“LA RIVOLUZIONE TUNISINA INIZIO’ NELLE REGIONI E CONTINUA OGGI MOLTO ATTIVA”- Fahem Boukadous

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Gara. Alma Allende. Tunisi. Fahem Boukadous è un giornalista che si trovava in prigione quando il popolo tunisino obbligò il dittatore Ben Alì a fuggire dal paese. Militante del Partito Comunista Operaio Tunisino., ogni giorno fa tutto quello che può affinché la grande opportunità presentatasi con la rivoluzione non si perda.

Fahem Boukadous, per questo è contento. E’ un uomo felice. Liberato il 19 gennaio, cinque giorni dopo la fuga del dittatore, è uscito in strada in una Tunisi sconvolta dalla rivoluzione. Si trovava da sei mesi in prigione, però non era la prima volta che subiva i rigori della dittatura. Nel 1999, dopo aver passato per  le stanze della tortura del Ministero degli Interni, fu condannato a tre anni di carcere, dei quali scontò diciannove mesi prima di essere amnistiato  da una “grazia” presidenziale.

Testimone di eccezione delle rivolte del 2008 nel bacino minerario di Gafsa, nella regione di Redeyev, venne nuovamente incarcerato nel 2010 per il suo ruolo nella promozione di un giornalismo militante che fece conoscere quelle proteste, che vengono considerate  anticamera dell’attuale rivoluzione tunisina.

Questa intervista è stata realizzata tra un sussulto e l’altro, in mezzo a una concentrazione di protesta, di una manifestazione o, una volta recuperato il fiato, dopo aver corso per le strade vicine alla grande viale Bourghiba. Sono giorni cruciali per la rivoluzione, anche se le luci dei grandi mezzi di comunicazione sono puntati adesso sull’Egitto. “La Tunisia non è ormai una questione internazionale ma locale”, ci dicevano, con tutta sincerità lavoratori di Al Jazeera quando cercavamo d’informarli del fatto che le milizie benaliste (sostenitori del dittatore deposto) erano tornati all’attacco a Sfax. Boukaudous non è d’accordo. “La rivoluzione è iniziata nelle regioni e là continua ad essere molto attiva”.

Che relazione esiste tra le rivolte del 2008 e la rivoluzione del 2011?

Da una parte, la lezione di resistenza degli abitanti di Redeyev e di tutto il bacino minerario, che si accumula nella memoria collettiva del paese. Il secondo punto è la partecipazione nel movimento del 2008 dei diplomati disoccupati, una delle forze protagoniste oggi del processo rivoluzionario. Il terzo è l’importanza dei “mezzi di comunicazione popolari” Al-Hiwar-TV e i CD casarecci sono stati sostituiti da Facebook, attraverso del quale è stato rotto il bavaglio della censura.

Perché il movimento di Redeyev venne sconfitto e quello di Sidi Bousid, invece, si estese di città in città fino a raggiungere la capitale?

E’proprio questo, l’elemento contingente, che nessuna analisi storica può anticipare o spiegare

Hanno qualcosa a che vedere gli USA?

Non credo che ci sia stata nessun intervento degli USA per facilitare la caduta del dittatore. La rivoluzione ha colto in contropiede le grandi potenze. Si, naturalmente, adesso manovrano in cerca della “stabilità”, però sono sicure che non potranno arrestare il processo di cambiamento.

E’ finito il regime di Ben Alì?

Il regime continua, non solo dentro la Polizia e l’apparato dello Stato, ma anche nei mezzi d’informazione ed in Internet. Bisogna approfittare del momento per creare nuovi mezzi e nuovi formati. Bisogna anche stabilire una coalizione tra giornalisti tunisini e stranieri perché abbiamo bisogno di esperienza e formazione.

Ciò che è avvenuto in Tunisia ha avuto una grande ripercussione internazionale.

Tunisia ha messo inaspettatamente in moto una valanga che non è solo “emulativa”; si tratta di una vera “rivalità rivoluzionaria” o “competizione positiva” che adesso scuote l’Egitto, epicentro del mondo arabo. Ciò che avverrà là si ripercuoterà di nuovo sul nostro paese.

La Qasba è vuota un’altra volta: Sembra che sempre sia stata così, però alcuni giorni fa era un’altra cosa, era il centro della rivoluzione tunisina.

L’arretramento sembra chiaro, però è più facile uccidere un popolo sveglio che addormentarlo di nuovo. La capitale è un illusione. La rivoluzione ascese dal centro e il sud e là torna e si mantiene. Bisogna andare nei paesi, non ossessionarsi con la Qasba. La rivoluzione non è la capitale. La Qasba è solo una delle molteplici forme della protesta; un simbolo, senza dubbio, perché concita l’attenzione dei mass media, però la rivoluzione iniziò nelle regioni e là continua molto attiva. L’altro giorno manifestarono 80.000 persone a Sfax e poi la città è rimasta paralizzata per uno sciopero generale. A Gafsa, a Sidi Bousid, a Tela….ci sono concentrazioni e proteste.

Sono veri i rumori sul fatto che le milizie di Ben Alì sono arrivate a minacciare il nuovo ministro degli Interni nel suo stesso ufficio? O cercano intenzionalmente di alimentare la credibilità del nuovo governo?

I rumori fanno parte della stessa strategia di confusione e insicurezza, una fase indissociabile  di ogni processo rivoluzionario.

Come valuta la relazione che ha la sinistra tunisina con quella europea?

Negli anni di Bourguiba, le relazioni tra sinistra tunisina e quella europea erano molto forti. Poi, sotto la durissima repressione di Ben Alì, i contatti solidali sono stati praticamente a titolo individuale, però ci hanno aiutato molto a resistere. Il ha relazioni con alcune forze della sinistra marxista in Francia; nello Stato spagnolo concretamente con il Partito Comunista (marxista leninista) di Raul Marco. Le manifestazioni di questi giorni in diverse capitali europee sono state molto importanti, non solo come appoggio morale ma anche come pressione sui governi della UE, così compiacenti con il dittatore.

Che posizione ha il partito sul Sahara occidentale?

Il nostro partito ha difeso sempre l’indipendenza del Sahara e quella del Paese Basco. Gli spagnoli non saranno mai liberi se non liberano il Paese Basco e le altre nazioni dello Stato spagnolo. Il principio di autodeterminazione è un punto essenziale del nostro programma.

In un momento in cui la riduzione dei diritti e della libertà sono moneta comune in Europa, rimane qualcosa da sfruttare nel continente che sta dall’altra parte del Mediterraneo?

E’ vero che la democrazia retrocede in Europa, però noi abbiamo bisogno della sua esperienza. Gli europei fecero rivoluzioni democratiche e scrissero su queste. Noi non abbiamo prodotto riflessioni sul tema. Abbiamo dato una grande lezione rivoluzionaria, però non possiamo avanzare senza il sapere politico accumulato della Europa democratica di sinistra.

Alcune immagini di questi giorni hanno mostrato manifestanti tunisini con bandiere e simboli propri della sinistra, qualcosa che è risultato scioccante a molta gente in Europa.

In Tunisia ci sono migliaia di militanti di sinistra. Durante gli anni più duri della repressione le nostre forze si dispersero e si nascosero. Però oggi tornano. Il problema è che non abbiamo quadri per canalizzare la nuova militanza.

La gestione della informazione si sta rivelando cruciale in questi giorni, tanto in Tunisia come in Egitto. Che dovremmo fare affinché non prendano il sopravvento i grandi mezzi che servono all’Impero?

E’importante costruire una coalizione internazionale di giornalisti di sinistra. Organizzarsi a livello internazionale per produrre nuovi formati e nuovi mezzi capaci di combattere i pregiudizi interessati della stampa capitalista

A molti europei è risultato sorprendente l’uso della bandiera e inno tunisini come simboli della rivoluzione.

In discorso ufficiale di Ben Alì accusava la sinistra tunisina di non essere patriottica, di non amare il paese. Noi rispondiamo che era proprio che era la dittatura che non aveva niente a che vedere con la Tunisia. Noi eravamo i veri nazionalisti e Ben Alì e i suoi non hanno mai avuto relazione con la nostra patria.  La nazione è il popolo. Incluso negli anni di maggior repressione ci siamo sentiti orgogliosi di essere tunisini. Da parte mia, rifiutai la possibilità dell’ esilio perché preferivo continuare ad essere tunisino sotto la repressione che libero in Europa. Il nostro dovere è quello di aiutare a liberare il popolo tunisino, che è l nostro.

Una vita dedicata al giornalismo militante.

Persecuzione, clandestinità, instancabile combattività, Fahem nacque a Regueb e gran parte della su attività politica è stata dedicata al  giornalismo militante. Fu il primo che, nel 1998, denunciò le attività mafiose delle cinque famiglie che dominavano l paese. Nel 2003,  trovandosi a Gafsa, si convertì nel corrispondente di Al-Badil e tre anni più tardi nel responsabile della emittente tunisina Al-Hiwar-TV, un canale satellitare. Nel 2008, quando esplodono le rivolte nel bacino minerario di Gafsa, considerate le prove generali dell’attuale rivoluzione, questo mezzo precario, però irraggiungibile per il Governo, si converte nel centro radiale delle immagini delle proteste. Boukaudos catalizzò il malessere dei giovani della regione, proponendo loro un mezzo di espressione e convertendosi per tanto in una minaccia per la dittatura. “E’ ciò che io ho chiamato mezzi d’informazione popolari. Centinaia di giovani, ai quali i parenti emigrati avevano regalato una video camera, divennero giornalisti. Io dovevo solo riunire queste immagini e farle circolare”.

Le rivolte del bacino minerario misero a dura prova un regime dentro del quale c’erano già frizioni e scontri. Nel giugno 2008, dopo mesi d proteste, Ben Alì decise di estirpare alla radice il movimento. Redeyev fu assediata da 4000 poliziotti che assaltarono e saccheggiarono le case, ruppero mobili, picchiarono le donne. Ci furono due morti. La città, in un anticipo di quanto sta succedendo  adesso in tutto il paese, fu parzialmente occupata dall’Esercito. “A Redeyev, il movimento fu diretto da sindacalisti e militanti, però negli altri paesi del bacino minerario furono gli stessi giovani quelli che si organizzarono e coordinarono le proteste”.

Nel gennaio 2010, in processo che durò cinque minuti, Fahem Boukadous fu condannato a quattro anni. Dopo essersi rifiutato di chiedere perdono e passare per l’ospedale, entra in prigione il 15 luglio. Qui, scrive senza soste; prepara un libro sulle rivolte di Gafsa. Entra in contatto con i detenuti comuni e cerca di proporgli una formazione politica, fatto che provoca l’intervento del direttore del carcere. Grazie alla solidarietà di uno dei medici, riceve informazioni sulla morte di Mohamed Bouazizi e delle reazioni popolari che questa morte scatenò, la cui velocissima espansione ancora adesso lo meraviglia. Alma Allende

Fonte: http://www.gara.net/paperezkoa/20110203/246368/es/La-revolucion-tunecina-empezo-regiones-sigue-hoy-muy-activa


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