APPOGGIO ALLA ECOLOGIA PARTECIPATIVA

 

Il referendum indetto dalla giunta comunale basca di Usurbil, 5000 abitanti nella provincia della Guipuzkoa (provincia di San Sebastian), 5000  ha avuto una partecipazione del 70% e i favorevoli al sistema di raccolta differenziata dei rifiuti “porta a porta” ha ottenuto il 56% dei voti. Il referendum era stato indetto dalla amministrazione comunale, guidata da ANV della sinistra indipendentista, dopo che un ‘anno fa era stato introdotto il sistema “porta a porta” . Il metodo ha dato risultati altamente positivi riducendo i rifiuti non riciclabili a un 15 %.  Il sindaco della cittadina basca, Xabier Mikel Errekondo ha accolto il risultato con entusiasmo affermando che la “speranza” arriva attraverso il “porta a porta”. “La speranza per superare le discariche inquinanti e la speranza per arrivare ad un accordo al fine di stabilire una moratoria di sei anni nel programma di incenerimento che pretende mettre in atto la Diputacion (provincia).” E’ questo uno degli obiettivi della iniziativa del municipio basco che verrà seguita nei prossimi mesi dal altri due municipi, Hernani (20 mila abitanti) ed Oyartzun (10 mila abitanti) governati dalla sinistra indipendentista. Il referendum aveva mobilitato i mezzi d’informazione e aveva portato il presidente di Greenpeace Spagna, Juantxo Lopez de Uralde ad avvallare l’iniziativa di Usurbil, chiedendo l’estensione del metodo ad altri municipi come alternativa all’inceneritore. Di diverso avviso sono i partiti a guida della Diputacion della Guipuzcoa che hanno programmato la costruzione di un mega inceneritore a Zubieta, una ventina di chilometri da San Sebastian. Le forze politiche e sociali che hanno chiesto di sottoporre a referendum questa decisione hanno trovato la ferma opposizione della Diputacion. Il metodo “porta a porta” non è una novità. tanto che paesi del nord Europa e la stessa Italia hanno da anni registrato l’applicazione di questo metodo con modalità diverse. In Italia sono circa 16 i cittadini interessati da questa metodologia che comporta una cambio di abitudini dei cittadini poiché c’è un coinvolgimento diretto nella raccolta differenziata. E’ comunque un segnale forte quello di Usurbil. Testimonia la necessita sia di accordi globali da parte degli Stati per modificare le scelte economiche e di modello di sviluppo, che però fino ad ora come si è visto nella recente conferenza di Copenaghen sono lettera morta, sia da parte di ogni cittadino e cittadina attraverso un impegno quotidiano.

Per vedere il video sul metodo “porta a porta” ad Usurbil clicca qui


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I fratelli minori – il nuovo libro di Enrico Palandri

E’ uscito in questi giorni per Bompiani “I fratelli minori”, il nuovo romanzo di Enrico Palandri. Veneziano, Palandri ha lasciato l’Italia nel 1980 e dopo il successo di Boccalone (romanzo di una generazione, quella del ’77 ma anche di quella successiva e un po’ precursore come sostiene qualcuno del concetto di moltitudine negriana). Nei suoi libri come nella sua biografia personale si incrociano ricerca e un lavoro intenso sul sé, sulle relazioni fra persone, sull’andare e venire, sullo stare abbastanza bene ovunque ma mai benissimo in alcun posto. I fratelli minori è un po’ la conclusione di questo percorso di ricerca. Una fine dove trionfano le persone, e soprattutto le persone implicate le une nelle altre. La storia è su due livelli temporali, gli anni ’70 e gli anni 2000. I due fratelli Martha e Julian (un po’ inglesi e un po’ italiani) figli di un famoso cantante d’opera veneziano, scelgono l’una di cambiare identità per evitare il peso del padre (anche Martha vuole cantare opera) e l’altro – il fratello minore – cercherà tutta la vita di ‘evitare’ gli altri. Il ’77 e l’Italia degli anni di piombo entrano nel personaggio di Giovanni (fidanzato di Martha). Ma è il ragionare sull’identità, sull’esilio, sugli altri il cuore del libro. Perché sono le questioni con cui si dibatte Palandri da anni. “Ho iniziato questo libro – dice lo scrittore – diversi anni fa. Mi sono accorto che avevo scritto più o meno con la stessa voce, rivolgendomi a un nucleo di temi abbastanza simili tra di loro fin da un altro mio libro, “Le pietre e il sale. Voglio che il romanzo sia autonomo, – aggiunge – però per me è un po’ la conclusione di un percorso cominciato per me quando sono andato in Inghilterra nel 1980”.

Andare in un luogo diverso ha permesso anche di continuare a ragionare su quanto accaduto nel tuo passato, negli anni ’70.

Sì. I miei sono libri che hanno a che fare con lo spatrio, il fallimento degli anni ’70, il superamento di questo fallimento. Ma non come il superamento proposto in Italia, cioè sostanzialmente con la figura del pentimento e del ravvedimento. Io non mi sono né pentito né ravveduto, io mi sono continuato. Credo che il pentimento sia una brutta figura perché tende a nascondere il percorso che hai fatto, tenta di rinascere non sulla storia ma su un altro piano. E di questo non mi fido. Non che l’altro piano non esista, la metafisica è sempre qualcosa che accompagna ed è parallela. Ma non credo che si possa uscire dalla storia per andare nella metafisica. Per questo il pentimento come pura morale che si oppone a ciò che hanno prodotto le circostanze, le classi sociali, i conflitti, non mi interessa. Purtroppo questa è stata la figura con cui si sono chiusi gli anni ’70. Io penso che noi siamo stati sostanzialmente la prima generazione che usciva da Yalta, non solo in Italia, in Inghilterra e siamo stati bloccati dal compromesso storico, cioè dai custodi di Yalta, il partito comunista e la Democrazia cristiana che erano i custodi dell’accordo siglato nel secondo dopoguerra. Sia da destra che da sinistra hanno visto nei movimenti qualcosa di inaccettabile perché andava da un’altra parte, anche se era la stessa cosa che accadeva in Inghilterra, in Francia, in America. Ma qui è stato tutto legato alla storia del terrorismo che invece era un fatto minore, legato molto alla storia del comunismo e non dei movimenti, in cui si poteva passare dai movimenti ma per disperazione, per sfiducia nella società, nella possibilità di cambiare, di essere nella società. Nel terrorismo c’era proprio quell’atto disperato che ho cercato, nel libro, di rendere nel personaggio di Giovanni. Non voglio dire nulla in generale sul terrorismo, ma ho cercato di avvicinarmi alle motivazioni del fallimento personale, di esposizione alla differenza sociale che è un tema che ricorre un po’ in tutto in libro. Mi è interessato molto analizzare come i personaggi che ho costruito sentono la propria condizione sociale e quella degli altri e come questi cambiamenti di status hanno un effetto profondo nella vita sentimentale, quando pensano di innamorarsi, nei revanscismi, in quello che si trascinano. C’è come una storia sociale privata che è una specie di biografia del singolo.

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