LA RAGIONE BASCA
Arnaldo Otegi, Rafa Diez, Sonia Jacinto, Miren Zabaleta, Arkaitz Rodriguez, Txelui Moreno, Mañel Serra y Amaia Esnal.
Caso Bateragune
La menzogna come costante storica.
Sarebbe comprensibile che nessuno dei promotori di questo processo giudiziario conoscesse Luis Nuñez Astrain. Sociologo e linguista di Donostia, recentemente scomparso, consacrò buona parte della sua vita a mettere in luce e rimarcare la connessione politica e sociologica tra i grandi eventi della storia contemporanea basca. Eppure, Nuñez conosceva anche i metodi di mistificazione sistematica della verità con i quali si è iniziato questo processo nella sua fase istruttoria e seguenti; in definitiva l’interesse del dominio politico diretto su Euskal Herria ha avuto bisogno di una ampio rosario di menzogne da quando, nel 1512, il paese rimase completamente smembrato dopo l’invasione castigliana.
“La storia istituzionale del Paese Basco inizia con la sollevazione popolare contro una aggressione, con una gigantesca azione antirepressiva”, scriveva Nuñez. E aggiungeva, “Il poema epico la Chanson de Roland, primo tassello importante della letteratura francese – di chiaro contenuto patriottico- e equiparabile al Cantar de Mio Cid in quella spagnola, ambedue del XII secolo, attribuisce falsamente ai mussulmani l’attacco di Roncisvalle, fatto questo che indica due tratti che poi saranno caratteristici nella posteriore storia ufficiale: che il Paese Basco semplicemente non esiste e che gli avvenimenti storici saranno riscritti completamente a seconda degli interessi dell’ Esercito invasore di turno”.
La tergiversazione del racconto configurante la realtà storica di Euskal Herria è stata una costante nella cosmogonia politica spagnola. L’euskara, la nostra concezione del razziale, la ideologia del nazionalismo basco, la immigrazione verso il nostro territorio, la violenza politica, la memoria collettiva e molti altri ambiti della collettività basca sono stati oggetto di grossolane mistificazioni per decenni. L’uso della menzogna con fini politici è stato, di conseguenza, compagno di viaggio delle quattro ultime generazioni che hanno popolato il paese. Furono rossi-separatisti gli autori del rogo di Gernika nel 1937; il regime franchista non fu altro che una placida oasi di pace durante quattro decadi, oscurato solo dalla azione terrorista; il recupero dell’euskara per il suo acquis sociale e culturale presente non è stato altro che un tentativo dei baschi per costruire una lingua da laboratorio con la quale aggredire gli spagnoli; “l’unico potere originario è quello della nazione spagnola” e, per tanto, le rivendicazioni storiche di Euskal Herria non sono altro che una fallacia. Ne lo Stato di Navarra è esistito come tale, ne ETA giustiziò l’ammiraglio Carrero Blanco. Nell’ambito delle invenzioni, il terrorismo basco provocò la mattanza del 11 M a Madrid, l’incendio devastatore dell’Hotel Corona di Aragon nel 1979 o l’incidente aereo del monte Oiz nel 1985, e persone come Tomas Alba, Santi Brouard o Josu Muguruza furono vittime di “aggiustamenti di conti interni alla banda (ETA nda)”. La manipolazione storica e l’uso della falsità nello Stato spagnolo è stato ed è consustanziale al suo essere.
Solo partendo da questa prospettiva si può comprendere il processo giudiziario battezzato “caso Bateragune”.
Con lo stesso pretesto delle armi di distruzione di massa con il quale si giustificò l’invasione dell’Iraq, l’istruttoria e le argomentazioni dell’accusa secondo le quali le persone giudicate in questo processo cercavamo di ricostruire strutture della sinistra indipendentista per dare continuità alla strategia politico militare promossa da ETA, sono falsità palesi. Se il Governo del presidente Geroge W.Bush fece un totale di 935 dichiarazioni false tra il 2001 e il 2003 sulla presunta minaccia dell’Iraq agli Stati Uniti, altrettanto bisognerebbe dire rispetto all’insistenza della pubblica accusa e di determinati mezzi d’informazione nel presentarci come continuatori di una strategia prescritta in termini politici e storici.
Un processo politico
La vera pretesa del giudice istruttore e della Pubblica accusa è stata quella di impedire in tutti i modi che la nuova strategia politica della sinistra indipendentista desse i suoi frutti. Questo processo si è costruito, secondo noi, a misura della ragione di stato, e dalla confluenza di interessi che alimentano una ricreazione fittizia del passato. L’unico obiettivo che persegue è ritardare il più possibile la materializzazione di un nuovo scenario politico nel quale solo gli argomenti democratici e la libera adesione popolare determinino il futuro politico e istituzionale della cittadinanza basca. Le persone accusate in questa farsa fuori dal comune rivendichiamo questo diritto come principio rettore di un ambito democratico ancora da conseguire; e ci riaffermiamo nella pertinenza e nella necessita di portare fino in fondo il controverso nuovo paradigma: una strategia audace, radicalmente impegnata con l’azione politica e democratica, e incompatibile con qualsiasi tipo di esercizio o espressione di violenza, che suscitino l’appoggio popolare sufficiente per rafforzare e dare valore al progetto indipendentista e socialista che propugniamo.
I tribunali spagnoli sono stati strumenti di primo ordine nel disegno della strategia repressiva dello Stato spagnolo. L’assunzione di tutti i procedimenti giudiziari con trasfondo politico nel quale sono giudicate persone accusate di formare parte del denominato “entorno de ETA”, ha evidenziato che il processo e criminalizzazione di queste, lungi dal fare giustizia, persegue unicamente l’ottenimento di un vantaggio politico sul progetto politico che loro rappresentano. La repressione è alla base di molti comportamenti riflessi attuali dello Stato, proprio per la sua mancanza di una proposta democratica con la quale colmare le aspirazioni e aneliti della maggioranza della società basca.
La nostra scelta è inequivocabile
Alla luce dei fatti, concludemmo che l’interesse primordiale della operazione di polizia che si realizzò nell’ottobre del 2009 era quello di cortocircuitare il cambiamento di strategia della sinistra indipendentista; impedire che le tesi che lo rendevano possibile fossero dibattute dalla sua militanza e, quindi, rendere impossibile il suo sviluppo. Con questo fine, l’istruttoria e l’accusa hanno utilizzato tutta una serie di arguzie e falsità, tutte queste orientate a dimostrare che il processo politico in marcia, e la strategia che lo sostiene, è un mero adeguamento della vecchia strategia politico-militare , e che tanto il nuovo scenario come la direzione effettiva di questo processo erano tutelati da ETA.
Ciononostante, i fatti hanno smentito in tutti i modi questa ipotesi in questi quasi due anni da quando siamo stati arrestati/e. Così come si è potuto dimostrare, esistevano differenti percezioni in seno alla sinistra indipendentista nel concepire una nuova strategia. Chi scartava qualsiasi possibilità di arrivare a scenari di dialogo e negoziazione a breve termine, considerando che il “processo democratico” mancava di condizioni politiche in quel momento e puntava sull’apertura di un largo ciclo di resistenza e scontro politico-militare.
Buona parte dei responsabili politici della sinistra indipendentista, al contrario, consideravamo che esistevano condizioni politiche soprattutto sociali ed internazionali per recuperare il processo democratico iniziato nel periodo 2005-2007 e portarlo a termine.Così come hanno testimoniato nella stessa sala del tribunale persone rilevanti dell’ambito della politica o del sindacalismo, alcuni dei firmatari di questo articolo facemmo tutto quanto era nelle nostre mani per evitare che la speranza collassasse promuovendo un dibattito interno di carattere strategico tra la base sociale della sinistra indipendentista. Volevamo dissipare quanto prima l’ombra di un nuovo e lungo ciclo di scontro nel quale, indipendentemente dalle conseguenze politiche che questo avrebbe comportato per il nostro progetto politico, il principale sconfitto era Euskal Herria, tutta la gente che aveva scommesso con entusiasmo per la ricerca di un accordo risolutivo definitivo mesi prima, e che si sentiva completamente frustrata.
A partire da questo momento, due anni di storia recente ci illuminano. Nonostante il suo atteggiamento generale sia stato contrario a sostenere il processo politico inclusivo e democratico nei termini descritti, la stampa spagnola, o, quanto meno, alcuni reputati giornalisti della stampa generalista hanno convenuto nel valutare lo sforzo delle persone imputate per “ cambiare” il paradigma del processo politico e puntare decisamente su vie strettamente pacifiche e democratiche. Nel trascorso del processo, nuovi referenti della professione si sono aggiunti a questa corrente, prendendo atto del contenuto delle nostre dichiarazioni.
Non sono stati unicamente i giornalisti che hanno messo in discussione la tesi dell’ accusa. Bisogna citare espressamente lo stesso giudice istruttore della causa nella quale siamo imputati, Baltazar Garzon, in una intervista pubblicata nell’ottobre 2010 assicurava che le parole di Arnaldo Otegi erano “importanti”, aggiungendo che “era ora che questa decisione per una via pacifica e contro la violenza terrorista di ETA di verificasse”. Altre istanze giudiziarie, come il Tribunale Costituzionale, nella sentenza contro la impugnazione della coalizione elettorale Bildu, o il voto particolare dei sette magistrati della Sala 61 del Tribunal Supremo, che si dichiarano favorevoli alla legalizzazione di Sortu, hanno dato prove evidenti del fatto che la solidità giuridica e la credibilità della sinistra indipendentista lasciano molto indietro, la tesi della pubblico ministero.
Durante le due settimane del dibattimento processuale, il pubblico ministero non si è risparmiato nel suo impegno di cercare di dimostrare l’impossibile: che le basi dell’accusa in questo processo sono certe e che, per tanto, le persone chiamate in causa nel medesimo costituivano una “franchigia” della stessa ETA, peones di una strategia conosciuta e rimodellata. In qualsiasi caso, il pubblico ministero non ha trovato un solo dato, una testimonianza, una informazione contrastabile che corroborasse questa tesi. Durante dieci udienze, solo un pugno di funzionari di polizia hanno offerto una versione balbettante del copione utilizzato nella fase istruttoria. Non esiste nessuna prova a carico che non provenga da deposizioni dei funzionari di polizia convocati, che erano tutti implicati nella operazione politica che a dato inizio al procedimento giudiziario.
Invece, tutte le prove cartacee apportate nel dibattimento, tutte le testimonianze raccolte, abbondano nell’ idea contraria, e cioè, che la nostra implicazione politica è stata esclusivamente diretta a superare una strategia politico-militare, e metterne in atto un’altra, completamente differente, con basi e fondamenta pacifiche e democratiche. Tutti i dati che la Polizia ha raccolto, i testi apportati, i materiali di lavoro ottenuti dai computer, comunicazioni intercettate e evidenze qualificate con il rango di “prove”, ratificano ciò che abbiamo dichiarato nel trascorso di questo processo: siamo colpevoli di cercare una strategia pacifica e democratica.
La realtà è la miglior prova
Però oltre a quanto dichiarato da ognuna delle parti, la realtà, il suo sviluppo, danno e tolgono ragioni. Vogliamo mettere in risalto l’alto valore probatorio di alcuni degli episodi che hanno accompagnato nel tempo la attualità che è seguita al nostro arresto, per mettere in evidenza la falsità della tesi della accusa e le vere intenzioni dello Stato con questa operazione. In primo luogo, ci sembra rilevante la successione dei passi compiuti verso il definitivo abbandono della violenza di cui si è resa protagonista ETA. A partire dalla sospensione completa e verificabile di ogni azione armata, rinuncia alla denominata “imposta rivoluzionaria”, non senza aver assunto l’impegno pubblico rispetto a una virtuale chiusura del ciclo di scontro armato su basi democratiche. In seguito, ha confermato che sottoscrive la Dichiarazione di Bruxelles, nella quale personalità internazionali le chiedevano una alto al fuoco permanente e completamente verificabile. Anche se la mera esistenza di ETA continui a costituire una minaccia realmente percepita per alcuni settori, è indubbio che le decisioni che hanno adottato possono essere contestualizzate in positivo.
Il 12 novembre 2010, l’avvocato sudafricano Brian Currin aveva spiegato a Bilbao che si sarebbe creato il Gruppo Internazionale di Contatto (CIG), composto da esperti internazionali, una volta che ETA avesse dichiarato un alto al fuoco. Dopo che ETA ha ottemperato a questa petizione, il GIC venne presentato a Bilbao il 14 febbraio 2011 composto da Silvia Casale, Alberto Spektorowski, Nuala O’Loan, Raymond Kendall y Pierre Hazan .
Altre dichiarazioni istituzionali e personali, provenienti dai cinque continenti del pianeta, hanno sostenuto in modo pubblico la gestione politica della situazione da parte della sinistra indipendentista. Tra queste quella del Friendship, gruppo di europarlamentari creati nel 2006 per sostenere un processo di soluzione in Euskal Herria. il gruppo si rinnovò nelle elezioni del 2009 e riprese la sua attività pubblica nel febbraio del 2010. Attualmente è composto dalla lettone Tatjana Zdanoka, i fiamminghi Frieda Brepoels e Bart Staes, il catalano Oriol Junqueras, il corso François Alfonsi, il gallese Jill Evans, gli scozzesi Ian Hudghton e Alyn Smith, tutti questi del Gruppo Verdi-Alleanza Libera Europea. Inoltre ci sono l’irlandese Bairbre de Brún, la svedese Eva-Britt Svensson e il checo Jirí Mastálka, del Gruppo Sinistra Unitaria Europea-Sinistra Verde Nórdica. Sono accompagnati dal romeno Csaba Sógor, del Grupo del Partito Popolare Europeo.
Però è stato in Euskal Herria dove i cambiamenti sociali, politici e istituzionali hanno acquisito negli ultimi mesi una maggiore rilevanza, riflettendo in modo nitido i nodi del processo in corso e le loro evidenti conseguenze sulle percezioni collettive dello stesso. La quasi totalità degli agenti politici e sociali di Euskal Herria ha salutato positivamente i cambiamenti adottati dalla sinistra indipendentista nella sua strategia e linea politica. Dallo stesso lehendakari Patxi Lopez fino al segretario generale del PP nella CAV, passando per la quasi totalità dei partiti, sindacati e organizzazioni settoriali di ogni tipo, è stato generale il riconoscimento di una nuova realtà e la spinta verso questa che hanno avuto le decisioni adottate dalla sinistra indipendentista dopo il processo di dibattito interno, “Zutik Euskal Herria”, e l’applicazione delle sue conclusioni.
Allo stesso modo è stata accolta con ampie manifestazioni di soddisfazione la sentenza del Tribunale Costituzionale che apriva il cammino alla partecipazione della coalizione Bildu nelle elezioni locali e provinciali del maggio 2011. I risultati di queste elezioni sono stati un test irrefutabile sulla credibilità della strategia della sinistra indipendentista . L’ampia rappresentanza ottenuta in queste elezioni ha significato l’incorporazione di centinaia di indipendentisti di sinistra nella gestione delle istituzioni, contribuendo in modo notevole alla normalizzazione della vita pubblica nel paese. La società basca ha riconosciuto lo sforzo realizzato e, inoltre, quasi un 25% dell’ elettorato ha dato ai candidati e candidate di Bildu la responsabilità di governare conformemente agli impegni che pubblicamente sono stati assunti, in completa sintonia, bisogna ricordare, con le nuove basi di azione politica della sinistra indipendentista.
Infine, l’elezione di Donostia come Capitale Culturale Europea nel 2016, dimostra al di là di ogni dubbio che il processo in corso ottiene l’appoggio istituzionale in Europa. Con il motto “Paz e convivenza”, la candidatura donostiarra ha superato le previsioni che indicavano come pregiudiziale per ottenere l’elezione l’arrivo di Bildu al governo della città. Invece alla fine risultò eletta per la sua decisa scommessa sull’intreccio tra cultura e pace. Manfred Gaulhofer, presidente della giuria internazionale, ha evidenziato il chiaro impegno della proposta donostiarra e il coraggio ad affrontare in pieno “il superamento, attraverso vie culturali, di una lunga storia di conflitto e violenza”. Così, l’Europa guarda a Euskal Herria, e lo fa con una percezione trasversale di nuove opportunità, in uno scenario nel quale il contributo della sinistra indipendentista è stato cruciale. Lo Stato spagnolo e le sue principali istituzioni non possono essere ciechi e sordi dinnanzi a questa evidenza. Deve smetterla di guardare con cannocchiali bellicisti e avvicinarsi a una nuova realtà con un diverso atteggiamento.
Conquistare la pace, per tutti.
Il processo politico in corso non torna indietro. E’ imparabile, indipendentemente dalla decisione che adotterà il tribunale. I settori che vogliono rimanere ancorati a scenari preteriti arrivano tardi per arrestare l’orologio della storia, nello stesso modo in cui arrivarono tardi con gli arresti e con i loro ripetuti sforzi per evitare il dibattito in seno alla sinistra indipendentista.
Non abbiamo alcun inconveniente a riferire tutti gli aspetti della nostra attività politica nei mesi nei quali siamo stati controllati. Lo facciamo con sano orgoglio e con modestia, poiché, oltre a noi sono stati centinaia i militanti della sinistra indipendentista coinvolti in questa scommessa sul cambiamento e le soluzioni. Nemmeno occultiamo che questo, e non altro, è stato sempre il senso della nostra azione politica. Con accerti e errori, la sinistra indipendentista ha avuto sempre come obiettivo materializzare il cambiamento politico, inteso come il superamento dell’attuale ambito di negazione, imposizione e repressione, così come la costruzione di uno scenario realmente democratico nel quale tutti i progetti possano essere difesi e materializzati esclusivamente in funzione della volontà maggioritaria della società basca, senza alcun tipo di condizionamento o ipoteca.
Quindi, il nostro progetto ha ferrei ancoraggi in una società come la basca, avida di superare un ambito autonomista esaurito, con una vigorosa maggioranza politica, sociale e sindacale cosciente della necessita di un cambiamento politico, economico e sociale, e nel contesto di una Europa che da spazio a processi per la sovranità di vocazione simile a quella che noi proponiamo: costruita su ampie maggioranze democratiche e in completa assenza di violenza.
Costruire un ambito di pace e normalizzazione politica è, dal nostro punto di vista, una compito collettivo, basato sul rispetto scrupoloso dei principi che definiscono un ambito democratico. La sinistra indipendentista, e le persone processate, siamo impegnati in modo integrale e definitivo con questa scommessa. La nostra convinzione e determinazione su questa linea sono irreversibili.
Questa nostra diposizione contrasta con quella di altri agenti sociali e partiti, alcuni dei quali hanno responsabilità di governo. Le recenti dichiarazioni del ministro degli Interni e candidato del PSOE alla presidenza del Governo, Alfredo Perez Rubalcaba, giustificando la continuità della repressione politica, sono un chiaro esempio di questa strategia immobilista. Secondo il ministro “quando stiamo per vincere la guerra, ciò che non possiamo consentire è che ci vincano la pace”. Ignora che nella pace la vittoria è collettiva, e che il fatto stesso di iniziare a parlare di pace riporta un primo dividendo tangibile sul cammino: la speranza collettiva di credere che raggiungerla è possibile.
La unica strategia che, oggi, continua ad utilizzare la forza, l’imposizione, la repressione….è quella rappresentata dallo Stato, incapace di superare il deficit democratico di cui è lastricata la sua storia. A differenza di altri paesi vicini, lo Stato spagnolo non dispone di un avvenimento storico rivoluzionario e collettivo che fsia assunto come una causa comune dai suoi cittadini, rafforzando con esso l’identità condivisa dei suoi abitanti. I poteri pubblici che si affannano nel mantenere nell’oscurità la società spagnola, preferendo il mantenimento del conflitto al risorgimento dell’ indipendentismo che intuiscono irrimediabile per vie pacifiche e democratiche. L’unica alternativa che concepisce uno Stato sulla difensiva, è la negazione di un processo di soluzione collettivo.
La sua strategia assomiglia a quella di un pugile incapace di reintegrarsi alla vita normale, però che, conscio del suo dominio sul ring, trasferisce tutte la sue relazioni di conflitto allo scambio di colpi. Estendendo la metafora all’attuale scenario politico, lo Stato pretende giocare a scacchi senza togliersi i guanti, fatto questo che provoca, per la sua goffaggine, la caduta di pedine avverse e proprie ogni volta che la mano si avvicina alla scacchiera. Il fatto certo è che è arrivato il momento di scendere dal quadrilatero e affrontare un nuovo processo con il quale sigillare le soluzioni democratiche e la pace, e lo Stato, oltre ad accettare le regole del dialogo, dovrà riconoscere prima o poi che le sue possibilità di esito saranno tanto più limitate quanto più tardi s’incorporerà alla partita. Per questa pace e le soluzioni democratiche sarà indispensabile uno scenario di normalizzazione, ristabilendosi quanto prima i diritti democratici più basilari per l’insieme della popolazione basca, disattivando la repressione politica, smantellando la legislazione di eccezione tessuta nell’ultima decade, e orientando la politica penitenziaria verso parametri in sintonia con i nuovi tempi.
In contrapposizione alla attuale strategia dello Stato la sinistra indipendentista, fin dall’inizio, scommette su una soluzione in Euskal Herria e per tutta Euskal Herria, inclusiva, che stabilisca strumenti di collaborazione tra diversi e ampli l’estensione e partecipazione democratica.
Una transizione
Fin tanto che Euskal Herria continui a precisare di una strategia multipla e concertata per affrontare democraticamente il conflitto e la sua soluzione, vogliamo interpellare lo Stato affinché faccia una scommessa convinta nella stessa direzione. Affinché abbandoni la ragione della forza e si azzardi in termini democratici disegnando una strategia esclusivamente politica. Che la ragione di stato e la verità siano compatibili.
Nello Stato deve prevalere il riconoscimento del suo carattere plurinazionale e i diritti delle nazioni non devono vedersi costretti dalla negazione costante o i limiti della Costituzione.Il superamento dei gravi problemi strutturali e la bassa qualità della democrazia spagnola, denunciata dalla sua cittadinanza nelle recenti e pacifiche rivolte sociali, dipende in gran parte da un cambio di mentalità che riveda le basi della sua storia più recente. La rottura democratica che chiedevano numerosi settori politici e sociali dopo la morte del dittatore Franco nel 1975, è il punto obbligato di rigenerazione di un sistema politico e istituzionale lastricato dagli interessi del nazionalismo spagnolo e l’oligarchia che vi aderisce, eredi ambedue della Spagna Imperiale che ha benedetto l’ultima guerra in nome di Dio e che disegnò l’architettura istituzionale susseguente.
La società spagnola deve togliersi di dosso questo costante oscurantismo politico, intellettuale e comunicativo che implementa lo Stato. Come lo fece la notte che scoprì che Aznar e il suo Governo mentivano nell’attribuire a ETA, e per estensione all’indipendentismo basco, le bombe yihadiste contro i treni l’11-M, e castigarono il PP con l’ostracismo. Esortiamo a questa stessa società affinché, partendo dal nostro completo impegno con la strategia pacifica e democratica in corso, esigano da questo e qualsiasi Governo spagnolo successivo un atteggiamento equivalente a favore del definitivo superamento di un conflitto che ha provocato insopportabili livelli di sofferenza.
Non vogliamo chiudere questa riflessione senza dirigerci al tribunale che ci sta giudicando. Lo invitiamo pubblicamente a non sottomettersi alla strategia dei settori più ultramontani del paese, che bramano chiudere la porta a qualsiasi cambiamento che alteri la loro posizione di interessi e privilegio, anche a costo di sacrificare il processo di soluzione che è in marcia. In qualsiasi caso, come Fidel Castro affermò nella sua autodifesa dinnanzi al tribunale che lo giudicò nel 1953 per gli assalti alle caserme Moncada e Carlos Manuela de Cespedes, non temiamo una condanna, poiché la storia ci assolverà. Non solo, Euskal Herria già ci ha assolto.
In qualunque caso, la soluzione che adotti questo tribunale trascende le conseguenze penali che potrebbero riguardarci come risultato di esse. Il tempo dei processi politici, dello scontro armato, della repressione, della minaccia, della inazione della politica, sta esasperando l’insieme della popolazione, che non vede altro che intolleranza, imposizione, incomprensione, forza da tutte le parti e assenza di un divenire aperto e condiviso. Luis Nuñez, sociologo al quale alludemmo all’inizio di questa dichiarazione, avvertiva una sorta di diastole (dilatazione)sociale in Euskal Herria, che inizia lentamente rimuovendo terre profonde, senza scricchiolii, in una situazione di empatia tra la popolazione di maggiore spinta. Suggeriva che, molto lentamente, la diastole si andrebbe affermando in un modo lento e contundente, tornando a configurare la nazione basca attorno al suo territorio e idioma. Il processo, auspicava, sarebbe stato lento e molto differente da quelli conosciuti fino ad ora, e il punto di partenza continuerà ad essere il popolo e la pietra, come proclamava il poeta basco Gabriel Aresti in “Harri eta Herri” (1964), libro fondante della moderna poesia basca.
Per quanto riguarda noi, vogliamo riaffermarci nella difesa ad oltranza delle nostre idee, nella difesa politica e tenace di tutte le decisioni che adottiamo per rendere possibile un nuovo scenario politico. In Euskal Herria, assieme a migliaia di uomini e donne di ogni condizione, ci affanniamo nel pulire pazientemente la pietra senza dire al vicino cosa deve fare con la sua. E, condividendo le successive riflessioni di Luis Nuñez, questo intaglio multiforme di pietre individuali e collettive andrà creando la nuova diastole di Euskal Herria. La ragione basca ha disarticolato la ragione di stato. Facciamo la pace. Condividiamo il futuro in libertà e democrazia.
Fonte: http://www.gara.net/paperezkoa/20110717/279393/es/La-razon-vasca
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