LA “SALVEZZA” DEI PAESI INDEBITATI – Gara.

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Le reazioni provocate, la settimana scorsa, dall’annuncio del referendum in Grecia sul secondo piano di riscatto può aprire un dibattito fino ad ora circoscritto. Sia i principali organismi economici mondiali come i grandi gruppi mediatici danno ad intendere che la Grecia non aveva altra opzione che accettare l’accordo del Consiglio Europeo dello scorso 27 ottobre , anche se questo comporta per il paese nuovi e dolorosi tagli, e trasmettono la sensazione che realizzare il referendum era poco meno che una pazzia.

Il referendum, il cui annuncio fece tremare la zona euro e  i mercati finanziari alla vigilia ella riunione del G 20, era l’opzione più democratica, qualunque fosse il suo risultato, però venne presentata come sinonimo di perdizione per il paese, in tal modo che la decisione del Governo di fare marcia indietro avrebbe salvato il paese “da una brutta decisione” che lo avrebbe portato al disastro, quando si trattava di decidere tra il riscatto o il probabile fallimento. Eppure, ci sono stati paesi come recentemente l’ Islanda – attraverso un referendum – che hanno rifiutato le ricette imposte dal FMI, la UE, o la Banca Centrale Europea, e lo hanno fatto proprio per uscire da una situazione di debito impagabile che in qualsiasi caso comportava grandi sacrifici per la sua popolazione. L’esempio della Argentina è recente e chiaro. Dopo aver smesso di pagare il suo debito gli era stata pronosticata la depressione e l’isolamento economico, però la sua evoluzione è andata proprio in senso opposto.

Quanto successo la scorsa settimana rispetto al debito greco è una chiara dimostrazione della immoralità del modello neoliberale, basato sulla speculazione finanziaria che sottopone gli stati ad un enorme ricatto consistente nell’impossibilità di lasciare crollare il sistema finanziario per evitare di “affondare tutti”. Dall’ inizio della crisi, il settore finanziario ha ricevuto in un aiuti pubblici 4,6 miliardi di euro, mentre ai paesi  sono stati imposti sempre maggiori tagli alle spese sociali, cioè, più precarietà nel lavoro, smantellamento dei servizi pubblici e, in definitiva, più povertà per la maggioranza della popolazione.

Fonte: http://gara.net/paperezkoa/20111107/301796/es/La-salvacion-paises-endeudados


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GASTEIZ, 3 MARZO 1976 – DERRY, BLOODY SUNDAY 1972

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Iker Bizkarguenaga. Gara. Tony Doherty e Toni Gillespie caminano per la via Fermin Lausen assieme a Andoni Txasko e altri membri di Martxoak 3 Elkartea. Il primo è figlio di Patrick Doherty, una della quattordici vittime mortali del “Bloody Sunday”: fu colpito alle spalle mentre cercava rifugio. Aveva 31 anni. Dieci anni in più aveva Bernard McGuigan, che fu colpito alla testa quando, fazzoletto bianco in mano, uscì per andare ad aiutare Doherty, in una delle sequenze più drammatiche e conosciute del massacro di Derry.

Poco dopo si uniscono al gruppo il padre e una sorella di Romualdo Barroso e un fratello di Pedro Martinez Ocio, due delle cinque vittime del 3 marzo. Doherty e Gillespie – promotori del “Blody Sunday Justice Campaign”- ascoltano attentamente le spiegazioni di un membro del Martxoak 3 Elkartea che contestualizza il momento politico nel quale si verificarono i fatti del 3 marzo 1976. Spiega cosa avvenne in quel 1975, gli stati di eccezione e le mobilitazioni convocate dopo la morte, per mano della Guarda Civil, di Jesus Martinez Markiegi, Motri, e di Blanca Salegui e Inaki Garai il 15 maggio dello stesso anno. Fu per quell’episodio che ci fu la prima grande protesta nel quartiere di Zamarraga di Gasteiz (Vitoria)

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