LA CRISI ECONOMICA IN GRECIA: I RAGAZZI DEL FMI

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Isidro Esnaola

Gara. Domenica si sono riuniti i responsabili delle finanze dell’Eurogruppo per approvare il piano che ha preparato il Fondo Monetario Internazionale per la Grecia. “Salvare” o “aiutare” la Grecia è un bel dire, soprattutto quando dietro i piani c’è il FMI, che ha alle spalle un gran numero di catastrofi sociali ed economiche provocate. Comunque sia, poco prima che la Grecia chiedesse di attivare il meccanismo di aiuto, l’Ufficio Europeo di Statistica, Eurostat, pubblicò i dati sulla situazione di conti pubblici dei 27 paesi della Unione Europea. Credo che valga la pena porre attenzione su almeno quattro paesi.

In primo luogo c’è il caso della Grecia, che si trova al centro della tempesta. La ricchezza creata è crollata, il debito pubblico supera già la ricchezza prodotta e il deficit dei conti dello Stato arriva al 13,6%. Nulla di quanto già non si sapesse. Detto in altro modo, la barca greca affonda, è cosi piena d’acqua che questa già tracima per ogni lato ed inoltre ha un buco che occupa il 13,6% della chiglia della nave da dove non smette di entrare  acqua. Per mantenerla a galla, prima bisogna tappare il buco ovvero ridurre il deficit dei conti pubblici e poi iniziare a pompare acqua, vale a dire, pagare il debito. Un’altra soluzione sarebbe aumentare la grandezza della barca, vale a dire, che l’economia cresca. Però di questa seconda opzione nessuno parla. Per conseguire questi obiettivi, l’Unione Europea e il FMI stanno chiedendo alla Grecia che aumenti le imposte, fondamentalmente l’IVA e le accise su benzina e tabacco, e abbassi le spese, essenzialmente lo stipendio dei funzionari pubblici e il congelamento dei contratti nel settore pubblico. Alla Gracia viene chiesto anche  il congelamento degli stipendi nel settore privato, non tanto in solidarietà con i dipendenti pubblici, ma perché la produzione greca recuperi competitività.

Un paese che ha seguito alla lettera questo programma dal 2008, da quando è nelle mani del FMI, è stata la Lettonia. Dai dati di Eurostat si può osservare che la ricchezza è crollata in un anno niente meno che del 18%, la disoccupazione è schizzata dal 7% al 17,1% e, secondo l’ultimo dato del marzo 2010, arriva già al 22,3%. Attualmente è l’unico paese dell’Europa che supera lo Stato spagnolo nella percentuale di disoccupati. L’economia si è contratta brutalmente però se osserviamo il deficit pubblico, questo è continuato ad aumentare, passando dal 4,1 al 9% del PIL, ossia nemmeno l’obiettivo dichiarato di tutte queste misure è stato raggiunto. Vedendo questi risultati, chiunque direbbe che i ragazzi del FMI tirano “il pacco”. Per questo, il governo portoghese ha optato per un’altra strada e, pur riducendo alcune prestazioni pubbliche per ridurre le spese, ha deciso anche creare una nuova imposta sugli utili ottenuti in borsa ed applicare il 45% ai redditi più alti, vale dire, aumentare le tasse ai più ricchi. In questo modo obbliga a maggiori contributi da parte di chi ha di più, fatto che oltre ad essere più giusto, genera un minore impatto sulla ripresa economica.

Per quanto riguarda lo Stato spagnolo, è sula stessa strada della Grecia. Ha un buco nella chiglia di dimensioni simili. La differenza è che l’acqua ha inondato le botteghe fino alla metà (53% del debito), però di questo passo tutto arriverà. Un’altra differenza è che lo Stato spagnolo ha già aumentato le accise e l’IVA aumenterà in luglio, e nonostante questo, non s’ intravede nessun miglioramento nei conti pubblici. Il problema è che da quando Rodrigo Rato (Ministro dell’Economia spagnolo durante gli otto anni di governo PP ed ex direttore del FMI) disse la frase “siamo riusciti ad abbassare le imposte e a far crescere le entrate”, i successivi governi del PP e del PSOE non hanno fatto altro che distruggere il sistema fiscale caricando tutto il peso delle entrate sulle imposte indirette e le tasse e sui contratti di lavoratori e lavoratrici. Però, quando la disoccupazione schizza in alto le entrate cadono in picchiata perché si perdono un’enormità di contratti e se si aggiunge che l’attività economica zoppica, le imposte indirette e le entrate fiscali semplicemente non entrano. In questo modo si è passati da raccogliere il 40% della ricchezza a solo il 34%, la maggiore caduta di tutta l’Unione Europea, fatto questo che lascia il peso del settore pubblico a livello della Lettonia, Lituania o Romania. Con questi dati sarà difficile adesso tappare il buco. E’ adesso che si evidenziano i danni provocati da tutte le diminuzioni d’imposta durante gli anni di bonanza economica seguendo le dottrine liberali. Eppure tutto indica che il Governo spagnolo vuole seguire il cammino intrapreso da Grecia e Lettonia.

In questo panorama si distingue la Svezia. La crisi economica ha appena toccato le entrate fiscali; il buco nei bilanci pubblici è piccolo, solo lo 0,5%, e questo quando la ricchezza che controlla lo stato è del 56% e l’economia si è ridotta del 3,1%. Il debito, d’altra parte, è appena il 42% della ricchezza. La Svezia ha ovviato alle ricette liberali ed ha mantenuto il suo walfare state, sia per quanto riguarda le entrate, con un sistema fiscale relativamente giusto, come in quello delle spese, investendo su un’ampia rete di servizi sociali che crea e mantiene posti di lavoro e migliora la qualità della vita della gente proponendo servizi utili. Una politica che, lontana dalla dottrina liberale, non da luogo a grandi crescite durante le epoche di bonanza che però resiste bene alle crisi, dando allo stesso tempo, sicurezza ai suoi abitanti. La disoccupazione è cresciuta del 2,1% nell’ultimo anno, nulla a che vedere con quanto siamo vedendo attorno.

Inoltre, la Svezia decise di non entrare nella zona euro e quindi, mantiene un’importante risorsa di sovranità economica com’ è la moneta propria che le permette di rivalutarla o svalutarla secondo le circostanze, cosa che non possono permettersi paesi come Grecia, Portogallo o lo Stato spagnolo.

Come si può dedurre da questi esempi, i programmi di riscatto auspicati dal FMI, ed in questo caso appoggiati dalla Unione Europea, non sono disegnati per fomentare uno sviluppo basato sulle necessita interne al paese in questione, che in fin dei conti è quanto deve servire l’economia, bensì collocare questo paese in una posizione totalmente subordinata e dipendente dentro il mercato mondiale o, come si diceva prima, dentro la divisione internazionale del lavoro. Nonostante tutta la retorica liberale che li accompagna, questi programmi ne riducono il deficit, ne risanano i conti; l’unica funzione è distruggere l’economia locale e lasciare i pezzi più appetibili in mano ai grandi pescecani internazionali.

Con o senza FMI, ci sta cadendo addosso un aggiustamento di queste caratteristiche. E’ meglio che mettiamo in mare la nostra scialuppa e farla navigare prima che arrivino i ragazzi del FMI.

Fonte: http://www.gara.net/paperezkoa/20100503/197226/es/Los-muchachos-FMI


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