Colombia: buio pesto con qualche luce – Guido Piccoli

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Domenica 14 i colombiani sono stati chiamati alle urne per eleggere i loro parlamenti. In una repubblica presidenziale sono molto più importanti le elezioni che si terranno tra un paio di mesi, ma quel voto traccia dà comunque un segnale. Buio pesto visto come sono andate: una maggioranza consolidata alle formazioni legate al potere di sempre, a Uribe in particolare e una sconfitta delle opposizioni, più o meno moderate. Del partito liberale che ha ottenuto i suoi seggi ma, di elezione in elezione, sta abituandosi all’idea di essere l’erede povero del partito che monopolizzò il potere per un secolo e mezzo in compagnia del partito conservatore che, invece all’ombra di Uribe è cresciuto. E del Polo Democratico Alternativo che ha perso nonostante abbia cercato di mostrare il volto più moderato. Anche in Colombia si pensa che si vinca spostandosi al centro, con gli stessi risultati “italiani”. Ma questa è una lettura politicista. Poi ce n’è un’altra che ricorda che più della metà dei colombiani non è andata a votare. Nelle campagne quasi due su tre aventi diritto. E ancora la corruzione, la compera di voti, i brogli, le minacce dei gruppi armati esistenti (rispetto alle quali è sensato pensare che contino più quelle dei gruppi paramilitari, di fatto mai smobilitati, che quelle della guerriglia, confinata in zone poco popolate). A testimonianza dell’inguaribilità di un sistema marcio nelle fondamenta l’elezione di decine di senatori e deputati, parenti stretti o amici dichiarati di politici e militari in galera o processati per paramilitarismo. Secondo uno studio saranno tra 35 e i 40 i senatori eletti che hanno problemi legali o sono parenti di politici detenuti per le loro relazioni con i paramilitari o con il narcotraffico. In una realtà come quella colombiana, dove far politica d’opposizione equivale a “mettersi una lapide al collo” come recita un detto popolare, è quasi una questione di sopravvivenza non toccare temi tabù, quali la natura del conflitto in atto, il terrorismo statale, l’impunità dell’esercito o impegnarsi a fondo nelle mobilitazioni per vere riforme e contro le scandalose ingiustizie sociali. Da qui la sfiducia della gran parte dell’elettorato che o non si avvicina ai seggi (se può) o vende il suo voto per pochi euro. L’oligarchia mafiosa comandava prima del voto e comanderà adesso in attesa di conoscere quale sarà il suo capo. Se Juan Manuel Santos, ministro della Difesa, più o meno la fotocopia di Uribe, senza carisma. O Noemi Sanin, leader dei conservatori e grande opportunista (l’ex ministra e ambasciatrice è passata dal definire Uribe il “capo dei paramilitari” a diventare la sua migliore alleata). Una delle poche note positive è il seggio alla camera per Ivan Cepeda Castro, portavoce del movimento delle vittime dei crimini di Stato (MOVICE) e figlio dell’ultimo senatore comunista ucciso nel 1994. E poi, la relativa affermazione del partito verde che (lasciando nel dimenticatoio Ingrid Betancourt, mal sopportata in patria) potrebbe presentare alle prossime elezioni l’ex sindaco di Bogotà, Antanas Mockus, un politico originale, un po’ fuori dagli schemi. Talvolta la Colombia, paese del realismo magico, ha premiato sorprendentemente personaggi atipici o lontani dalla tradizione politica. E’ difficile però che adesso si compia un miracolo. Molto più probabile, o quasi sicuro, che tutto continui più o meno uguale. Tristemente per i colombiani, stanchi di violenza e di ingiustizie, ma condannati alla violenza e alle ingiustizie.

 


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