CONFERENZA INTERNAZIONALE, LE VERTIGINI DI MADRID
La Conferenza Internazionale per Promuovere la Risoluzione del Conflitto nel Paese Basco, che lunedì prossimo si terrà nella Casa de la Paz e los Derechos Humanos, a San Sebastian, ha provocato reazioni, prese di posizione che fanno una fotografia di quali sono le posizioni rispetto alla soluzione del conflitto basco spagnolo.
Lokarri, il movimento pacifista per il dialogo e la soluzione del conflitto è riuscito a chiamare a raccolta personalità e organismi internazionali che hanno partecipato nell’organizzazione dell’ evento. La fondazione tedesca per la soluzione dei conflitti, Berghof l’associazione inglese Conciliation Resources, il Gruppo Internazionale di Contatto (CIG) coordinato dall’avvocato sudafricano Bryan Currin, il The Desmond and Leah Tutu Legacy Foundation e il centro norvegese per il consolidamento della pace Norwegian Peacebuilding Resource Centre/Norsk Ressurssenter for Fredsbgging (NOREF),. Una presenza internazionale che sancisce come il dialogo e riconoscimento , “tra e dei” nemici è il viatico ineludibile per risolvere un qualsiasi conflitto di natura politica.
Lo ricordava nella conferenza stampa di presentazione della conferenza, Jonathan Powel, per dieci anni portavoce dell’l’ex primo ministro inglese Tony Blair, e che prese parte nel processo di dialogo anglo irlandese che per raggiungere una pace duratura è necessaria una leadership politica, assumere rischi, adottare un dialogo inclusivo ed evitare la dialettica “vincitori e vinti”.
E su questi principi hanno aderito all’iniziativa personalità internazionali che hanno vissuto in prima persona conflitti e la loro risoluzione. Lo spirito della conferenza non è quello di dare indicazioni su cosa si deve fare nel Paese basco ma quali sono state le esperienze in altri contesti.
Centro e periferia
Ma in Spagna la sola presenza internazionale, anche se con funzione “consultiva”, viene considerata per lo meno fastidiosa. Sia il Governo dimissionario di Josè Luis Rodriguez Zapatero sia il Partido Popular probabile, secondo i sondaggi, futuro partito di governo nelle elezioni del 20 novembre, hanno disdegnato l’appuntamento di lunedì a San Sebastian. Il Ministro alla presidenza, Ramon Jauregui ha detto che il governo non parteciperà alla conferenza anche se si dice convinto che “la fine della violenza di ETA sembra vicina”. Il perché di questa assenza viene spiegata dal suo compagno di partito e di federazione (PSOE-PSE) il presidente della Comunità autonoma basca Patxi Lopez il quale aveva detto che non avrebbe partecipato adducendo tra l’altro che “il governo basco non era stato coinvolto”. Una posizione smentita dal quotidiano Gara secondo il quale gli organizzatori non solo avevano cercato una coinvolgimento delle istituzioni autonome basche ma avevano offerto al Governo autonomo il ruolo di anfitrione della conferenza.
Insomma sembra che ancora un volta il governo di Patxi Lopez – che attualmente è ampiamente minoritario sia in numero di voti che di consenso della opinione pubblica basca – non vuole farsi interprete di una sentire ampiamente diffuso nella società basca che chiede scelte coraggiose e definitive per porre fine al conflitto. Tutto questo fino…a ieri. Poi il presidente della federazione basca del PSOE, Julen Eguiguren, convinto assertore del dialogo con la sinistra indipendentista, annuncia che parteciperà a titolo per personale e poche ore dopo il portavoce del partito Pastor annuncia che il PSOE-PSE parteciperà alla conferenza per certificare che la stessa non è “un atto di propaganda della sinistra indipendentista”.
Il Partido Popular socio di governo del PSOE-PSE nella comunità autonoma basca critica la partecipazione del PSE in quella che definisce una iniziativa promossa da “Bildu e ETA”. Arroccandosi su posizioni di fermezza il partito di Mariano Rajoy, il quale sulla questione basca sta mantenendo un posizione di prudente silenzio, si associa alla posizione della conservatrice Asociacion de Victimas del Terrorsimo che considerano la conferenza una “offesa alle vittime del terrorismo”.
Il respiro internazionale del conflitto
Questa riluttanza spagnola alla implicazione internazionale per quello che viene definito di fatto come un “problema interno” arrivando a negarne la “natura politica”, è datata anche se poi la storia smentisce questa presunta posizione di fermezza. Basta ricordare il 1989 con gli incontri ad Algeri tra rappresentati del governo Gonzales, del PSOE, ed ETA o dieci anni più tardi, 1999, a Zurigo, tra emissari del Governo Aznar PP e esponenti della organizzazione armata basca con la mediazione della chiesa cattolica. Per arrivare al 2006 quando Oslo e Zurigo sono stati teatro del dialogo poi fallito tra emissari del Governo Zapatero, dirigenti di ETA e esponenti della sinistra indipendentista basca. Insomma. L’implicazione dei governi europei o di organismi come il Centro Henry Dunant o la Comunità di S. Egidio accompagnano i tentativi di trovare una soluzione ad un conflitto che ha segnato la storia degli ultimi cinquant’anni in Europa. Un presenza questa richiesta sia dalla parte basca che da quella spagnola. Per non parlare del coinvolgimento di numerosi paesi, Venezuela, Repubblica Dominicana, Ecuador, Algeria, Sao Tomé, Togo, nella strategia di deportazione di rifugiati baschi in Francia che Madrid e Parigi concordarono negli anni 80.
A partire dal 2009, con la svolta della sinistra indipendentista in favore di un processo democratico senza violenze per la soluzione del conflitto, questo rifiuto nell’accettare una sostegno della comunità internazionale si accentuata. Anzi non sono mancati in tentativi di ostacolare qualsiasi iniziativa di questa natura. L’idea che ci potesse essere una sconfitta politica del “nemico basco” e quindi uscirne “vincenti” non solo è serpeggiata ma è anche stato motivo di contesa politico elettorale tra PSOE e PP per chi si sarebbe assegnato il merito di avere risolto la questione di stato, per antonomasia, della Spagna.
Una visione miope. Nel ottobre 2009 con gli arresti degli esponenti della sinistra indipendentista che avevano promosso la svolta strategica, vennero messe in atto parallele azioni diplomatiche per ostacolare le iniziative del movimento basco che miravano a trovare avvallo alla scelta della via politica e senza violenze. Iniziative in tal senso nei parlamenti inglese e svizzero vennero annullate, come riporterà la stampa spagnola, proprio grazie alle “pressioni diplomatiche” della diplomazia spagnole. Solo Venezia riuscì a rompere questo isolamento nel novembre 2009 promuovendo una conferenza internazionale con la presenza del movimento curdo DTP, il Sinn Fein irlandese e la sinistra indipendentista che colse l’occasione per annunciare, in contemporanea con una conferenza stampa “di massa” ad Alsasua nel Paese basco, l’assunzione dei principi per un “dialogo democratico senza ingerenze ne violenze”. Brian Currin avvocato sud africano, presente alla conferenza nella città lagunare, che ha svolto un ruolo importante nel facilitare questo processo, disse laconicamente che “qui c’è stata una dichiarazione epocale ma sembra che in Europa solo Venezia se ne sia accorta”.
In realtà, nonostante gli ostacoli frapposti dal Governo spagnolo, quella svolta, sancita e ratificata dalla sinistra indipendentista nel febbraio del 2010 con la dichiarazione Zutik Euskal Herria, verrà immediatamente avvallata dalla dichiarazione di Bruxelles, coordinata dallo stesso Currin, nella quale una ventina di personalità internazionali tra le quali il premio nobel per la pace Desmond Tutu , gli ex presidenti irlandesi Mary Robinson e Albert Raynolds, e quello sudafricano afrikaner De Klerk , la Fondazione Mandela con il consenso del leder antiapartheid , chiederanno a ETA una dichiarazione di “tregua generale unilaterale verificabile” a cui dovrebbe corrispondere una risposta del Governo spagnolo”.
Mentre Madrid faceva da spettatore e rimaneva immobile, ETA accolse la sfida dichiarando una “tregua unilaterale, generale e verificabile” che aprirà la strada a una maggiore implicazione internazionale con la creazione di un Gruppo di Contatto (CIG) per facilitare il dialogo politico nella società basca e una commissione “tecnica” di verificava dell’alto al fuoco di ETA, che si è costituita dopo l’adesione del Collettivo dei Prigionieri Politici baschi (EPPK), circa settecento, al ”Accordo di Gernika” sottoscritto dalla sinistra indipendentista e da altre forze politiche e sociali basche. La Commissione di Verifica è coordinata da Ram Manikkalingam, direttore del Dialogue Advisory Group y profesor en la Universidad de Amsterdam che lavora in collaborazione con organismi del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite.
Risoluzione dei conflitti versus elezioni.
E così una conferenza internazionale dove partecipano alcuni dei fautori della “guerra al terrorismo” come forse lo stesso Tony Blair, trova una classe politica spagnola che a parole e nei fatti, la definisce come una manifestazione a sostegno di “ETA”. Le vertigini che sta provocando la fine di uno scenario sul quale si è mossa la politica spagnola per decenni mette in luce le necessita elettorali più che un lungimirante visione politica. Per questo se il PP vede come fumo negli occhi qualsiasi iniziativa che paventi una soluzione senza “vincitori e vinti”, il moribondo governo socialista per bocca del suo ministro di Giustizia, Caamaño rincorre l’avversario sullo stesso terreno, sostenendo che “oltre ad un costante osservazione di Bildu, se ci sarà un minimo di basi legali impugneremo le liste di Amaiur”, ovvero la lista della coalizione della sinistra per la sovranità basca che secondo i primi sondaggi potrebbe divenire la prima forza elettorale del Paese basco. Tutto un programma di saggezza e lungimiranza democratica.
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