GERGER: MANO USA NELLA “TURCHIA SECONDO ERDOGAN”

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Ankara. Haluk Gerger è docente di scienze politiche e scrittore. Lo incontriamo al termine del summit dello YAS (il consiglio militare supremo).

Che cosa pensa del risultato di questo meeting?

Fa parte della ‘lotta di potere’ in atto tra sezioni della classe dominante. Da una parte ci sono i nazionalisti posizionati attorno e sotto la leadership delle Forze Armate (Genel Kurmay). Dall’altra ci sono i liberali in tutte le loro varianti. Rappresentano una nuova sezione all’interno della grande borghesia chiamata “capitale verde” o “tigri anatoliche”. Questo nuovo settore attraverso il suo rappresentante politico, il governo dell’AKP (partito della giustizia e dello sviluppo) vuole liberarsi dalla vecchia “ideologia ufficiale”, che è quella kemalista (del padre della patria, Ataturk), elitaria, statalista. Questo nuovo settore pensa di poter imporre la sua “egemonia di valori” (di gramsciana memoria) appoggiandosi all’Islam, al “conservatorismo dell’Anatolia” e a una sorta di sintesi che definirei “turchismo-ottomanesimo”. Questo gruppo agguerrito ritiene di non aver bisogno di accettare la tutela, la protezione della burocrazia dello stato e dell’esercito. Loro vorrebbero che la borghesia dominasse la burocrazia anziché dividere il potere con essa. In altre parole, vogliono essere soltanto un “normale” sistema capitalista. Così la lotta di potere non ha nulla a che vedere ovviamente con la democrazia, le libertà, la modernizzazione. La burocrazia armata sta avendo da parte sua diversi problemi con l’imperialismo, in particolare sulla questione kurda, ma anche sulle influenze culturali cosmopolite della globalizzazione, sullo smantellamento di ciò che lo stato controllava e che ora viene divorato dal capitale neoliberista internazionale. La burocrazia armata ha la percezione di essere venduta dall’imperialismo al quale in precedenza (nel vecchio ordine mondiale della Guerra Fredda) era stata così leale.

Anche gli Stati uniti giocano la loro parte in questo re-shaping, rimodellamento turco…

Certo gli Usa stanno aiutando il governo dell’AKP a smantellare il vecchio, desueto e ormai sovra esposto modello della Gladio turca, che viene rimpiazzato per rispondere alle nuove condizioni e soprattutto ai cambiamenti nei rapporti tra classi. In questo senso sembra che abbiamo trovato un qualche tipo di accordo sulla questione kurda. La strategia precedente dello stato era quella della “totale liquidazione del problema attraverso la violenza”, un’impostazione nazionalista-kemalista. Ma non ha funzionato. O comunque qualcuno nella coalizione di governo lo ha pensato. Non ora. La cosa è iniziata con il vecchio presidente Turgut Ozal. Ora con l’aiuto attivo del presidente americano Obama, la coalizione liberista dell’AKP ha provato la sua ‘açilim’, la cosiddetta iniziativa democratica che ha inaugurato una nuova fase, che definirei della liquidazione liberista. In altre parole, liquidare con la violenza l’ala militare del PKK. Quindi passare al sostegno della violenza ma attraverso una fase di finte riforme per arrivare alla liquidazione, all’eliminazione dell’ala politica. E quindi dell’intera questione. Mi pare però che siamo tornati alla fase dell’eliminazione con la violenza di tutto ciò che è la questione kurda.

Torniamo ai rapporti di forza tra governo e militari. Come vi entra l’Europa?

L’Europa non vuole che la forza e le funzioni delle forze armate turche siano soltanto in mano degli Stati uniti. Così l’Unione europea usa la prospettiva di una ‘candidatura’ per la UE come un nodo per tenere la Turchia legata a sé o comunque nell’orbita europea. Nel frattempo, imponendo funzioni militari di tipo Guerra Fredda e un capitalismo liberista selvaggio ancorato a Maastricht, l’Unione europea sta distruggendo consapevolmente ogni speranza di democratizzazione e quindi di relativo benessere per le masse. Il militarismo imposto e lo strangolamento economico risultano in un crescente establishment militare, valori militari, spese militari esorbitanti, e per contro crescita esponenziale della povertà e del malcontento nei lavoratori. Il che fa sì che chi governa abbia timore della sua stessa gente, della democrazia con la conseguenza che ricorre a ulteriore repressione. In altre parole, la politica dell’Unione europea a mio avviso produce più militarismo e meno democrazia e naturalmente meno stato sociale.

Il 12 settembre ci sarà il referendum per emendare la Costituzione dei militari.
Anche il referendum fa parte della lotta di potere in atto. L’AKP e i liberisti vogliono conquistare la magistratura, le università, le scuole. L’altra parte vuole mantenere lo status quo istituzionale. Siamo di fronte a una guerra di trincea. Credo che in questo momento Erdogan e il governo abbiano il coltello dalla parte del manico. L’esito del meeting del Consiglio Militare Supremo ha segnato una vittoria psicologica per il primo ministro e i suoi nei confronti dell’esercito. E questo credo giocherà in favore del sì al referendum.

 


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