Italia, il ritorno delle privatizzazioni
Peacereporter. Cora Ranci. Incurante del risultato del referendum del giugno scorso, la manovra economica spalanca le porte alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. “Incostituzionale” secondo Emilio Molinari
Il quesito più votato ai referendum del 12 e 13 giugno scorso è stato quello sulla privatizzazione dell’acqua. Ma quella scheda era composta da due parti. E la prima non riguardava solo l’acqua, ma in generale le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Vale a dire che, appena due mesi fa, 27 milioni di italiani si sono recati alle urne esprimendosi contro la privatizzazione di qualsiasi servizio pubblico locale.
Ebbene, oggi la manovra economica sconfessa quello straordinario risultato includendo un articolo che di fatto spalanca le porte alla privatizzazione nel settore di quegli stessi servizi pubblici. Sotto il titolo “adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’unione europea”, l’articolo quattro del decreto entrato in vigore il 13 agosto scorso offre incentivi economici agli enti locali che sceglieranno la strada delle privatizzazioni. Viene escluso dal provvedimento il servizio idrico, ma ad essere ceduti al privati potranno essere servizi come i trasporti (ma non Trenitalia), gli asili, i rifiuti.
Tra tutti gli articoli della manovra, il quarto è l’unico a non essere stato messo sotto accusa dalle aspre critiche che in questi giorni riguardano altre voci. E tuttavia, sostiene Emilio Molinari, presidente del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull’Acqua (Cicma), intervistato da PeaceReporter, sta proprio in questo articolo il nodo vero dell’intera manovra.
A soli due mesi dal referendum, il governo ripropone la privatizzazione dei servizi pubblici locali. A giugno è stato lanciato un segnale forte. Come mai lo si ignora?
Interpreto l’articolo quattro come una sorta di vendetta al referendum. Il modello liberista, che in Italia è attivo da almeno trent’anni, va avanti, perché sia nel nostro Paese che in Europa c’è una casta che intende liberalizzare i servizi pubblici e i beni comuni. Ma è un modello che è stato fermato dal referendum, e non solo in Italia. Anche a Berlino la privatizzazione dell’acqua è stata impedita nello stesso modo, e il comune di Parigi ha scelto di tenerla pubblica. La manovra economica è stata un punto di accelerazione, quasi di vendetta, nei confronti di una tendenza che sta fermando l’idea che tutto debba essere assegnato al mercato. La grande partita si gioca qui, sulle privatizzazioni.
Ma se un referendum si è già pronunciato chiaramente sulla questione, se la manovra venisse approvata così com’è, non sarebbe incostituzionale?
Esattamente. La postilla dell’articolo quattro che esclude il servizio idrico dai settori privatizzabili non basta. Il referendum, al primo quesito, ha fermato la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali. Dato che il quesito formulava la questione dicendo che non si può più essere obbligati a privatizzare, il governo che operazione si fa? Dice ai sindaci che se privatizzano avranno dei finanziamenti. È in sostanza una tangente per privatizzare. L’articolo quattro viola il risultato referendario e quindi la Costituzione, che impone il rispetto dei referendum e di ciò che la popolazione votando quel referendum voleva intendere. Ventisette milioni di italiani sono andati al voto per dire che non bisogna più privatizzare i servizi pubblici locali. A mio giudizio questo è il vero nodo della questione, ciò che rende la sostanza politica dell’intera manovra: la svendita di un Paese.
Il voto dei referendum è stato anche un riappropriarsi dei cittadini della loro facoltà di incidere sul processo democratico e sulle decisioni. E adesso la volontà di chi ha partecipato viene ignorata. Eravamo tornati ad essere cittadini, e adesso?
Adesso da cittadini siamo tornati ad essere clienti. Io credo che negli ultimi due decenni ad esprimere volontà di cambiamento siano state due categorie: i lavoratori e il cittadino. Oggi queste due figure non ci sono più, sono state sostituite dal consumatore e dall’investitore. E questa è la devastazione che ha fatto morire la politica. La consultazione referendaria ha spezzato questo meccanismo, ha fatto riemergere il cittadino, sia di destra che di sinistra. Questo è stato il grande segno del referendum, che ora si vuole cancellare. Questa è l’estate in cui si è appreso che la politica è morta, in Italia, come in Europa e negli Stati Uniti. A decidere sulla manovra non sono stati gli organismi eletti dal popolo, ma il mercato. Ogni volta che la manovra veniva cambiata lo si giustificava dicendo che “non ha la fiducia del mercato” perché l’unico parametro di giudizio lo davano le quotazioni in borsa.
L’articolo quattro intende adeguare la disciplina dei servizi pubblici locali anche alla normativa dell’Unione europea.
La normativa europea non obbliga nessuno a privatizzare. Lo spirito politico dell’Europa è quello della privatizzazione, ma in termini di normativa non c’è nessun vincolo. Di conseguenza questo richiamo continuo all’Europa non sta in piedi. La volontà di privatizzare viene imposta con una legge comunitaria solo ogni volta che un Paese entra in crisi e necessita di prestiti. È un processo che va avanti da tanti anni e che ha mandato in rovina i Paesi del Sud del mondo.
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/30220/Italia%2C+il+ritorno+delle+privatizzazioni
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Nella foto: Lucio Iturbia (a sinistra) con lo scrittore Iñaki Egaña
Testo di Fermin Munarriz
Lei ha 79 anni per nelle sue conferenze le sale sono piene di giovani…
Si, perché le idee che porto sono necessarie e alla gente piace quanto dico. E’ facile cambiare il governo, però sappiamo disgraziatamente dove ci porta. La soluzione non viene dai governi, verrà dai noi stessi, se saremo responsabili, senza credere ne in chiese, in partiti o in governi…
Ci troviamo in una grave crisi: cresce la disoccupazione, il capitalismo diventa sempre più selvaggio, però la classe operaia sembra che contempli la situazione…Cosa sta succedendo?
Abbiamo molti più mezzi di una volta, abbiamo anche più libertà però dobbiamo insistere su questa idea necessaria che è la responsabilità. Per me, è perdere il rispetto a ciò che si deve perdere. Bisogna perdere il rispetto a questi capoccia imbecilli che quanto più hanno più vogliono, che non sanno fare altro che accumulare mezzi economici ma che poi non sanno utilizzarli.
Per quale ragione un giovane di oggi dovrebbe impegnarsi in una lotta contro il sistema?
Perché è necessario. La vita non è solo pane. L’essere umano è ciò che è per quello che fa. E la gente giovane deve sapere che non si tratta solo di lavorare, si tratta anche di vivere, di condividere, di creare.
Com’era lei da bambino?
Da bambino ero un rivoltoso e mi davano multe da cinque pesetas. Mia madre non poteva pagarla ed allora mi portavano castigato a piantare alberi o in carcere a Tudela. Questa fu la mia fortuna perché non dovetti fare nessun sforzo per perdere il rispetto a tutto quanto era stabilito. Per questo noi poveri abbiamo una ricchezza se sappiamo utilizzarla. Abbiamo il diritto di perdere il rispetto a questa società idiota. E non sono contro la ricchezza e l’intelligenza, sono contro il mal ultilizzo.
Fin dall’adolescenza ha conosciuto celle, caserme, carceri. Ricorda quante volte è stato arrestato o detenuto?
Mah, quando ero giovincello ho fatto….il carcere di Cascante, che era un fienile, quello di Tudela, che già era un carcere di professionisti, quello di Bera de Bidasoa e quello di Pamplona. Poi in Francia, sono stato anche qui in altre quattro o cinque carceri, però per me questo è stata un ricchezza. Se io dovessi iniziare nuovamente la mia vita rifarei le stesse cose.
Come fu il primo contattato con l’anarchismo
Il mio primo contattato fu in Francia, quando ci arrivai come disertore. Però già allora avevo avuto una piccola esperienza: A Valcarlos io avevo lavorato nel contrabbando. Ed io dico che tutti i contrabbandieri erano anarchici perché era gente che aveva perduto il rispetto all’autorità: la Guardia Civil ci vigilava per anche noi li vigilavamo per poter contrabbandare….
Ed a Parigi iniziò la vita militante nell’anarchismo..
All’inizio facevamo espropri (assalti a banche a mano armata) perché non c’era altro rimedio. Noi non abbiamo avuto ne ministri, ne deputati, ne industriali che ci abbiano aiutato. Noi anarchici facevamo gli espropri come potevamo, però io non considero un eroe quello che prende un mitra, come facevo io, incoscientemente. Puntavi il mitra ad un impiegato di una banca perché ti desse il denaro, d’accordo, però per me non era eroismo, è che non si poteva a fare in altro modo. Quando scoprimmo che potevamo fare altre cose attraverso le falsificazioni, tirai un sospiro perché io non ho ucciso nessuno però potevo essere morto o potevo uccidermi. Era pericoloso.
Che cos’è l’eroismo per lei oggi?
Per me, l’eroismo è non essere d’accordo con questa società di capoccia imbecilli, che non meritano nessun rispetto, perché bisogna essere degli imbecilli per avere i mezzi che hanno e non sapere utilizzarli. Avete visto come l’Europa trema dopo i fatti della Grecia perché non c’altro rimedio in questa società, in certi momenti, che perdere il rispetto ed anche utilizzare la violenza. Disgraziatamente non c’è altro rimedio che utilizzarla. Il timore alla Grecia è dovuto a questi gruppi di anarchici; no serve essere milioni. Tremano perché la società è molto fragile.
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