LIBERI I TRE OPERATORI DI EMERGENCY

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Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani, fino a questa mattina, domenica, detenuti presso una struttura dei servizi di sicurezza afgani alla periferia della capitale, sono stati trasferiti all’ambasciata d’Italia a Kabul.

Ha retto poche ore la ‘bufala’ della confessione che avrebbe incastrato i tre operatori di Emergency arrestati sabato a Lashkar Gah, in Afghanistan, all’interno dell’ospedale dell’ong italiana.

Poche ore, il tempo di riuscire (cosa non facile) a contattare direttamente il portavoce del governatore (lo stesso governatore che gli italiani avrebbero tramato di uccidere, secondo le accuse). Daoud Ahmadi, citato dal Times di Londra come il funzionario afghano che aveva confermato le ‘confessioni’ degli italiani, ha detto, al Giornale di non aver mai pronunciato le frasi virgolettate che appaiono sul Times. Di più, al corrispondente Fausto Biloslavo, ha ribadito di non aver “mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con Al Qaida. Ho solo detto sabato (come riportato dal Giornale) che Marco (il chirurgo dell’ong fermato nda) stava collaborando e rispondendo alle domande».

Ci sono aspetti inquietanti in tutta la vicenda. Ma partiamo dai fatti. Sabato scorso tre operatori della ong italiana Emergency vengono arrestati in un blitz condotto nell’ospedale dell’organizzazione a Lashkar Gar. Da Milano, sede centrale di Emergency, rimbalza immediatamente la notizia e il fondatore della ong, il chirurgo Gino Strada, denuncia che al blitz hanno partecipato sia forze di sicurezza afghana che forze internazionali della missione Isaf/Nato. In particolare si parla di militari inglesi. Immediata arriva la smentita del comando Isaf: nessun nostro uomo è stato coinvolto nel blitz. E’ la prima grande e inquietante ‘bufala’. Passano poche ore e viene trasmesso un video del blitz girato dalla Associated Press, che sconfessa la Isaf. Ci sono soldati britannici all’interno dell’ospedale assieme ai militari afghani. Passa ancora qualche ora e il comando Sitaf è costretto ad ammettere la presenza di uomini della coalizione nel blitz. Intanto però in Italia è un balletto vergognoso di dichiarazioni di esponenti del governo Berlusconi. Inizia il ministro degli esteri Franco Frattini che dice di «pregare con tutto il cuore da italiano che le accuse rivolte a Emergency non siano vere, perché l’idea che possano esserci degli italiani per i quali anche una parte di quelle accuse siano vere, mi fa rabbrividire. Bisogna accertare la verità. La confessione è da verificare». Il titolare della Fernesina, poi, ha chiamato al telefono Zalmay Rassoul, la controparte afghana. Ex medico e consigliere del defunto Zahir Shah, il ministro degli esteri afghano ha vissuto a lungo in esilio a Roma. E qui entrano in gioco dinamiche tutte afghane. Da tempo Rassoul non ama gli inglesi e ultimamente è in rotta con gli americani. Non solo: il governatore di Helmand, Gulab Mangal, presunto obiettivo del complotto, non gli va a genio. Da un po’ voleva mettere al suo posto un fedelissimo, Sheer Mohammed, ma gli inglesi hanno fatto muro, perché lo accusano di essere coinvolto nel traffico di oppio.

Sulla stessa lunghezza d’onda di Frattini si pronuncia il sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica. Si dice “perplesso” sul fatto “che la verità dia ragione a Gino Strada” e sostiene che l’ong fa “troppa politica”. Ancora più pesanti le affermazioni del ministro della difesa, il neo fascista Ignazio La Russa. “Strada – dice – dovrebbe essere più prudente nel difendere a spada tratta i suoi. Se il governo afghano avesse voluto chiudere gli ospedali di Emergency – aggiunge – avrebbe potuto trovare altre scuse, anche una banale questione amministrativa. Non avrebbero arrestato tutte quelle persone. Di fronte ai sospetti, confermati dalle armi trovate all’interno dell’ospedale, le autorità di polizia non potevano aspettare che si compisse l’attentato».

Insomma da una parte il governo felice di ‘bersi’ la notizia della confessione dei tre italiani, dall’altra Emergency. Una ong atipica nel panorama italiano ma anche internazionale. Dal 1999 a oggi  ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

«Quello che è successo è solo una intimidazione contro Emergency. – dice il fondatore della ong, Gino Strada – L’ennesimo attacco che subiamo. La nostra neutralità dà fastidio a troppi. Abbiamo denunciato più volte il clima in Afghanistan. Dalle operazioni militari che colpiscono in modo indiscriminato i civili, allo strapotere e alle connivenze delle autorità locali, spesso composte da narcotrafficanti che non tollerano il lavoro di Emergency, coperte e protette dagli eserciti occidentali». Si è discusso tanto del ruolo delle ong e delle organizzazioni umanitarie di fronte alle guerre, soprattutto quelle post 11 settembre. E’ chiaro che la ricostruzione è un business. E per ricostruzione si intende sia quella delle infrastrutture che quella della possibilità di vivere di molte persone. Ci sono ong che hanno fatto la scelta di accettare i soldi della cooperazione messi a disposizione del governo italiano, cioè di uno dei protagonisti della distruzione, in Iraq come in Afghanistan. C’è chi, come Emergency, ha rifiutato quei soldi, perché si sentirebbe ‘complice’ di quella distruzione, quella sofferenza che si ripropone di alleviare. Gino Strada e la sua ong sono ‘scomodi’, perché non rientrano nella schiera di ong ‘funzionali’ (involontariamente, ma il gioco della guerra è perverso) alla politica della guerra permanente.

C’è poi un secondo aspetto di questa vicenda che riguarda il coinvolgimento di forze Isaf. Non è un caso che il Times, uno dei più importanti quotidiani britannici, abbia pubblicato la notizia delle ‘confessioni’ degli italiani. Il Times ha bypassato la smentita del coinvolgimento di forze Isaf, puntando subito al sodo: il blitz all’ospedale di Emergency ha sventato un attentato contro il governatore Mangal.

A Lashkar Gah le truppe britanniche hanno la grande base di Camp Bastion. A Londra a gennaio si è svolta la conferenza sull’Afghanistan. Un tentativo di trovare una via d’uscita dal pantano afghano. Se la precendente conferenza dell’Aia aveva cominciato a ipotizzare un dialogo con la parte più moderata dei taliban, quella di Londra si è aperta con questa consapevolezza: o si riesce ad avviare un dialogo o la guerra rischia di essere infinita. L’inviato di Obama, Richard Holbrooke, ha presentato il piano Usa. Due le fasi: reintegrare e riconciliare. Prima dunque si avvierà la fase di reintegro nella società afghana i taliban disposti a deporre le armi e successivamente quella della riconciliazione dei ribelli con il governo del presidente Karzai. Una proposta, quella della ‘reintegrazione’ subito sposata dal premier inglese Gordon Brown, in caduta libera quanto a popolarità e con le elezioni alle porte (si vota il 6 maggio). Ma fin qui non c’è stato alcun progresso rispetto alle conclusioni della conferenza. Anzi, la reintegrazione si è cercata promettendo soldi ai talibani che avrebbero rinunciato alla violenza. Per Brown (come per Berlusconi) questa operazione contro Emergency è un problema non da poco.

 


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