I CULTORI DEL “WATERBOARDING”, LA TORTURA DEMOCRATICA

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Con la “bolsa”, un sacchetto di plastica chiuso sulla testa, o la “bañera”, immergere la testa del prigioniero in una vasca piena d’acqua,  “l’inferno della morte che non arriva mai”, lo hanno vissuto in tanti raccontando di quei dottori che, stuprando il giuramento di  Ippocrate, controllavano che il detenuto “non se ne andasse”. E’ una tortura che non lascia segni giusta per una democrazia che dell’immagine fa un principio fondante.  Qualcuno però non ce l’ha fatta. Mikel Zabaltza è uno di questi. Giovane autista d’autobus incappò in una operazione della Guardia Civil in quel novembre del 1985 dopo un attentato di ETA a San Sebastian. Lui, navarro di Orbaizeta con ETA non c’entrava nulla. Ma era basco, giovane, e portava la barba, calzava il profilo del manicheo decalogo “antiterrorista”  denominato Plan Zen, pensato in epoca Suarez e applicato in quella Gonzales.. Zabaltza la sua compagna Idoia ed altri passarono alcuni giorni, dei dieci che prevedeva la legge antiterrorismo, nelle mani della Guardia Civil di Intxaurrondo, chiamato giustamente Fort Apache (covo di paranoici perversi, come si dedurrà tra l’altro da sentenze giudiziarie) comandato dall’allora colonnello, ora generale, Rodriguez Galindo (condannato a 75 anni di carcere, ne ha scontati tre e poi fuori, per la “scomparsa” dei due rifugiati baschi Lasa e Zabala ritrovati morti interrati nel 1995).  Gli altri uscirono da quell’inferno Zabaltza no. Torturato – “sentivamo le sue urla” dissero la sua compagna e gli altri sopravissuti – picchiato e immerso nella banera, di lui per alcuni giorni non si seppe più nulla. Poi il corpo di Zabaltza venne ritrovato ancora ammanettato nel fiume Bidasoa.. “Voleva fuggire” dissero la Guardia Civil e il Ministro degli Interni Barrionuevo. E la cosa fini là. In Euskal Herria tutti sanno che “Mikel lo mataron” ma a Madrid vige l’omertoso silenzio e l’impunità. Prima di Mikel, Joseba, poi Gurutze e Xabier: anche loro dall’inferno non sono usciti.

Ma si sa i difensori della democrazia  devono scendere nelle fogne come ebbe a dire Felipe Gonzales e ci ricorda ora Leon Panetta.  “Y a ellos se los tragó el asfalto. Si se los hubiera tragado la tierra, los habría vomitado” (E loro se li ingoiò l’asfalto. Se li avesse ingoiati la terra li avrebbe vomitati”


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GIUSTIZIA SPAGNOLA E LA QUESTIONE BASCA

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Intellettuali e opinionisti spagnoli hanno ripetuto in questi decenni l’idea che il progetto politico spagnolo non avesse la legittimità sufficiente nel Paese basco era una considerazione “inventata” patrimonio di “un nazionalismo radicale anacronistico”. Eppure sia nei principi fondamentali della Costituzione spagnola, l’art. 8 , ruolo dell’ esercito, sia nella politica adottata in questi decenni l’ipotesi che ci si trovasse dinnanzi ad un “nemico interno” molto più esteso che una “organizzazione terrorista” ha trovato ripetute conferme. 

JOSU MARTINEZ

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