Rap, hip hop, undergorund: l’Avana musicale

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La Madriguera è un edificio immerso nel verde, nel parco della Quinta de Los Molinos, la ex residenza del generale Maximo Gomez, eroe delle guerre di indipendenza. Si trova all’angolo tra Calzada de l’Infanta e Avenue Salvador Allende, nel Vedado, cuore pulsante della cultura avanera. E’ questo uno dei luoghi dell’hip hop cubano. Perché la Madriguera è anche la sede dell’associazione Hermanos Saiz che insieme all’Agencia Cubana de Rap, promuove la musica rap nell’isola rivoluzionaria. Non è stato facile convincere il governo di Fidel Castro che questa nuova musica poteva inserirsi nella naturale evoluzione del percorso rivoluzionario. C’è voluta una certa costanza e anche l’impegno di molti musicisti più tradizionali per far arrivare a dire al lider maximo che l’hip hop è l’avanguardia della rivoluzione. E narra la leggenda che a una partita di baseball Fidel abbia anche provato a rappare.

Comunque il placet del governo rivoluzionario ha significato per i giovani raperos una maggior elasticità e l’apertura di nuovi spazi dedicati alla promozione e diffusione della musica hip hop.

La Madriguera è uno di questi luoghi ormai riconosciuti come ‘casa’ dell’hip hop, in versione cubana, il reggaeton. E non solo, come racconta uno degli animatori del luogo che è molto centro sociale anche nella sua gestione. “La Madriguera esiste da 25 anni – dice Livan Espinosa – è un luogo forte di resistenza dell’arte giovane. E’ stata creata da un gruppo di artisti che appartenevano alla cosiddetta generazione de los topos, la generazione dei topi. La Madriguera è la casa dei topi. Di quella generazione facevano parte artisti, scrittori, musicisti, trovadores oggi molto riconosciuti a Cuba, come Gerardo Alfonso, Pablo Manengue”. La Madriguera è anche la sede provinciale dell’Avana dell’associazione culturale Hermanos Saiz. “L’associazione – dice ancora Livan – in tutto il paese promuove lo scenario dei raperos di cuba, a parte essere una istituzione dello stato è una casa, e mantiene lo spirito di una casa, per i raperos, pittori, artisti che passano di qui per presentare un progetto o per conversare, o per scambiare idee”. El Topo è il nome scelto dalla casa di produzione discografica che ha inciso il disco dei Cuentas Claras e prima una compilation, Apuntalados.

Sull’hip hop cubano di cose da dire ce ne sono molte. Perché non è il ‘classico’ hip hop. “Qui – dice Livan – la musica rap assume connotati diversi. L’hip hop cubano è molto vario nella parte concettuale. Non ha solo un’attitudine di protesta. E’ critica sì, ma critica non significa solo critica distruttiva. Qui ci sono tanti raperos che criticano ma propongono soluzioni, invitano a trovare nuovi percorsi. I raperos qui a Cuba sono molto preoccupati dell’essere umano, hanno un interesse particolare per le relazioni tra persone. Non tutto il rap è ribelle senza causa”. Forse questo interesse particolare per i rapporti interpersonali è dovuto anche al fatto che c’è sempre stata una presenza consistente di donne raperas. Anche se per la verità oggi è in fase calante. Lo conferma Livan che dice che “fino a qualche tempo fa le donne raperas erano una presenza importante. Anzi le donne erano presenti in tutta la scena underground, audiovisiva, nel cinema, musica, arte, nella promozione, nella ricerca. Le donne continuano a essere molto coinvolte a tutti i livelli e in tutti gli ambienti artistici. Nel rap c’è stato – conclude – un calo. Ci sono raperas cubane ma fuori di Cuba”.

Che la presenza femminile, in un genere – quello rap – molto macho e in una società – quella cubana – parecchio machista, sia comunque importante lo dimostra l’ultimo numero della rivista Movimiento, dedicato alle mujeres en el hip hop. Movimiento è la rivista quadrimestrale (a volte, se c’è la possibilità, cioè la carta e i soldi, trimestrale) dell’Agencia Cubana de Rap. Roberto Rossell, lui stesso rapero, è il coordinatore della rivista. “L’Agencia – dice – fin dalla sua nascita, nel settembre 2002, ha sempre avuto un occhio di riguardo alle questioni di genere. Perché l’hip hop è una musica machista e perché la società cubana è una società machista. Anche grazie attraverso a progetti comunitari che hanno lavorato sul genere per decostruire l’agire in negativo nei confronti delle donne, siamo riusciti credo a rovesciare un po’ quello che era l’aspetto più macho del rap”.

“Eri bella essendo te stessa, ebano in fiore, luce nera. Eri bella essendo te stessa, il corpo non è la tua unica virtù. Eri bella essendo te stesso, l’intelligenza è la tua virtù”, cantano Las Krudas, una delle formazioni rap al femminile più interessante dell’Avana. Anche loro nel 2005 entrarono a far parte del progetto Omega (Q-Light), otto donne, musiciste, che hanno portato e denunciato le contraddizioni del rap machista al centro della scena. Oggi quell’esperienza continua con Nono e Yari, due giovani agguerrite e molto attive. “Se ci troviamo davanti – dice Nono – raperos con testi machisti, di razzismo di genere, la maggior parte delle volte chiediamo di incontrarli e gli cominciano a porre una serie di questioni: perché vuoi cantare questo testo? Non puoi usare altri termini? Insomma ci diamo da fare per arrivare, attraverso il dialogo anche acceso, a fargli cambiare idea o comunque a fargli vedere le cose da un altro punto di vista”. Nono e Yari cantano soprattutto dell’essere donna nera a Cuba.  “Essendo nere – dice Yari – dobbiamo confrontarci con una doppia discriminazione, l’essere donna e l’essere nera, appunto”.

La questione del genere è stata affrontata in questi anni anche nel Simposio sull’hip hop, organizzato dal progetto La Fabrika di cui Roberto Rossell fa parte. “Il simposio – dice – parla di musica ma anche di questioni sociali. Abbiamo un progetto con i detenuti per esempio e poi nei quartieri più difficili, come Alamar a L’Avana”. Alamar è anche il quartiere dove si tiene il festival hip hop. Uno dei contributi più forti all’accettazione dell’hip hop anche da parte dell’establishment è venuto da un’altra donna, Nahanda Abioudun, una delle diverse Black Panthers che a Cuba hanno trovato asilo politico. “Oh, – dice Rossell – il contributo delle Pantere Nere è stato fondamentale, un’ispirazione. Nahanda e Assata Shakur (l’altra Pantera rifugiata a Cuba) ci hanno aiutato e sostenuto dando un contributo anche politico alla scena hip hop cubana. E poi – dice Rossell – c’è stato il contributo di Harry Bellafonte, che ha parlato molto con il ministro della cultura e con lo stesso comandante in capo, Fidel, sostenendo il fatto che l’hip hop portava avanti un discorso molto importante e in linea con lo sviluppo del progetto rivoluzionario”.

Va detto che soltanto nel ’99 c’erano almeno 200 gruppi di rap a Cuba (oggi sono almeno 800) e sono lievitati i festival e i concorsi, non soltanto a L’Avana. La musica tradizionale è entrata nel rap con i trovadores. Perché in fondo i raperos non sono altro che i trovadores di questi anni. E questo vale ovunque, i cantastorie di allora sono i rapper di oggi. Anche questi come quelli raccontano la vita, la quotidianità, i problemi e le relazioni. E se la nueva trova era il prodotto della rivoluzione con punte alte di recupero della tradizione dei trovadores ma anche di impegno sociale e politico, i raperos di oggi fanno della critica costruttiva la loro bandiera.


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