COLOMBIA: URIBE FINE MANDATO

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La Corte Costituzionale della Colombia ha respinto la richiesta del presidente Alvaro Uribe di promuovere un referendum sulla riforma della Costuzione che gli permetterebbe poter prolungare il mandato presidenziale per gli anni a venire.  Un decisione storica quella della Corte Costituzionale che segna l’inizio della campagna elettorale dove il i partiti “uribisti dovranno trovare un sostituto al loro “leader”. Uribe ha goduto in questi otto anni di mandato un controverso ampio consenso dovuta alla sua politica di “sicurezza democratica” basata sul pretesto della lotta senza quartiere alla guerriglia colombiana. In realtà la situazione economica cresciuta con la crisi finanziaria mondiale e soprattutto la violazione sistematica dei diritti umani sono state e caratteristiche reali dei suoi 8 anni di governo. Il 30% dei deputati presenti nel parlamento colombiano sono stati inquisiti per rapporti con i paramilitari e lo scandalo dei “falsi positivi” danno la misura del significato della politica di “sicurezza nazionale” adottata da Uribe. Inoltre la sua politica di alleanza con gli Stati Uniti, ha firmato un accordo con l’amministrazione Obama per la presenza di otto basi militari nel paese, è stato il contrappeso utilizzato dal gigante del nord per contrastare i governi progressisti di Venezuela, Ecuador e Bolivia. Il Polo Democratico Alternativo, la principale forza di opposizione istituzionale colombiana ha detto che la sentenza della Corte Costituzionale “ha salvato la democrazia, o stato sociale di diritto e le liberta democratiche”


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Boris Pahor rifiuta il premio del sindaco di Trieste perchè non cita i crimini fascisti

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Boris Pahor, scrittore triestino sloveno è un fiume in piena. A 97 anni racconta, racconta, senza mai stancarsi, senza mai perdere una volta il filo del ragionamento che ci tiene a fare, per ribadire che il fascismo è iniziato prima della salita al governo di Mussolini. Anche per questo quando lo scorso dicembre il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (Pdl), gli voleva conferire la cittadinanza onoraria, Boris Pahor ha declinato l’invito. Ha ritirato invece quello che gli è stato conferito dall’associazione “Liberi e uguali”.

Cominciamo da qui. Perché ha rifiutato il riconoscimento del sindaco?

Quando ho saputo che volevano darmi un riconoscimento, ho saputo anche che il testo conteneva la mia sofferenza nei campi di concentramento tedeschi. Allora ho scritto al signor sindaco che lo ringraziavo per l’idea, solo che la mia vita non è stata segnata solo dal campo di concentramento tedesco. Prima ancora c’è stata la mia gioventù, segnata drammaticamente dal fascismo. Ho perduto un mucchio di anni perché la lingua slovena era proibita e io non ce l’ho fatta a fare il passaggio dalle elementari slovene alla quinta italiana. E non perché non fossi capace da un punto di vista intellettuale, ma perché non potevo diventare italiano per forza. Il regime voleva che tutta la popolazione risultasse italiana (gli sloveni, noi del Carso e del litorale sloveno, e quelli dell’Istria e della Croazia). Hanno cambiato nomi e cognomi alla gente in maniera che noi di fatto risultassimo spariti. Per farla breve, ho detto al sindaco: “io la avverto prima perché non voglio che lei mi dia il riconoscimento senza nominare il fascismo. Altrimenti lo rifiuterei”. Tutto là, insomma. Poi il sindaco, parlando di questo con i rappresentanti sloveni (qui ci sono due società che si interessano alla nostra cultura, una piuttosto di sinistra, l’altra piuttosto diciamo democratico-cattolica), ha deciso risposto che pretendevo di formulare io la motivazione. ‘A caval donato non si guarda in bocca’, ha detto. Al che non posso che rispondere che se mi avessero dato un cavallo l’avrei accettato, ma non posso accettare che si dica che sono stato in un campo di concentramento tedesco tralasciando la mia gioventù che mi è stata praticamente rovinata, non l’ho avuta io la gioventù.

 

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