PRIGIONIERI POLITICI DI SERIE B – Angelo Miotto
Peacereporter. I dissidenti cubani che viaggiano alla volta della Spagna sono un risultato diplomatico. Ma non solo spagnolo. Quello che molti organi di informazione fanno passare come la vittoria di ciò che è giusto e che riguarda la libertà di espressione (non si va mai troppo in profondità per non scomodare troppo le coscienze), è in realtà il frutto di un accordo calcolato in cui i ‘dissidenti’ sono mera merce di scambio politico. Di romantico c’è assai poco, per non dire nulla, di politico c’è una svolta importante e foriera di altri passaggi che saranno storici.
Ma per chi cavalca la scia di una vittoria su uno dei ‘regimi del Male’ si pone ora una scottante domanda. Tutta politica. I diritti umani sono diritti universali, oppure riguardano solo latitudini predefinite?
Sfogliando le pagine dei rapporti annuali di Amnesty international, o andandosi a leggere i rapporti dei relatori speciali delle Nazioni unite che hanno viaggiato nei Paesi baschi, si legge sempre la stessa cosa: in Spagna si tortura, ci sono delle limitazioni delle espressioni politiche. Avallate, incredibile e straordinaria sentenza, dalla Corte dei diritti di Strasburgo, quando ha spiegato che, anche se lede la libertà di espressione, si possono mettere fuori legge dei partiti quando uno Stato ritenga che vi siano condizioni di grande allarme sociale e sicurezza nazionale.
Alla faccia del diritto universale, che diviene soggetto ai venti e alle politiche di periodo.
Fa una certa impresisone vedere il ministro degli esteri di Madrid che torna vittorioso dall’Isola.
C’è un paradosso evidente che non riguarda comparazioni sbagliate fra il governo cubano e quello spagnolo – impossibile e improponibile -, ma sui fatti, sulle denunce di tortura, sulle limitazioni di espressione di cittadini e movimenti. I prigionieri politici baschi – categoria negata dai politici spagnoli tanto quanto i politici cubani negano quella dei prigionieri politici cubani – sono tutti dei terroristi, si dice a Madrid. Eppure negli ultimi tredici anni, in maniera significativa, le prigioni spagnole si sono farcite di indipendentisti che non hanno commesso crimini, non si sono macchiati di reati di sangue, non avevano armi, non sono considerati reponsabili di violenza diretta. Si è tornati alla persecuzione non di un comportamento di un singolo, ma di una reponsabilità collettiva. Quella, cioè, di essere indipendentisti e di sinistra. Le storie le abbiamo raccontate. Ricordiamone una su tutte, quella di Teresa Toda, giornalista in carcere per aver fatto la giornalista. E così le parole del bravo giornalista Inaki Iriondo sul quotidiano Gara calzano a pennello.
Il prossimo giovedì nelle aule dell’Audiencia Nacional inizierà il processo contro 22 sindaci e consiglieri comunali accusati di ‘integrazione a banda terrorista’.
Le richieste dell’accusa vanno dai 10 ai 15 anni di carcere. Andate a rillegervi i loro curriculum. Si può davvero dire che sono dei terroristi?
Se fossero dei dissidenti cubani li chiamerebbero ‘prigionieri politici’ in prima pagina. E che dire dei 37 detenuti per il maxiprocesso 18/98? Fra di loro ci sono i responsabili di Egin( il quotidiano chiuso dal giudice Garzon nel 1998. Il processo si è chiuso dicendo che quella chiusura era infondata ndr). Se fossero cubani li chiamerebbero ‘giornalisti indipendenti’. O, addirittura, ‘eroi della libertà di espressione’. Ci sono più di 75 prigionieri accusati di appartenere a Jarrai, Haika o Segi, ai quali non vengono imputati fatti di sangue, ma solo di essere parte di queste organizzazioni giovanili. Non c’è a loro carico nemmeno una prova di aver lanciato bombe molotov, o di aver realizzato qualsiasi tipo di violenza. Se si trovassero in un carcere cubano sarebbero ‘giovani ribelli’, per la stampa spagnola. E cosa dire delle decine di dirigenti prigionieri politici di Batasuna, processati per aver fatto politica. Se Arnaldo Otegi fosse un dissidente cubano, ci sarebbero delle organizzazioni che chiederebbero per lui il Premio Príncipe de Asturias de la Concordia.
Se non vogliono ammettere che i membri di Eta sono prigionieri politici, si limitino a raggruppare tutti gli indipendentisti baschi che sono in carcere senza mai essere entrati nell’organizzazione armata e facciano bene i conti. Chissà che la Chiesa cattolica debba cominciare a mediare con il governo spagnolo.
Se non fosse cosa seria, ci sarebbe da divertirsi a prefigurare l’intervento dei porporati, magari cubani, in Spagna per liberare la ‘dissidenza’ basca ( notate che Iriondo non parla dei prigionieri politici dell’organizzazione armata, il distinguo è da sottolineare). O un bel blog su autorevoli quotidiani italiani, firmato tutti i giorni da Arnaldo Otegi.
Il rispetto dei diritti universali, si basa, appunto, sulla parola universali. È un problema di coerenza. Oppure meglio scriverlo: i diritti universali non esistono. Se non quando fanno comodo ai disegni strategici della politica nazionale e internazionale.
http://it.peacereporter.net/articolo/23007/Prigionieri+politici+di+serie+B
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