Sonia Jacinto, Miren Zabaleta, Arkaitz Rodriguez, Arnaldo Otegi…..
Il guanto è stato lanciato da una leadership di fatto proscritta, tra cui i 10 inquisiti, che si faceva interprete di una base sociale che in gran parte chiedeva di poter incidere direttamente nella vita politica e sociale, di convertire la storica capacità di resistenza, di non assimilazione politica e culturale allo status quo, di austerità come aspetto della azione sociale, di solidarietà in un progetto politico ed istituzionale. Stava maturando l’idea che la necessità di accumulare forze sociali non si poteva limitare alla resistenza ma alla costruzione accettando la sfida anche istituzionale, di istituzioni segnate da un bipolarismo che è fedele interprete del patto politico post-franchista. Le forche caudine della legge sui partiti veniva quindi vista come un passo obbligato ma allo stesso tempo la dimostrazione che la sua accettazione non cambiava la sostanza della questione: che la sinistra indipendentista non era nata per resistere ma per “governare nei tempi e nei modi che esigevano i governati”.
E lo stato spagnolo ne è rimasto spiazzato. Basterebbe leggere le dichiarazioni susseguitasi fino ad oggi da quel ormai lontano 13 ottobre 2009, da quando in pompa magna mass media e politici si affannavano ad elogiare la nuova impresa inquisitoria di Garzon, per comprendere lo stupore e lo sbandamento nel prendere atto che la sinistra indipendentista scommetteva definitivamente sul protagonismo popolare, sulla diffusa sociologia progressista presente nella società basca che voleva sfidare sul terreno prettamente politico l’altrettanto diffuso ma in ambito spagnolo “franchismo sociologico”. Ed anche ETA ne ha preso atto. Non poteva essere altrimenti essendo l’organizzazione “politico militare” non un soggetto “autoreferenziale” come si poteva interpretare dalla strategia adottata negli ultimi anni, ma prodotto di quella cultura politica che era nata agli inizi egli anni sessanta per costruire un progetto politico in cui vi fossero “uomini e donne libere in terre liberate” e che ciò che “unisce i lavoratori e lavoratrici basche a quelli spagnoli francesi o di altre nazioni non è l’appartenenza ad una stessa nazione ma ad una medesima classe”.
E questo è quanto “mas le duele” ai “poteri” di Madrid e non solo. Ed è questa la motivazione politica che mantiene in carcere, ancora adesso, Sonia Jacinto, Miren Zabaleta, Arkaitz Rodriguez e Arnaldo Otegi. In attesa della sentenza, si sostiene, di un processo che si è chiuso ormai da mesi. E la cui celebrazione non ha fatto altro che confermare che tutta l’operazione era motivata dalla “paura delle idee” e dall’ ostacolare il più possibile uno scenario di vera dialettica politica, confronto tra opposte opzioni politiche. La liberta di Sonia Jacinto, Miren Zabaleta, Arkaitz Rodriguez e Arnaldo Otegi non sarebbe altro, quindi, che un atto dovuto non un gesto magnanimo, ne di giustizia.
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