Londra: trattare con i talebani per uscire dal pantano afghano

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Se la conferenza dell’Aia aveva cominciato a ipotizzare un dialogo con la parte più moderata dei taleban, quella di Londra si è aperta con questa consapevolezza: o si riesce ad avviare un dialogo o la guerra rischia di essere infinita. L’inviato di Obama, Richard Holbrooke, ha presentato il piano Usa. Due le fasi: reintegrare e riconciliare. Prima dunque si avvierà la fase di reintegro nella società afghana i taliban disposti a deporre le armi e successivamente quella della riconciliazione dei ribelli con il governo del presidente Karzai. Il consiglio del comando dei taliban in un messaggio ha lasciato intendere di non essere particolarmente interessato all’appuntamento: “Ci sono state conferenze in passato – scrivono i taliban – ma nessuna ha risolto i problemi dell’Afghanistan. Sarà lo stesso con la conferenza di Londra”.

Secondo Karzai l’occidente dovrà rimanere in Afghanistan per i prossimi quindici anni, perché per addestrare e equipaggiare le forze di sicurezza afghane sono necessari tra i cinque e i dieci anni, mentre dal punto di vista economico, il paese non sarà in grado di provvedere a se stesso per almeno una quindicina di anni.

La proposta di Kabul prevede un pacchetto di proposte che riguardano tre settori: lavoro, istruzioni e terre e pensioni. Beneficiari di queste iniziative saranno le comunità, i villaggi o gruppi di villaggi dove gli abitanti scelgono di deporre le armi. Da parte sua Karzai si è detto convinto di persuadere i taliban che non hanno legami con al-qaida a deporre le armi, nel rispetto della costituzione. Che dovrà essere anche il framework di riferimento della seconda fase, quella della riconciliazione.

Nel suo intervento il primo ministro inglese Gordon Brown ha invece sottolineato che il trasferimento alle autorità di Kabul della responsabilità della sicurezza inizierà nel 2010. Per Brown la conferenza londinese ha segnato l’inizio di un processo di transizione. Quanto a un possibile dialogo con i taliban moderati, Brown si è detto d’accordo. “Ma quelli che non rinunceranno alla violenza – ha detto – dovranno essere cacciati con la forza. Li batteremo non soltanto sui campi di battaglia ma anche nei cuori e nello spirito”.

 

LONDON AFGHANISTAN CONFERENCE

http://afghanistan.hmg.gov.uk/en/conference/


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LE RIVOLTE NEL MONDO ARABO, UN RICHIAMO ALLA REALTA’

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Leggendo e guardando quanto accade a poche centinaia di chilometri dall’Europa verrebbe da stare un po’ in silenzio. Per ascoltare. I milioni di magrebini e magrebine, arabi e arabe che alzano la loro voce, che mettono i loro corpi a fare fronte a decenni di umiliazioni, miseria e in molti casi di morte, lanciano un messaggio dentro e  fuori i loro paesi. Fuori verso l’Europa e l’Occidente, complici, co responsabili diretti, ostacoli al cambiamento, fino a quando l’ebollizione della rabbia non ha fatto scoperchiare la pentola. Perché quel arroganza, spocchia, perversione delle elites oligarchiche che hanno governato quei paesi tra paternalismo e pugno di ferro, è si eredità autoctona ma anche imitazione del modello di governance che i burattinai occidentali hanno insegnato. Per rimanere in epoche recenti, Bush, Sarkozy, e la pletora di una classe politica europea che non è capace di guardare oltre le indicazioni dei sondaggi, lo hanno ripetuto in diverse salse. Il petroliere texano con la “guerra di civiltà” cosi meschina, bugiarda, genocida che rappresenta una perfetta continuità della impunità dell’ Impero, dalla conquista della America ad oggi. Impunità sulle proprie nefandezze sulle quali si sono costruiti “sogno americano” e l’eurocentrica idea dell’essere depositari della supremazia civile.   Sarkozy , quello della politica di pulizia etnica contro rom anche “francesi” che ebbe la tracotanza di sbattere in faccia ad una platea attonita a Dakar nel 2007, un discorso di “assoluzione e relativizzazione” dell’ Europa, in particolare della Francia, nella sistematica opera di rapina e genocidio, dell’ Africa.

Quando si dirà e s’insegnerà nelle scuole che le “grandi potenze”, oltreché culla di grandi scienziati e filosofi, di principi umanitari,  sono state le artefici, responsabili dirette ed in dirette dei più grandi genocidi della storia dell’ umanità? Quando si ammetterà che celebrare la nascita di questi stati, fattisi in epoche diverse imperi, significa anche celebrare stermini sui quali queste “grandezze” sono state costruite? Perché questa è stata la storia non raccontata. Come disse lo scrittore basco “il fatto di non essere stati nazione, grande e riconosciuta con un ruolo nel Libro della Storia, ci ha risparmiato dal fare come tutti gli altri, cioè depredare, sequestrare, saccheggiare uccidere”.  Perché è questa l’educazione civica più profonda da trasmettere. Condivisione significa dividere assieme, non “un po’ e anche niente a te e tutto il resto me” che ha segnato la politica di “cooperazione” nord sud, ma anche recentemente ovest est, per esempio in Europa.

Dare chiavi di lettura per formare una coscienza che non si riduca a dire che le “rivolte nel mondo arabo sono state determinate dalla crisi economica e grazie alla possibilità di comunicazione di internet” o che le guerre dimenticate d’Africa sono dovute a “scontri tribali e alla mancanza di democrazia”. Perché quando la realtà emerge la coscienza collettiva occidentale comincia a puzzare. Si può mascherare con domande retoriche di fronte all’evidenza dei fatti come fa il quotidiano conservatore spagnolo El Mundo ammettendo che  “quando soffiano venti di liberta, o un urgano come quello che sta vivendo il medio Oriente, Occidente si colloca ancora una volta nel lato sbagliato della storia. Ci può essere maggiore contraddizione tra il coraggio di questi manifestanti che si scontrano alla tirannia disarmati e la vigliaccheria dei nostri politici? Tra il sacrifico degli uni e la retorica vuota degli altri”. Questo richiamo a un “onore cavalleresco” a principi etici che sono da salotto, toglie l’attenzione dalla questione di fondo, che questa politica dei “nostri politici” non “è vigliacca” è coerente con il sistema “Occidentale” o più precisamente neoliberale globalizzato, quello delle 250 persone che hanno una “ricchezza combinata” pari a quella di 2 miliardi 250 milioni di persone. Non c’è vigliaccheria c’è coerenza limpida, cristallina con un sistema perverso esaltato dall’attuale premier italiano  ma sorretto anche dalla sua opposizione. Chi fu ha lanciare il primo proclama “etnico”sul “emergenza rumena” a metà dello scorso decennio? L’ex segretario del PD Veltroni dal suo scranno di sindaco di Roma. Per rincorrere “la destra” sul terreno della sicurezza, si diceva. In realtà perché parlare sul sistema che genera immigrazione da uno  dei  “prolungamenti economici” italiani qual è la Romania,  significherebbe parlare dei salari da fame che in generale davano le quasi 25000 imprese italiane. Gran parte delle quali provenienti da quel nord est dove il culto della razza padana ha creato la miseria culturale del rifiuto verso “quelli da fuori” fonte della propria ricchezza economica.

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