sulla libertà di espresione e di associazione. Leggendo alcune delle ordinanze di Garzon, tra queste la 35/2002 o la ordinanza del settembre 2002, questa ipotesi inquisitoria trova sostegno. Non c’è presunzione di innocenza ma soprattutto si costruisce un castello accusatorio palesemente infondato, che determina la creazione di un’immagine criminale dell’oggetto da giudicare, Batasuna e la sinistra indipendentista, eseguendo una condanna a priori, illegalizzazione di una associazione o chiusura di un mezzo d’informazione senza che si sia svolto nessun dibattimento processuale. I casi della Sala Cuarta della stessa Audiencia Nacional, la sentenza della Audiencia Nacional sul caso Segi Haika Jarrai, quella del Tribunale Supremo sul quotidiano EGIN, e la stessa sentenza sempre dell’ Audiencia Nacional sul caso del quotidiano Egunkaria, pur non essendo stato istruito da Garzon, testimoniano come nella stessa giurisprudenza spagnola, le iniziative di Garzon abbiano forzato i confini. Anche sulla violazione dei diritti umani in Spagna attraverso la tortura o maltrattamenti degli arrestati, Garzon ha dato mostra di gestire bene la sua immagine. Dopo che per molti anni decine di militanti baschi non solo di ETA, ma anche altri dissidenti, il caso dei giovani indipendentisti catalani del 1992, abbiano deposto dinnanzi al giudice denunciando torture o maltrattamenti durante i giorni di permanenza in mano delle forze di sicurezza, e Garzon abbia queste denuncie, negando pubblicamente l’esistenza della tortura, un’anno mezzo fa emise un’ordinanza ella quale stabiliva un decalogo di comportamento delle forze di sicurezza durante gli interrogatori recependo le preoccupazioni di organismi umanitari internazionali che denunciano ogni anno la pratica della tortura nello stato spagnolo. La vicenda giudiziaria di Garzon ha quindi sollevato un tema in modo paradossale assumendo sempre più un carattere internazionale come n Argentina dove alcuni familiari di desaparecidos spagnoli durante il franchismo hanno un esposto nei tribunali argentini per aprire un procedimento giudiziario, i crimini franchisti, che lo stato ed il governo spagnolo si rifiutano di affrontare. E, altro paradosso della storia, Garzon si trova adesso a subire i costi di un modello istituzionale, la transizione politica che ha determinato l’esistenza della questione basca che lo stesso Garzon ha criminalizzato in questi anni riducendola a una mera questione di “terrorismo”.
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